Last Patrol - Monster Magnet (2013)
Che Last Patrol sia il degno successore di un disco già massiccio quale il predecessore Mastermind, ve lo dico francamente, lo si capisce sin dall'inizio, proprio da quelle noterelle ripetute che fanno da intro a I Live Behind the Clouds, quasi un ricordo, un'amara riflessione sul passato neppure troppo lontano di Dave Wyndorf ("I've got a feeling that no one cares/'bout all that confetti I throw in the air/Nothing's important but yet everything is/If there ain't no photo I just don't exist/And the winds blow and the sky looks cool/So I make my home in the clouds/I see the oceans, the mountains, the plains/The rats and the suckers, the strong and the lame/Sometims I dream about flying on down/Falling in love and life on the ground/And the winds blow and the sun comes up/And I stay behind the clouds/Yes I live behind the clouds"). Uno di quei dischi che, a noi rocker nell'anima seppur non più nel fisico e, diciamocelo, nelle apparenze, riscaldano dentro, concetto espresso più volte, sempre a proposito dei MM. Ma c'è di più, vi dirò di più su questo disco, uscito a metà ottobre 2013, che inizialmente avevo, diciamo così, dato per scontato.
Innanzitutto, seppure sia il primo disco dei MM senza Ed Mundell, storico membro dei nostri sin dai tempi gloriosi di Superjudge (secondo lavoro dopo il debutto Spine of God), Last Patrol non ne sembra risentire in assoluto; le divagazioni space rock che li caratterizzano, assoli quali quelli disseminati lungo tutto il percorso del disco, il rifferama diabolico ed avvolgente, stanno lì a dimostrarlo. Last Patrol è, contrariamente a quello che si potrebbe pensare del nono disco in studio di una band che esiste dal 1989 ed è passata attraverso ovvie vicissitudini, un disco maturo e di grande fattura, nel suo genere, che tra parentesi è diventato un marchio di fabbrica. Perché dopo gli Hawkind e ben prima dello stoner, i MM erano lì per restare, evidentemente, fondendo appunto le divagazioni psichedeliche tipiche di un certo space rock con la monoliticità del grande hard rock, quello che ogni tanto schiacchia il piede sull'acceleratore ma non diviene speed metal, e che spesso invece rallenta il ritmo e le pennate senza divenire doom. Talmente maturo da permettersi una cover nientemeno che di Donovan, un fine cantautore britannico che solo quelli più anziani di noi si ricorderanno, ed uscirne vincitori (parliamo di Three King Fishers).
Insomma, credo abbiate capito il senso. Che, tra l'altro, è sempre quello lì, quello che parte dal blues e prende la deriva, la via indicata dai numi tutelari, divenendo grande rock: se "siete" da quelle parti, un disco del genere, perfino se non avete mai sentito parlare dei Monster Magnet del (ricordiamocelo) redivivo Dave Wyndorf, fa al caso vostro.
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