No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20060303

arrivano i Tartari


Jarhead – di Sam Mendes 2006

Anthony Swofford ha vent’anni e poche certezze. Si arruola nei marines, più che altro perché sia il padre che il nonno lo erano. Erano Jarheads, teste a barattolo, dal tipico taglio a sfumatura alta (in Italia, l’umberta). E anche lui lo sarà. E’ il 1990, e dopo un iniziale smarrimento da vita dura di caserma, una finta intossicazione intestinale, un pensiero a lasciare immediatamente, il fantasma del padre e un Sergente Maggiore duro ma convincente fanno si che Swoff rimanga, e diventi uno dei tiratori più quotati. Nel frattempo, l’Iraq di Saddam Hussein invade il Kuwait, il resto è storia recente: Swoff insieme al contingente al quale appartiene, viene spedito nel mezzo dell’operazione che prima è scudo, dopo diventa tempesta nel deserto. E’ la guerra, quella vera; ma la guerra di oggi non è quella delle Guerre Mondiali, tantomeno il Vietnam. La fanteria, e quindi i tiratori come Swoff, sono gli ultimi ad arrivare, e a sparare. Nonostante i ragazzi non siano tutti dei fanatici, sparare diventa l’unica cosa che può salvare i Jarhead dall’impazzimento per noia da deserto. Nonostante ciò, la loro vita cambierà per sempre. Per tutta la vita, anche dopo esserne usciti, la guerra rimarrà nelle loro menti; saranno per sempre Jarhead.
C’è molto da dire su questo nuovo film di Mendes. Innanzitutto, che nonostante le origini inglesi, questo film è molto, molto americano. Del resto, già da “American Beauty” si capiva che Mendes è ferrato sull’argomento. Se ci sono dei difetti in questo film, uno di quelli è il troppo amore per “i ragazzi” militari, una sorta di operazione come quella di Michael Moore nel finale di “Farenheit 9/11”, ovviamente più cinematografica. Il film, insomma, è pacifista nel senso di “portiamo a casa i nostri ragazzi”, perché possono morire, ma possono anche impazzire. I marines, infatti, in fondo sono tutti bravi ragazzi, e qualcuno legge Camus perfino. Sono quelli grossi, quelli che comandano, che sono cattivi.
Detto questo, apriamo un’altra parentesi. Un particolare che può dividere, giudicando Mendes e il suo lavoro, è l’uso della musica. Come specialmente gli appassionati sentiranno, la colonna sonora è stupenda, superlativa, superiore. Spesso crea da sola scene madri. Kanye West, ma anche The Doors, Social Distortion, trendy e indie, punk e classici. Dicevamo delle scene madri: come dimenticare gli incubi di Swoof sulle note di Something in the Way degli immortali Nirvana, i festeggiamenti folli alla fine della guerra, con l’improvvisato party nel deserto sulle note di Fight the Power dei Public Enemy, o il triste ritorno a casa sulla mai più appropriata Soldier’s Things dell’immenso Tom Waits. Una sorta di MTV-style più personale, coinvolgente, anche toccante se volete, che viene a volte criticato perché distoglie l’attenzione dal film, o ne maschera le pecche. Chi vi scrive, sceglie di rimanere neutrale: qui non si è scelto Dogma, e anche se riconosco che aiutarsi con la musica può essere una scorciatoia, mi piace l’uso che Mendes ne fa.
Infine, le citazioni e i riferimenti. Tre i pilastri sui quali si regge il film: “Full Metal Jacket”, “Il deserto dei Tartari” e “Apocalypse Now”. La prima parte del film cita nemmeno troppo velatamente Kubrick. La parte centrale è una specie di messa in scena del libro di Buzzati, mentre Coppola viene omaggiato apertamente, con una scena dove i Jarhead tifano tipo stadio sulla scena degli elicotteri, durante una proiezione organizzata in caserma. Tutte ispirazioni ottime, bisogna riconoscerlo. Espedienti o solo riferimenti ambiziosi?
Una bella fotografia, un montaggio serrato e una direzione perfetta del cast completa il quadro. Bravi Gyllenhaal, protagonista, la faccia da ebete giusta per il personaggio, Sarsgaard, una sorta di doppia identità gestita con inaspettata bravura, Foxx, sempre più maledettamente bravo, a suo agio in qualsiasi ruolo, qui in quello del Sergente duro ma umano.
Come che sia, il film di Mendes non annoia, diverte, fa riflettere, e illustra la situazione, presumibilmente più vera di quella dipinta dalla propaganda americana, degli uomini in guerra. Poteva essere più cattivo, andare fino in fondo, questo si; ma allora avremmo avuto di fronte un capolavoro.
Non è questo il caso, ma il film funziona.

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