No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20060320

chili di silenzio per inaugurare un nuovo gioco


Marlene Kuntz “S-Low Tour”, 16/3/2006, Firenze, Auditorium Flog

Mi sembra un’ottima idea questa dei Marlene Kuntz. Anche se non capisco ancora bene di cosa si tratta, non è un concerto acustico, non è un concerto “normale”. Si chiama S-Low Tour, e le note di presentazione recitano “Non dunque il tuono e la tempesta dei grossi assalti distorti, ma l’inquietudine tersa di note sospese nel vuoto dell’apnea e sul respiro del pubblico” . Sono “dunque” curioso, e quasi scontento di non essere potuto andare a vederli prima, un po’ più lontano. Però felice di cominciare con loro, una band che apprezzo molto, il personale 2006 concertistico. Solito bel pubblico, abbastanza folto e, pare, incuriosito proprio come me. 22,30, si parte. Le chitarre sono elettriche (e, come sempre, modelli classici rock e bellissime), ma le differenze che saltano all’occhio sono che Gianni (Maroccolo, of course) si siede, pur imbracciando il basso elettrico, e Luca usa delle bacchette particolari, che, scoprirò attraverso il loro sito, si definiscono di tipo “hot roads”; non vorrei dire una minchiata, ma mi pare che abbiano le spazzole da un lato e un puntale particolare dall’altro lato. Fatto sta che, diciamo, picchia un po’ meno forte sulle pelli e sui piatti. Cristiano si è lasciato crescere la barba, quella che questa estate si intravedeva quindi è diventata un’idea messa in pratica, i capelli sono allungati e la camicia è, come al solito, molto stilosa, se non erro di un rosso molto scuro. Dite che non è corretto parlare tanto di Cristiano Godano quando si parla dei MK? Non so, forse si. Però proprio prima del concerto, ascoltando il cd che mi ero fatto con, in sequenza, i pezzi che dovrebbero comporre la scaletta di questa sera, notavo che il suo modo di cantare in questi anni è incredibilmente migliorato, segno tangibile di una serietà professionale, ma soprattutto di un convincimento forte. I Marlene ci credono davvero in quello che fanno.
Si comincia con Lieve, non a caso un pezzo dal loro primo “Catartica”, album mai dimenticato né dai fans né da loro, e la versione che ne esce, rallentata e leggermente rarefatta assomiglia molto a quella che, anni fa, facevano i C.S.I. dal vivo, sponsorizzando così in giro i Marlene, allora componenti della stessa “scuderia”. Siamo ancora al primo pezzo, non concluso, e ci sono già due cerchi che si chiudono. Il primo è visibile a tutti: c’è Maroccolo sul palco. Il secondo è una cosa intima e personalissima di chi scrive, ma visto che nessun capo redattore taglierà questa parte, ve la dirò: Lieve è il pezzo che mi ha fatto conoscere i Marlene, quando usciva “Catartica”. Gli altri componenti della band dove suonavo la suggerirono come cover, e io che non la conoscevo fui obbligato ad impararla e a suonarla senza averla mai sentita né nella versione Marlene né in quella C.S.I.
Si parte dunque sul filo dell’emozione e dei sentimenti, la serata si mette subito bene. Segue a ruota La lira di Narciso, il primo estratto (alla fine saranno sei) dall’ultimo “Bianco Sporco”, ancora giustamente da promuovere; un disco che si è rivelato molto difficile da assimilare per molti, ma che lentamente ha acquistato il giusto status di piccolo e scintillante fiore all’occhiello di una discografia italiana esangue, riconosciuto come più che valido anche da molti inizialmente scettici e riluttanti. Nella parte centrale, com’è giusto che sia, Cristiano recita i versi e muove teatralmente le mani. A chi succhia si presta ottimamente a questa dimensione, non ha praticamente bisogno di ritocchi. Affascina lo stridio tra la cattiveria del testo e la dolcezza delle note. Arriva Danza, da “Senza peso”, e riaffiorano anche qui le ricorrenti accuse di svendita da parte di alcuni fans, in occasione dell’uscita di questo lavoro. La ascolti, li osservi, ti avvolge, ti avvolgono, arriva l’assolo, ti trafigge e ti lusinga, ti culla e ti stona. Che bella che è questa canzone. Che bella. Ti ritrovi a sussurrare “..ora tocca a me…” insieme a Cristiano. Direttamente da “Il vile” ecco Ti giro intorno, altra canzone intensissima e quasi dimenticata. Difficile da cantare, quasi in falsetto la prima strofa, e infatti Cristiano la prende malissimo. E’ un luogo comune, ma è giusto: lo rende umano, simpatico per questo. Già sul bridge, bellissimo e adorante (“bastano i prodigi che tu sei, contano i sapori che mi dai”), ci si dimentica tutto.
Cristiano ciarliero, contento. Il pubblico reagisce bene, è caldo e osannante. Decine di videocamere e telefonini scattano foto, riprendono l’evento. Dopo aver introdotto il pezzo precedente, molto vecchio, presenta il prossimo, dal primo disco: Fuoco su di te. C’è dentro anche la loro città di provenienza. E’ poco diversa dall’originale, ed è rabbiosa. Altro che S-Low! Mi sovviene che, ascoltandola poco prima, il cantato di Cristiano mi ricordava quello classico e mai dimenticato di Zazzo dei Negazione. In effetti, una canzone punk.
Nessuna introduzione per quella che ormai è un super classico, La canzone che scrivo per te. Anche qui, ricordi di critiche, dubbi della ricerca di un hype per la collaborazione con Skin. Il tempo è galantuomo: il pezzo, dal vivo, è sempre stato bellissimo, in qualsiasi occasione, e la versione senza la piccola nervosa pelata schizoide, ottima e abbondante. Una affascinante storia di “una botta e via”, come spiego alla mia amica assetata di Marlene Kuntz, almeno nella mia interpretazione. Il gioco dei tre finali diversi e in progressione dei ritornelli mi ha da sempre folgorato, anche se non è una cosa così complicata. Applausi a scena aperta, ripetutamente. Riesci a scorgerti? Non ci sei più.
Serrande alzate è dedicata ad Enrico, il figlio di Cristiano. Ce lo dice lui stesso in apertura. Non cambia il risultato: altra canzone super.
E come resistere all’incedere della seguente Infinità, quando il poeta di Cuneo canta “la cosa più speciale, che mi potessi offrire…”? E’ vero, i “grossi assalti distorti” lasciano spazio all’emozione più intima, al posto dell’apprezzamento per la maestosità rumoristica di Marlene. La filastrocca cantilenante di Amen fa coppia con L’inganno, ed è come un lungo crescendo che, nonostante la serata S-Low, sfocia nel solito, ma mai noioso, caos organizzato. Gli andirivieni de L’inganno, e la maniera di muoversi di Cristiano, oltre allo strano gioco che gli fanno i capelli quando se li toglie dagli occhi, mi fanno pensare a quanto inconsciamente si ispiri ad un’artista che, sappiamo, lui stesso ammiri con forza: Nick Cave.
L’orgia di rumore che fa da scia al pezzo precedente, introduce un altro pezzo vecchissimo, Come stavamo ieri, molto apprezzato, che ci porta dritti in pausa. Ma si rifiata solo pochi minuti, dopo i quali eccoli di nuovo sul palco per una versione di Schiele, lei, me che definirei “ballabile”. Non mi piace per niente, mi trovo a concordare con un amico che l’aveva detto avendoli visti qualche settimana fa. Pazienza, non possono indovinare tutto. Mi viene a mente invece, che la versione riarrangiata per il tour precedente, rarefatta e intensa, sarebbe stata ottima per questa serie di concerti. Ci si riprende prontamente con Lamento dello sbronzo, altalenante, soffice e dura al contempo.
Un’altra coppia da “Bianco sporco”, Il solitario, sinuosa, e Bellezza, giustamente immancabile, assurta al ruolo di nuovo classico, a ragione, oltre che a mio personale manifesto programmatico, ispirandomi al ritornello (“noi, cerchiamo la bellezza, ovunque”). E c’è veramente da dire poco altro, su questo pezzo, se non ascoltarlo, e, magari, canticchiarlo insieme alla band.
Ancora applausi a scena aperta, copiosi, generosi, amorevoli, ammirevoli, e perché no, corrisposti, almeno così pare. Chiude una superba versione di Nuotando nell’aria, che ormai, col nuovo corso vocale, se così si può definire, di Cristiano, tocca vette ineguagliabili nel crescendo finale. Devo arrendermi. Come sa bene chi mi conosce, le preferisco la sublime Ineluttabile, ma l’amore e il trasporto sia della band che la esegue, sia del pubblico che la “vive”, ha ormai designato come questa sia IL pezzo dei Marlene Kuntz. Poco male, mica la detesto, anzi!
Si chiude con la band che, con le luci accese e sulle note di Non gioco più (cover di Mina inserita nel loro EP "Fingendo la poesia") mandata dall’amplificazione del locale, si fanno il giro del perimetro del palco a stringere mani, mani non fanatiche ma riconoscenti, per un’altra serata piena e trasognante.
Avanti così, per la vostra strada a testa alta, strada che è anche un po’ la mia. Parafrasandoli, si sa, è probabile che meritassero di più. Teniamocela stretta, questa band preziosa. Che, sempre probabilmente, se non fosse nata a Cuneo non avrebbe cantato “intanto l’aria intorno è più nebbia che altro”. Stanotte si dormirà poco, ma dormiremo il sonno dei giusti.

3 commenti:

lafolle ha detto...

gran bella recensione.
te sei meglio dell'85 per cento dei giornalisti musicali delle riviste musicali di musica musicale.
sappilo!

e comunque.grandi i marlene!

jumbolo ha detto...

ecco
sono negro di colore e campione mondiale del mondo!!!
oh!!

Anonimo ha detto...

hahaahahaha!!