Come Dio comanda - di Gabriele Salvatores 2008
Giudizio sintetico: si può vedere
Rino Zena è un uomo ai margini. Ha perso il lavoro, tenta di allevare il figlio Cristiano, di 13 anni, da solo. Ha idee politico-sociali di estrema destra, possiede armi, gli piace menare le mani, detesta gli omosessuali, i neri, gli immigrati dell'Est Europa, i tossici, ha una svastica disegnata sul muro dietro al letto (oddio, non è proprio un letto...) e una croce celtica tatuata sulla spalla destra, gli piace bere. Cresce Cristiano nel segno della fermezza, amandolo ma sgridandolo molto ad esempio quando fa a botte e le prende, ma sconsigliandolo di divulgare il fatto che anche lui ha idee di estrema destra, soprattutto a scuola, più che altro per evitare che i servizi sociali li separino. Né Rino né Cristiano hanno amici: la persona a loro più vicina è Quattro Formaggi, un ex collega di Rino che è uscito di senno dopo essere rimasto folgorato sul lavoro. Quattro, come lo abbreviano amichevolmente i due, abita in un garage che lui stesso ha trasformato in un enorme presepe costruito con materiale di scarto recuperato qua e là. E' innamorato di un'attrice porno, Ramona Superstar.
Normalmente, i problemi li crea Rino. Invece stavolta nascono da Quattro Formaggi, il giorno in cui Fabiana, una compagna di classe di Cristiano che si diverte insieme ad un'amica a stuzzicarlo, arrivando addirittura a confessargli che considera Rino, suo padre, "un figo", chiede da accendere al povero fuori di testa. Quattro Formaggi, che si nutre solo di pizza, ovviamente, si convince che Fabiana è Ramona Superstar, e in una notta da tregenda la segue mentre torna a casa in motorino, lui, a sua volta, sul suo motorino scassatissimo.
Se c'è una cosa che bisogna riconoscere a Salvatores è che non si è "seduto" dopo l'Oscar per Mediterraneo, e che non si è fatto incasellare in un genere. E' uno che spazia. Con questo secondo adattamento di un libro di Ammaniti, il primo, per chi vivesse su un altro pianeta, fu Io non ho paura, a parte l'ennesima variazione di genere, però c'è qualcosa che non convince fino in fondo, come spesso capita con i suoi lavori. Si apprezzano il lavoro con la macchina a mano, i dialoghi ripresi con 2, 3, 4 telecamere, i salti di montaggio, le citazioni e gli omaggi (da Cronenberg a Fellini, ed altro ancora), il fatto di rimanere in Italia ed occuparsi del qui ed ora, seppur dipingendo le diverse Italie, le riflessioni sull'attualità che possono scaturire anche da questa storia d'amore, come la definisce lui, amore fortissimo tra un padre e un figlio. E forse il problema sta proprio qui. Quel che manca è situato a metà tra il formalismo apprezzabile, la tecnica, e il messaggio di fondo. Ed è la storia ma soprattutto il pathos, che, non ci crederete, manca nonostante ce ne sarebbe ben donde, sia per quel che accade che per i 3 personaggi principali.
Un'ulteriore critica mi sento di muoverla, anche se ripeto, apprezzo Salvatores per il suo percorso, ed è sull'uso della colonna sonora, volutamente ridondante, ma più che altro spesso appare come inserita per creare la scena da trailer, dando invece l'impressione di una non-continuità dell'insieme.
Fotografia dai due volti, bella nei paesaggi e negli interni, brutta quando descrive le realtà urbane, seppur piccole. Timi è un grande e già lo sappiamo, quindi fa un figurone, anche perchè Germano rende il suo personaggio troppo macchiettistico; il giovane Alvaro Caleca, che interpreta Cristiano, se la cava discretamente, tutto il resto è fuffa, Fabio De Luigi, nei panni dell'assistente sociale, compreso.
1 commento:
lo vedrò.
trovo che la locandina sia bellissima.
Sia per quanto riguarda la foto che l'impaginazione.
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