Killers - Iron Maiden (1981)
Qualche giorno fa, per caso, mi sono imbattuto, su questo blog, nella mia recensione dell'album di debutto degli Iron Maiden. Recensione di 10 anni fa, dove facevo una promessa che non ho ancora rispettato, ma che vi assicuro, porterò a termine a brevissimo. Non avendo dischi nuovi che mi interessava ascoltare, ho deciso che dovevo riascoltare, a distanza di non so quanti anni, il seguente Killers. Il disco è talmente bello, e suscita in me così tante emozioni, che, essendosi "liberato un buco" nelle recensioni giornaliere, ho deciso di fare uno strappo alla regola autoimpostami, e parlarvene oggi.
Killers esce il 2 febbraio 1981, a meno di un anno di distanza dall'impressionante debutto omonimo della band formatasi a Leyton, East London, nel 1975. La band sta lentamente ma inesorabilmente acquistando notorietà, e sta facendo i conti con alcuni cambi di formazione, che non sono terminati: il disco in questione è il primo per Adrian Smith alla chitarra, e l'ultimo con Paul Di'Anno alla voce. Le composizioni sono, ancora una volta, quasi esclusivamente a carico del bassista, fondatore, anima costante della band, Steve Harris, con rarissime eccezioni. Si parte con uno strumentale che dura poco meno di 2 minuti, che già introduce i loro concerti, The Ides of March, un brano dall'incedere epico che Harris cominciò a scrivere già nel 1977, quando Barry Purkis suonava la batteria con gli Iron (la traccia è molto somigliante a Thunderburst dei Samson, e pare che Purkis abbia importato l'idea nei Samson, tanto è vero che anche quel brano è accreditato anche a Harris; la curiosità è che in quella formazione dei Samson c'era Bruce Dickinson, che sostituirà Paul Di'Anno nei Maiden). Si capiscono già alcune preferenze di Harris, quindi. Senza soluzione di continuità, arriva Wratchild, una traccia mid tempo ma molto aggressiva, che rimarrà l'unica suonata live negli anni a venire. Sono meno di tre minuti, ma la complessità del pezzo è straordinaria, e lascia senza fiato. Come spesso capita, è il basso di Harris che fa da spina dorsale, mentre le chitarre servono più da abbellimento. Il drumming di Burr è estremamente potente, la voce di Di'Anno sembra l'unica possibile. Ma subito dopo, ecco Murders in the Rue Morgue, che si basa sull'omonimo racconto di Edgar Allan Poe, e qui si capisce che le frontiere del metal si stanno spostando non di poco. Sembra rock and roll, ma è suonato ad una velocità che in quegli anni sembrava spaventosa. Sincopata, sinuosa, impossibile tenere la testa ferma. Gli strumenti si intersecano, si inseguono, disegnano traiettorie impensabili. L'assolo lascia senza fiato. Le ripartenze sul rullante di Burr sembrano martelli che ti inchiodano. Another Life potrebbe sembrare un'opera minore, ma c'è tutto lo stile maideniano ante litteram: il "galoppo" di Harris, le chitarre sovrapposte, i cambi di tempo repentini, le velocità supersoniche. Arriva di seguito il secondo strumentale dell'album: Genghis Khan. Lo stile di The Ides of March è estremizzato, complicato, velocizzato, non c'è bisogno del cantato per goderne. Se qualcuno si è chiesto dove arrivavano i folli cambi di tempo di And Justice for All dei Metallica, beh, qui c'è la spiegazione. Considerando che a quel tempo c'era il vinile, il lato A si chiude con Innocent Exile, una canzone dove la voce spadroneggia, dove si capisce dove affondano le radici degli Iron Maiden, ma dove ancora una volta si ribadisce che possono trasformare tutto quello che toccano in qualcosa di mai sentito.
Dovremmo e potremmo essere già stremati, ma il lato B si apre con un capolavoro: Killers, accreditata, unica eccezione (a parte Twilight Zone, che però appariva solo nell'edizione Nord americana, e apparirà nella riedizione del 1995), a Di'Anno/Harris. Qua, cinque minuti di galoppo del basso, di intrecci chitarristici, di crescendo impressionanti, di velocità impensabili, di melodie durissime ma affascinanti, di voce che regala teatralità forse solo sperimentata da Bob Halford e dai Judas Priest. Un pezzo allucinante. Prodigal Son sembra messa apposta per tirare il fiato, parte come una ballad, ma ovviamente è qualcosa di più, sia mai che gli Iron Maiden seguano lo stesso tempo per una intera canzone. La strofa è bellissima, la voce di Di'Anno fa sognare, sembra un pezzo pop suonato in modo cattivo. Ovviamente, "sembra", perché in realtà c'è una complessità straordinaria. L'assalto riparte con Purgatory, traccia che parte sparata già con la strofa, e che quando arriva al bridge sale ancora di tono in un modo che sarebbe stato inimmaginabile. Il ritornello è sorprendente, quasi un coro da stadio. Un'altra canzone straordinaria, indimenticabile. Chiude l'album Drifter, un intro classico alla Maiden, e un ritmo sincopato per una melodia molto molto bella. Dopo neppure un minuto e mezzo, si cambia già ritmo, si dà spazio alle chitarre, poi si cambia ancora dopo altri trenta secondi. E si riparte. A quei tempi conoscevo già E.L.& P. e gli Area, e qualcosa mi faceva pensare che questa band volesse applicare quelle strutture a durate più ridotte, e a suoni più duri. In effetti, sono riusciti a dire la loro, negli anni a venire, ma sicuramente questo disco rimane una pietra miliare, insieme al precedente.
A few days ago, by chance, I came across, on this blog, my review of the debut album of Iron Maiden. Review of 10 years ago, where I made a promise that I have not yet respected, but which I assure you, I will complete very soon. Not having new records that I was interested in listening to, I decided that I had to listen to the following Killers again after I don't know how many years. The record is so beautiful, and arouses so many emotions in me, that, having "freed a hole" in the daily reviews, I decided to make an exception to the self-imposed rule, and tell you about it today.
Killers was released on February 2, 1981, less than a year after the band's impressive self-titled debut formed in Leyton, East London, in 1975. The band is slowly but surely gaining notoriety, and is struggling with some lineup changes , which are not finished: the album in question is the first for Adrian Smith on guitar, and the last with Paul Di'Anno on vocals. The compositions are, once again, almost exclusively the responsibility of the bassist, founder, constant soul of the band, Steve Harris, with very rare exceptions. It starts with an instrumental that lasts just under 2 minutes, which already introduces their concerts, The Ides of March, an epic song that Harris began writing as early as 1977, when Barry Purkis played drums with Iron (the track is very similar to Samson's Thunderburst, and it seems that Purkis imported the idea into Samson, so much so that even that song is also credited to Harris; the curiosity is that in that Samson formation there was Bruce Dickinson, who will replace Paul Di'Anno in Maiden). We already understand some of Harris's preferences, then. Without interruption, Wratchild arrives, a mid tempo but very aggressive track, which will remain the only one played live for years to come. It is less than three minutes, but the complexity of the piece is extraordinary, and leaves you breathless. As is often the case, it is Harris' bass that serves as the backbone, while the guitars serve more as embellishment. Burr's drumming is extremely powerful, Di'Anno's voice seems the only one possible. But immediately after, here is Murders in the Rue Morgue, which is based on the homonymous story by Edgar Allan Poe, and here we understand that the frontiers of metal are shifting quite a bit. It sounds like rock and roll, but it is played at a speed that seemed scary in those years. Syncopated, sinuous, impossible to keep your head still. The instruments intersect, chase each other, draw unthinkable trajectories. The solo takes your breath away. The restarts on Burr's snare sound like hammers nailing you. Another Life might seem like a minor work, but there is all the maiden style ante litteram: the "gallop" of Harris, the overlapping guitars, the sudden tempo changes, the supersonic speeds. Here comes the second instrumental of the album: Genghis Khan. The style of The Ides of March is pushed, complicated, speeded up, there is no need for singing to enjoy it. If anyone has wondered where the crazy tempo changes of Metallica's And Justice for All come, well, here's the explanation. Considering that at that time there was vinyl, side A closes with Innocent Exile, a song where the voice rules, where you understand where the roots of Iron Maiden lie, but where once again it reaffirms that they can transform all that touching into something never heard before.
We should and we could already be exhausted, but side B opens with a masterpiece: Killers, credited, the only exception (apart from Twilight Zone, which however appeared only in the North American edition, and will appear in the 1995 reissue), to Di'Anno/Harris. Here, five minutes of gallop of the bass, of guitar intertwining, of impressive crescendo, of unthinkable speed, of very hard but fascinating melodies, of voice that gives theatricality perhaps only experienced by Bob Halford and Judas Priest. A hallucinating piece. Prodigal Son seems set on purpose to catch your breath, it starts as a ballad, but obviously it's something more, it'll never happen that Iron Maiden follows the same tempo for an entire song. The verse is beautiful, Di'Anno's voice makes you dream, it sounds like a pop track played with bad intention. Obviously, it "seems", because in reality there is an extraordinary complexity. The assault restarts with Purgatory, a track that starts fired with the verse, and that when it reaches the bridge it still rises in tone in a way that would have been unimaginable. The chorus is surprising, almost a stadium choir. Another extraordinary, unforgettable song. Closes the album Drifter, a classic intro a la Maiden, and a syncopated rhythm for a very very beautiful melody. After less than a minute and a half, the rhythm is already changed, space is given to the guitars, then it changes again after another thirty seconds. And it starts again. At that time I already knew E.L.&P. and Area, and something made me think that this band wanted to apply those structures to shorter durations, and to harder sounds. In fact, they managed to have their say in the years to come, but surely this album remains a milestone, along with the previous one.
2 commenti:
Non pensavo di poter leggere ancora un tuo post così. Sono quasi commosso
:) ti ho pensato per quasi tutto il tempo di scrittura
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