Ieri Philip Seymour Hoffman è stato ritrovato senza vita, con una siringa conficcata nel braccio, nel suo appartamento di New York. Era uno degli attori più capaci della generazione che ha più o meno la mia età (non aveva ancora compiuto 47 anni), ed aveva vinto un Oscar come attore protagonista ma probabilmente ne avrebbe meritati altri (era stato candidato tre volte come non protagonista). Non voglio fare congetture, potrebbero stati dei ladri ad ucciderlo e poi ad infilargli una siringa nel braccio, ma aveva ammesso di avere un problema di droga, era stato in rehab diverse volte, quindi è molto probabile che lo abbia ucciso la droga (o meglio, che lui si sia ucciso con la droga). Lascia una compagna e tre figli. Non ricordo più quando l'ho visto la prima volta sullo schermo, forse con Amarsi nel 1994, ma poi ogni film, quasi ogni film dove c'era lui, era qualcosa di inestimabile. E per fortuna c'era anche in Happiness di Todd Solondz, uno dei film più belli, duri, intensi, devastanti, senza pietà che la storia del cinema contemporaneo ricordi, e lui interpretava una parte incredibile.
Ecco, la morte, questo tipo di morte, di una persona famosa, talentuosa, che faceva un lavoro creativo, un lavoro che noi "comuni mortali" ci immaginiamo come un divertimento, ma che senza dubbio ha i suoi lati negativi, come che sia, fa sempre un po' specie, e personalmente, mi fa sempre lasciar andare a riflessioni simili a luoghi comuni. Eppure, l'animo umano è realmente un continente inesplorato, se ci sono più morti di questo tipo tra persone che non hanno problemi a pagare il mutuo che tra quelli che ce l'hanno.
Non capirò mai. Mai.
Ad ogni modo, che riposi in pace, e noi lo vogliamo ricordare anche così.
E così.
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