Still Life - di Jia Zhang Ke 2007
Giudizio sintetico: si può perdere
Cina, oggi; nella città di Fengjie arrivano Han Sanming e Shen Hong. Il primo è alla ricerca della figlia che non ha mai visto, avuta da una donna che sta con un altro uomo, proprio in questa città; la seconda non vede il marito, ingegnere sempre a Fengjie, da quasi due anni. Nella zona sono in corso importanti lavori di demolizione, la popolazione viene sfollata continuamente in previsione dell'inondazione che sommergerà gradualmente la valle, a causa dell'imminente costruzione della diga delle Tre Gole. La ricerca sarà laboriosa, e i ricongiungimenti porteranno a cambiamenti.
Vincitore del Leone d'Oro all'ultima mostra di Venezia, Still Life (natura morta, oggetti inanimati, quelli che scandiscono i "passaggi" del film; in originale Sanxia ahoren) possiede alcune caratteristiche della filmografia orientale, e ne incarna pregi e difetti. Non ho trovato, personalmente, così irresistibile questa pellicola, pur riconoscendone la forte valenza sociologica, una dolorosa e sonnolenta descrizione delle odierne contraddizioni della Cina rurale, pur amando la mano sapiente del regista, che disegna morbide traiettorie sugli splendidi e imponenti panorami della vallata con la macchina da presa, e si distingue per un ottimo senso delle inquadrature (su tutte, l'enorme nave da trasporto piena di materiale blu acceso, l'accensione delle luci del mastodontico ponte di ingresso a Fengjie). Manca qualcosa, in questo film dai dialoghi dilatati ma non assenti, costellato di dicotomie (le storie dei due protagonisti) e simbolismi, compresi alcuni realmente inconcepibili, qualcuno brutto (il palazzo che decolla), altri curiosi e suggestivi (l'equilibrista sulla corda tra due palazzi in demolizione). Manca, forse, il fascino dei silenzi alla Tsai Ming Liang, la loro forza intensa e devastante, che si ama o si odia.
Viene il sospetto che, ogni tanto, la critica segua chi vuole forzatamente trovare the next big thing esotica. Tipo il Festival di Venezia.
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