Abbiamo parlato più volte del microcredito e del Nobel Muhammad Yunus. Mi pare interessante questo articolo apparso su http://dweb.repubblica.it/ perchè dà un'altra visione della cosa.
MicroDubito
SVILUPPO La banca dei poveri, idea che ha fatto vincere il Nobel a Yunus, è diventata puro business?
di Ambra Radaelli
L'Onu gli ha dedicato il 2005. Nel 2006, il Nobel per la pace è stato vinto dal suo inventore, Muhammad Yunus, che nel 1976 fondò la Grameen Bank, primo istituto pronto a prestare soldi a chi non dà altre garanzie che un progetto. Oggi però il microcredito, ormai famoso per le opportunità che offre direttamente a chi non ne ha, viene anche criticato. C'è una prima, grande distinzione da fare. Quella fra gli istituti che fanno microfinanza e vivono degli interessi sui prestiti fatti e le cooperative internazionali che lavorano attraverso donazioni. Francesco Porrini, ordinario di economia e gestione delle imprese all'università Bocconi di Milano, è a favore dei primi: "Occorre che la microfinanza ragioni secondo una logica economica e si ponga degli obiettivi. Per esempio, stabilendo una percentuale di clienti da portare fuori dalla povertà ogni anno". Ma è proprio sul concetto di sostenibilità che si concentrano le critiche di Alberto Sciortino, economista e coordinatore dei programmi dell'Ong Ciss (Cooperazione internazionale Sud Sud). "Le agenzie che fanno microcredito sono autosufficienti grazie agli interessi che percepiscono. Allora, qual è la differenza con le banche? Solo la specificità della clientela? I rischi di questo sistema sono tre. Anzitutto la selezione: non i poveri tra i poveri, ma coloro che già hanno un'attività. È giusto sostenerli, ma assieme ai primi. Poi, i tassi d'interesse, che appaiono bassi, ma a volte superano il 40 per cento". La restituzione del microcredito, spiega Sciortino, va completata in sei-dodici mesi, e prevede scadenze molto ravvicinate, anche settimanali. "Il che significa che il beneficiario smette praticamente subito di disporre di tutta la cifra. Quindi, in realtà, i tassi d'interesse sono ben più alti di quello che appaiono. Anche se i sostenitori del sistema si giustificano dicendo che, su cifre così piccole, non è un problema". Terzo rischio: "Molte agenzie pretendono garanzie personali. Mentre è più etico chiedere, se servono, garanzie solidali. Per la cifra data al singolo si impegna un gruppo, e nessun altro componente avrà un aiuto finanziario finché il singolo non avrà estinto il debito". Oltre alla sostenibilità, c'è infine un altro problema. Secondo Sciortino, il successo di una microimpresa non dipende esclusivamente dai soldi erogati e dal mercato potenziale, ma anche dalle capacità di gestione del titolare. "Spesso, però, le istituzioni di microcredito assumono come unico elemento di valutazione la solvibilità e non si occupano della formazione del cliente, né di verificare i reali indicatori dello sviluppo: che i suoi figli vadano a scuola, che l'abitazione e l'alimentazione della famiglia migliorino". È il sistema del microcredito "puro", che Sciortino critica. Non il microcredito in sé che, per essere "buono", deve appunto "prendere in considerazione la globalità della situazione del beneficiario". In questo modo non accadrebbe, come denuncia l'esperto di aiuti internazionali Thomas Dichter, che alcuni non restituiscano il prestito, o che lo usino per scopi diversi da quelli per cui è stato chiesto. "È possibile che la cifra venga destinata, anziché all'imprenditorialità, a coprire una spesa improvvisa: una malattia, un matrimonio, un funerale", osserva Sciortino. E se il microcredito non deve mai essere "puro", neppure deve "contraddire le politiche economiche del Paese, per esempio sostenendo un settore che lo Stato vuole smantellare". C'è anche chi accusa il microcredito di fornire l'alibi per ridurre l'intervento pubblico allo sviluppo e di incoraggiare la privatizzazione della rete di sicurezza sociale. Sciortino conferma: "Esiste anche questo rischio. Va detto però che spesso si tratta di Stati che latitano". Francesco Porrini tende invece a vedere soprattutto il lato buono: "In Asia, Sud America e ora anche in Africa, questi istituti erogano somme a singoli o gruppi che non hanno i requisiti per accedere al normale prestito bancario, includendoli nel circuito finanziario. Già da qualche tempo, poi, si sono affiancati gli strumenti del microleasing, che può servire ad acquistare un macchinario, e della microassicurazione, per esempio in campo sanitario. Il microcredito non risolve il problema dell'usura, come dicono i critici. È vero, ma l'alternativa qual è? E qual è l'alternativa, quando lo Stato e la comunità internazionale non fanno nulla, o non abbastanza, per far uscire queste popolazioni dalla miseria?". Il docente della Bocconi sottolinea poi che i tassi d'interesse "sono di un 5-10 per cento inferiori a quelli di mercato" e che ci sono effetti positivi anche "nella lotta a malattie come malaria e Hiv".A favore si schiera anche Fabio Salviato, presidente della Banca Etica. "Nel 1997, Muhammad Yunus ha proposto una meta: fornire a cento milioni di famiglie un microcredito di circa 50 dollari l'una. Quell'obiettivo oggi è stato quasi stato raggiunto". Salviato sfata il mito secondo cui le donne costituirebbero la quasi totalità dei clienti: "È vero, figurano come tali. Ma spesso chiedono il finanziamento per conto del marito che, magari, lavora in città a centinaia di chilometri di distanza". Poi passa a elencare i lati positivi, nell'esperienza che la Banca Etica ha in Africa. I prestiti vengono restituiti al 95 per cento: "Una percentuale altissima, soprattutto con garanzie inesistenti. Noi coinvolgiamo la comunità locale, che esercita una pressione sociale sul cliente. E poi, molti sanno che dopo ci sono solo gli usurai. Abbiamo anche potenziato le istituzioni finanziarie a livello locale, che monitorano la situazione. E diversi finanziamenti sono legati a fondi di garanzia creati da enti italiani o locali". Salviato ammette che "alcune istituzioni applicano tassi leggermente superiori a quelli di mercato, ma il problema è che questi clienti sono, come si dice, "non bancabili"". Traduzione: meglio pagare caro il denaro che non averlo del tutto. E se non bastasse questo, Salviato ricorda le ricadute positive per i Paesi ricchi: "Il microcredito fa diminuire il tasso di immigrazione. Crea aziende rispettose dell'ambiente, tema che riguarda tutti. E incentivando la capacità economica dei Paesi in via di sviluppo, li rende potenziali acquirenti dei nostri macchinari e beni di consumo". Business o aiuto? Forse tutti e due.
PRESTITI A 100 MILIONI DI PERSONE
- Oggi, nel mondo, esistono circa tremila istituti di microfinanza, con 100 milioni di clienti.- Alcuni prestiti si limitano a 24 centesimi di dollaro, la media è di 27,40 dollari.
- Grameen, Finca, Asa e Brac sono le banche più grandi. Create ad hoc, non dipendono dalla Cooperazione internazionale né da donazioni.
- La Grameen ha oltre duemila filiali e sei milioni di clienti. Nel 2005 il 56% di loro è riuscito a creare delle piccole imprese, uscendo dalla povertà. I beneficiari sono al 96% donne. Il tasso di restituzione del prestito è tra il 98 e il 99%.
- Diverse banche generaliste hanno fondi dedicati. Le più importanti sono Citigroup, Morgan Stanley, Deutsche Bank, Goldman Sachs, Ing Bank.
(Università Bocconi di Milano)
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