Sono un ingenuo, in fondo, per questo non capisco come ci sia gente che odia Manu Chao; ma è così che va il mondo. Detto questo, questo giovane di 46 anni torna in questi giorni con un nuovo disco che si intitola La Radiolina. Le coordinate, per quelli che conoscono già Manu, sono le stesse di sempre, in qualche caso accentuate, se volete.
L'autocitazione, sia nella musica che nelle parole (ma anche la citazione e basta, vedi il testo di Mala Fama, un capolavoro appunto di citazioni e autocitazioni da perderci la testa). I suoni, i riff, le armonie, si inseguono per tutto il disco come sempre, e non è una novità se Manu costruisce 2, 3 o 4 pezzi su un unico tema musicale (esempio pratico: Rainin in Paradize, El Kitapena e Mama Cuchara; ma anche Siberia è parente stretta, anche se il giro di basso la diversifica un bel po').
E', però, l'altalena dei sentimenti che rende questo disco addirittura più bello dei precedenti, seppure belli e interessanti. Ci sono rabbia sociale e quindi pezzi degni dei migliori Clash (ma non sempre il testo "corrisponde" con la musica, vedi Politik Kills), soprattutto quando saranno eseguiti dal vivo (penso per dirne una a Panik Panik), ma ci sono pezzi che deframmentano la canzone popolare di tradizione latina, di tutti i tipi, e rileggono la canzone d'amore ai tempi della globalizzazione. Qui Manu tocca il cuore dell'ascoltatore, che magari si aspetta un corteo anti-G8 e si ritrova un pezzo come Amalucada Vida (perchè eu nao sei dormir sem a tua companhia, io non so dormire senza la tua compagnia) o, addirittura una specie di flamenco che parla di una prostituta che aspetta l'uomo che la redimerà (o, meglio, la salverà dalla strada, perchè mi corazón no es de alquila, il mio cuore non è in affitto). Senza parlare del pezzo dove Manu, insieme all'amico Tonino Carotone, canta in italiano (finalmente!), anche se solo in parte, dal titolo A Cosa, davvero malinconico.
Sul singolo, Rainin in Paradize, del quale abbiamo già parlato su questo blog, poco da aggiungere: travolgente, indovinato, duro nel testo e avvincente nella musica, divertente nel videoclip diretto nientemeno che da Emir Kusturica.
Un disco per sperare in un mondo migliore, e al tempo stesso un disco per commuoversi ascoltando il mariachi del mondo globalizzato. Buono per tutte le stagioni, non piacerà a chi non ama le commistioni di stili, e neppure a chi pensa che crossover siano i Linkin' Park.
Io, come detto in apertura, sono un ingenuo e anche dalla lacrima facile. E quando non viaggio, mi faccio trasportare da Manu Chao.
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