Soffio - di Kim Ki-duk 2007
Giudizio sintetico: si può vedere
Jang Jin è in carcere per un delitto orrendo, attende l'esecuzione passando il tempo in una cella che divide con altri tre carcerati, uno dei quali è innamorato di lui. Non perde occasione per tentare il sucidio e non parla (forse è muto, forse non ne ha voglia; in realtà, l'attore scelto da Kim, Chang Chen, bravissimo al punto che ti fa credere di essere realmente pazzo, è taiwanese e non sa una parola di coreano), mai.
Yeon (Park Ji-a, gli appassionati di Kim l'avevano già vista in The Coast Guard) è una casalinga con l'hobby (o l'aspirazione) della scultura, ha una bella casa high-tec minimalista e una figlia piccola, ma ha un marito disamorato che la tradisce apertamente. Ascolta, all'inizio distrattamente, poi sempre più interessata, man mano che il distacco dal marito si accentua, le "avventure" di Jang Jin in televisione. Un giorno, sempre più amareggiata dall'atteggiamento del marito e sempre più incuriosita dal personaggio del carcerato condannato a morte e pluri aspirante sucida, decide di andare a trovare Jang in prigione. Inizia così una strana e intensissima relazione tra i due, inizialmente osteggiata, poi appoggiata apertamente, dal direttore del carcere (cameo del regista, anche se di riflesso).
Sono completamente d'accordo (lo dissi in tempi ancora non sospetti) con chi dice che forse il regista coreano dovrebbe rallentare il ritmo delle sue produzioni; ma non c'è dubbio che, seppur incompleti, irrisolti, minimali, i suoi film hanno sempre delle idee, spesso grandi idee. E' vero pure che sempre più si avvia a una sorta di autoreferenzialità, autocitandosi in continuazione e continuando a viaggiare nella galassia cinema parlando spesso dei temi a lui cari, che riappaiono in continuazione nei suoi film, al punto che spesso ci si ritrova, dopo qualche mese, a far confusione e a sovrapporre le immagini e le storie dei suoi lavori. A meno che non sia una cosa voluta, che il suo disegno non sia quello di comporre un unico, grande film a episodi, sempre sugli stessi temi. Il che, in fondo, non stupirebbe in un personaggio talmente fuori dagli schemi.
Altra annotazione fondamentale: il cinema di Kim Ki-duk è quel cinema talmente minimale che lo spettatore, seppur fiaccato dalla lentezza dell'azione, dalle atmosfere rarefatte e dai dialoghi ridotti all'osso e a volte buffi al punto da sembrare ridicoli, costringe lo spettatore a ricercare il senso della storia e dei personaggi, a lavorare per costruire quello che il regista sottrae o non dice. Ecco perchè è un cinema impegnativo, che ti stanca anche se il film, come in questo caso, dura meno di un'ora e mezzo.
Ecco, per chi ancora non conoscesse il regista coreano, regolatevi su questo. Se siete interessati ad un impegno intellettivo extra, Kim Ki-duk fa per voi, altrimenti girate alla larga dai suoi lavori e quindi anche da questo film.
Le dinamiche dell'amore, un doppio triangolo amoroso, la vita, la morte, il respiro (l'hanno già scritto altri, e concordo che la traduzione del titolo sarebbe stata migliore con, appunto, respiro, anche se ci ricordiamo un film italiano, tra l'altro molto bello, con lo stesso titolo), il tradimento, l'opportunismo. Soffio è tutto questo, anche se con poche, pochissime parole.
Non aspettatevi virtuosismi di ripresa, per questo regista che viene dalla pittura e che, quindi, predilige riprese statiche, contrasti di colore, sfumature, particolari. Siate pronti a situazioni spesso ridicole, a volte imbarazzanti (le visite di Yeon a Jang Jin), ma non per questo insignificanti. Non aspettatevi rassicurazioni: la vita, spesso, è una merda.
Non aspettatevi risposte: questo regista, addirittura, non pone nemmeno le domande. Dovrete fare tutto da soli.
In conclusione, un'altra opera spiazzante e interessante; non so dire se davvero dobbiamo continuare a sperare che il regista riduca il ritmo, e ci regali un altro capolavoro come Primavera, Estate, Autunno, Inverno...e ancora Primavera, oppure dobbiamo metterci l'animo in pace ed imparare a godere di queste sfide tutto sommato stimolanti. In fondo, se guardiamo indietro e rileggiamo la sua filmografia, ogni suo film ci lascia qualcosa. Questo suo ultimo compreso.
Non è poco.
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