Ai confini del Paradiso - di Fatih Akin 2007
Giudizio sintetico: da vedere
Ali è un immigrato turco in Germania, pensionato, vedovo; suo figlio Nejat è professore all'Università. Alla ricerca di compagnia, comincia a frequentare Yeter, una prostituta, anche lei turca, non più giovanissima. Dopo qualche tempo, le offre la stessa cifra che guadagna facendo "il mestiere" per vivere e scopare solo con lui. Dopo alcune riluttanze, Yeter accetta. Nejat, anche lui interdetto inizialmente, si affeziona alla donna. L'idillio si romperà di lì a poco, innescando una spirale di avvenimenti che porteranno i protagonisti (gli altri tre - la figlia di Yeter, Ayten, affiliata ad un gruppo extraparlamentare turco tacciato di terrorismo dal governo, Lotte, una studentessa tedesca che intreccia una storia con Ayten, Susanne, la madre di Lotte - subentreranno nella storia poco dopo) ad un'altalena tra la Germania e la Turchia, ma soprattutto ad un viaggio dentro se stessi e alla ricerca della pace interiore.
Lo confesso, sono stato in difficoltà a riassumere la trama, e non solo perchè non volevo svelarne gran parte. Il percorso che Akin fa fare ai suoi personaggi è lungo, tortuoso, spesso pieno di forzature, ma totalmente affascinante. Il regista tedesco, di chiare origini turche, poco più che 34enne, pensate, che si diletta a fare il dj (DJ Superdjango), e che pochi anni fa ci aveva conquistato con il suo intenso, violento e appassionante La sposa turca, dopo l'intermezzo del documentario musicale Crossing the Bridge: The Sound of Istanbul, torna con questo film tutto cuore e stomaco, e si guadagna la palma del regista peggio "interpretato" dai traduttori di titoli italiani (La sposa turca in originale suonava come "Contro il muro" (Gegen die Wand), episodio chiave di quel film, mentre il titolo originale tedesco di questo Ai confini del Paradiso è esattamente "Dall'altra parte", titolo che personalmente trovo corretto; a parziale scusante dei traduttori, c'è da dire che il titolo "internazionale" di questo Auf der anderen Seite è The Edge of Heaven).
Non è tutto: Akin si guadagna un posto nei cuori degli appassionati di cinema molto sentimentali, attenti alle sceneggiature "fatte" dai personaggi e dalle loro storie, quelli a cui piacciono le coincidenze alla Buñuel, alla Kieszlowski, quelli a cui è piaciuto Prima della pioggia di Manchevski, tanto per dirne alcune. Un film "circolare", che inizia con la fine, che fa incrociare più e più volte i protagonisti ma non li fa incontrare, queste persone così fragili e così umane, che si sfiorano, si cercano, si annusano, sbagliano, si incazzano di brutto, e poi, magari, piangono. O cambiano.
C'è tanto di tutti noi, nel film di Akin; ci sono i rapporti difficili genitori/figli, c'è la nostalgia per le radici, l'immigrazione per sopravivvere, l'integrazione riuscita e no, il quieto vivere e il fascino del cambiamento, il rimpianto per chi non c'è più, il sesso e l'omosessualità, l'amore e la solitudine, il viaggio, la difficoltà di crescere, e addirittura i problemi dell'Unione Europea con i vicini; ma, soprattutto, c'è la morte, che arriva all'improvviso ed è parte della vita. E quelli che rimangono, che devono fare i conti con la morte degli altri.
La regia è dolce, cambia registro rispetto a La sposa turca, anche se spesso fronteggia esplosioni improvvise di violenza, meno carica e più riflessiva, indugia dai finestrini dei treni e delle auto, nei campi lunghi, ma è puntuale nei primi piani; la fotografia è calda, anche per la parte tedesca, quasi un omaggio al paese che lo ha accolto e gli ha dato i natali. Ancora una volta, riesce ad essere "orientale" ed europeo allo stesso tempo, personale e particolare. La "circolarità" è usata fino alla nausea, ma riesce ad essere efficace: indimenticabili le due scene delle bare che scendono e salgono sull'aereo, quelle dove i protagonisti si incrociano vicinissimi ma pensano ad altro.
Gli attori sono giusti, e riescono perfettamente ad esprimere, ognuno a suo modo, le loro inquietudini profonde. L'unica già conosciuta (molto) è la Schygulla (Susanne), ma, curiosità, Tuncel Kurtiz (Ali) si era già visto in Italia in A cavallo della tigre di Mazzacurati. Bravi, bravissimi Baki Davrak (Nejat) e soprattutto Nurgul Yesilçay (Ayten), in una parte soffertissima.
Ho letto, dopo aver visto il film, tutte le recensioni negative su questo film, ed ho trovato le argomentazioni anche piuttosto sensate. Ruffiano il regista, troppi personaggi, troppa carne al fuoco.
Eppure, non sono riuscito ad amare di meno Ai confini del Paradiso. Cuore e stomaco. Marchio di fabbrica di Fatih Akin.
Fra i migliori film di questo 2007.
3 commenti:
finalmente qualcuno a cui è piaciuto questo film...
se non ho capito male, è piaciuto molto anche a massi
ciao giulia, era un po' che non ti si sentiva :))
ho seguito in silenzio, comunque ho seguito...!
bella recensione, come quella su cronenberg, as usual..!!
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