No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20081115

Berlin

Da D la Repubblica delle donne, nr. 615

FENOMENO
Oh,Berlino!
Gli stranieri sono più di 13mila. Molti dagli Usa. Ma che cosa ci fanno qui?

di Federico Sarica

"Siamo poveri ma sexy", ama dire il sindaco di Berlino Klaus Wowereit quando parla della sua città. Poveri nel senso che a Berlino affittare un appartamento costa ancora oggi un terzo rispetto a Londra o Parigi; sexy perché il fascino che la capitale tedesca esercita sugli stranieri pare non esaurirsi mai. Tutti berlinesi tranne i berlinesi, verrebbe da dire buttando un occhio ai dati ufficiali: il numero di tedeschi residenti nella capitale cala costantemente da cinque anni in misura inversamente proporzionale al numero di americani che stanno mettendo radici lì (nell'ultimo censimento datato '06 gli americani ufficialmente residenti a Berlino erano 13.100!). Ma cosa vanno a fare a Berlino? Non gli impiegati né tantomeno gli operai; in alcuni casi gli studenti e, in maggioranza, i creativi. "Il cliché che circola è che Berlino, a livello di prospettive e possibilità, sia ora quello che New York era negli anni Ottanta", ha recentemente dichiarato al New York Times Nadja Vanchauwemberghe, direttrice dell'Ex berliner, mensile berlinese in lingua inglese e organo ufficiale della comunità anglosassone. "La realtà è che è una città economica, cool e internazionale", ha aggiunto il suo editore Maurice Frank. Insomma l'ideale per mettere su casa e famiglia in età relativamente giovane, senza dover rinunciare alle proprie esigenze di creatività; una sorta di terra promessa per artisti, musicisti, galleristi e imprenditori del settore in genere. Risultato: dove negli anni Novanta fiorivano gli squat, le case occupate che hanno caratterizzato l'iconografia della Berlino post-muro, oggi sorgono boutique di tendenza, gallerie d'arte contemporanea, locali e club d'avanguardia. In buona percentuale Made in Usa."Ho incominciato a frequentare Berlino nel 2002 su suggerimento di un mio amico curatore danese", ci racconta Javier Peres, cubano cresciuto a Los Angeles, titolare della galleria Peres Projects, "e prima della fine del 2004 mi sono ritrovato a vivere fra Los Angeles e Berlino. Qui un anno dopo ho aperto la mia galleria, con l'identica formula con cui avevo inaugurato a LA. Cosa mi ha spinto a farlo? Ho capito subito che questa era una città in cui ogni artista avrebbe voluto esporre: era internazionale e centrale rispetto a molte istituzioni europee di arte contemporanea. Berlino stava diventando un vero e proprio hub". Analogie e differenze fra la città degli angeli e la capitale tedesca? "Sono due città completamente diverse ma sono entrambi posti dove, se hai le idee chiare, puoi trovare il modo di realizzarle. In questa fase preferisco vivere a Berlino. Qui tutto e tutti possono ispirarti. Ti senti al centro di qualcosa; sei in Germania ma non appartieni a nessuna nazione. E poi è incredibilmente economica e sostenibile". Se da Kreuzberg tiriamo un'ipotetica retta verso nord, oltrepassiamo la linea immaginaria del Muro, tagliamo in due il cuore pulsante della città, Mitte, ci troviamo dritti a Prenzlauer Berg, un tempo quartiere-dormitorio operaio della DDR e oggi polo creativo di tendenza, diurno e notturno. Qui Oliver Miller, nato a San Francisco, una laurea a Princeton con tesi sulla rivalutazione del tempo libero e degli spazi ad esso dedicati, divide il suo tempo fra i due locali che ha progettato, aperto e tuttora gestisce: il Dr Pong dal 2004 e il Kim dal 2007. "Il Pong è un locale costruito attorno a un bar, una consolle per dj, e un tavolo da ping-pong. Mi interessava fondere insieme due mondi apparentemente lontani, quello dello sport e quello delle feste, accomunati in realtà da forti scosse di adrenalina e conseguenti perdite del controllo. Non è importante il luogo in sé, ma le dinamiche che qui si vengono a creare. Per questo entrambi i miei locali hanno un'impostazione design che dà una sensazione di non finito. È quello che noi chiamiamo broke ass minimalism (minimalismo da spiantati, ndr)". E qui si capisce perché Berlino; probabilmente non ci sono tante altre città al mondo dove si possano coniugare esperimenti sociologici, sogni universitari, locali non finiti, velleità artistiche, musica, arte e tempo libero. O almeno, a oggi in molti sembrano pensarla così. "E se le cose cambieranno o le leggi diventeranno più restrittive, sono pronto ad andare altrove. Ho sentito dire che Kiev è un gran bel posto", afferma Ron Rineck, trentaduenne di Salt Lake City, un passato di feste improvvisate sul proprio furgone-abitazione, e oggi titolare dell'Ichiban Karaoke Bar, locale culto della Berlino underground.Per ora si resta felicemente qui, nella più contemporanea delle città europee, divisi fra storia, avanguardie artistiche, stranieri innamorati e un tasso di disoccupazione giunto ormai al venti per cento. Tutti incredibilmente sexy, poveri e meno poveri. Parola di sindaco.

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