Siamo di nuovo in autostrada, ed arrivare a Bruges è un attimo. Ci perdiamo per trovare un parcheggio (naturalmente coperto), ma la situazione si risolve abbastanza in fretta e siamo vicinissimi al centro. Del resto, mi pare che Bruges non sia così enorme. Sembra di stare in pieno medioevo, ogni angolo di questa cittadina è deliziosamente artistico. Ci sono in giro un sacco ma veramente un sacco di turisti, belgi compresi, ovviamente. Avendo visto da poco questo film, mi ritrovo ad osservare e riconoscere tutti gli scorci dove sono state girate le scene. La piazza e il campanile sono imponenti, i canali e le viuzze splendidi. Negozi di dolciumi schifosamente grasse ed eccezionalmente tentatrici dappertutto. Non possiamo esimerci, ma ci regoliamo.
La passeggiata è soddisfacente, e il rientro un po' insonnolito, ma piacevole. Sento casa di Dria e Sabien già come casa mia, e si mangia di gusto anche perchè Sabien cucina bene. Mi corico con un certo piacere, senza lo stress da sveglia mattutina per il lavoro.
La sveglia è lenta, mi ci sto abituando, non vorrei risentirne al ritorno. Si decide di fare un giro a Ieper, la città natale di Sabien, che si preannuncia interessante. E' un po' più lontana di Bruges, non lontana dalla frontiera con la Francia. In effetti è un gioiellino. A parte quel pizzico di malinconia che già si nota nelle spiegazioni di Sabien e addirittura in quelle di Dria (quella era la casa dove vivevamo, quella era la nostra panetteria), la storia di questo piccolo centro è un po' triste e molto cruenta: durante la Prima Guerra Mondiale fu teatro di scontri tra tedeschi e inglesi, e alla fine fu completamente rasa al suolo. Inoltre, ha il macabro primato di aver dato il nome all'altresì detto gas mostarda, che si chiama (appunto) anche iprite (dal nome francese di Ieper, Ypres).
La città fu ricostruita interamente e fedelmente dopo la guerra; in mezzo alla piazza principale troneggia il Mercato dei Tessuti, una costruzione imponente che ricorda una grande chiesa, che in origine era stato costruito sopra un canale che adesso non c'è più. La piazza è ampia e ariosa, ed è costellata da localini con tavoli all'aperto, dove ci sediamo per bere qualcosa e dove ci raggiunge il fratello di Sabien, simpaticissimo come la sua fidanzata che conosceremo poco dopo. Spassoso il mix di chiacchiere che si crea: Sabien e suo fratello in olandese, lui con me e Dria in inglese, io e Dria in italiano, con Matilde che appare un po' spaesata, ma solo a momenti. Giriamo un po' fino alle mura e alla porta principale della città, dove ci sono le lapidi dei caduti, che furono moltissimi (da parte inglese circa 300mila); i ragazzi mi raccontano che perfino famiglie indiane vengono fin qui in pellegrinaggio, dato che l'esercito inglese contava anche e soprattutto su soldati che venivano dalle colonie. Nonostante tutto ciò, l'aria che si respira è tranquilla e rilassata. Magari esistono luoghi dove la guerra insegna qualcosa.
Rientro a casa, che ricorda quello di ieri sera, fra battute e discorsi seri, senza pensare troppo al fatto che questa brevissima vacanza è ormai terminata. Infatti, il check in on-line è lì che mi aspetta. Prima di spegnere la luce e di dormire, scopro dai messaggi sul cellulare che mio padre, sbagliando giorno, era all'aeroporto di Pisa ad aspettarmi. Ci chiariamo. Speriamo non si sia scocciato troppo e che ci sia anche domani sera.
Il lunedì scorre lento, e di meglio non potrei chiedere. L'esperienza di oggi è la spesa al supermercato, insieme a Dria, una di quelle che ormai aspettavo dal primo giorno. Ed è comunque interessante, per rendermi conto di quello che anche il mio breve soggiorno a Berlino di un mese dopo mi confermerà, e cioè che in Italia costa tutto di più. Non solo. Altre particolarità mi colpiscono. Pochi fronzoli ma una discreta scelta nella varietà di ogni tipo di prodotto. Offerte con assaggi ad ogni angolo del market, senza "rappresentanti" che ti approcciano, tutto self-service. Reparto orto-frutta (yogurt compresi) isolato dal resto con tende di plastica con una temperatura artica: è consigliato indossare il giacchetto prima di entrare. Per i calvi, pure il cappello di lana. Casse con le cassiere o i cassieri in piedi. Scaffali altissimi con scale o pinze apposite per raggiungere i prodotti.
Nel tardo pomeriggio si fa una specie di merenda-cena. Tutta la famiglia si anticipa per permettermi di sedere al tavolo con loro, per l'ultima volta (per questa volta). Saluto Sabien e Matilde, poi Dria mi accompagna fino a Charleroi con l'auto. Le ultime chiacchiere, poi un abbraccio. Ci vorrà un po' per rivedersi. Passo i controlli, faccio la coda, scambio qualche chiacchiera con passeggere in fila. Durante il volo mi faccio i cazzi miei. Arriviamo in anticipo, non è ancora mezzanotte. Per l'una dovrei essere a letto. Mi faccio due risate con mio padre che mi riporta a casa, scambio sms con un collega che si premura che sia arrivato e che riesca ad andare a lavoro l'indomani, lui deve andare in ferie. Lo tranquillizzo. Forse per qualcuno è ancora strano che uno scenda da un aereo a mezzanotte e alle sette del giorno dopo sia a lavorare. Non è più così: siamo nel mondo globale. Siamo in Europa. E noi siamo l'ultima ruota del carro, signori.
==========
Jumbolo in giardino di casa Dria/Sabien preso nella lettura dell'atlante, per decidere dove vuole essere scarrozzato. Foto di Dria
Nessun commento:
Posta un commento