No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20121130

Summer

E la chiamano estate - di Paolo Franchi (2012)
Giudizio sintetico: si può perdere (2/5)

Italia. Dino e Anna sono una coppia benestante. Stanno insieme da anni ma il sesso non è contemplato nel loro rapporto: lei vorrebbe, ma evidentemente lui non ne è capace. Eppure, Dino ogni sera esce, da solo, e di sesso ne fa a vagonate: locali per scambisti, frequentazione praticamente fissa di una coppia conosciuta in un locale del genere, prostitute di ogni genere, occasionali e fisse. Anna accetta passivamente tutto questo, come se non lo sapesse; rifiuta avances di ogni genere, è una donna piacente, e ogni notte attende quieta che Dino torni a casa da lei, nel loro letto, nella loro casa piena di bianco e di luce, mentre Dino è fuori immerso nel buio della sua esistenza tormentata. Dino è convinto di amare Anna, e, incapace di amarla fino in fondo, si mette alla ricerca di tutti gli ex di lei, invitandoli a contattarla. Trovando solo risposte negative, ottiene solo di essere tradito, alla fine, e per lui rimarrà solo una strada...
Naturalmente incuriosito dalle polemiche che hanno accompagnato il terzo film di Franchi al Festival di Roma, mi sono messo alla visione di questo E la chiamano estate senza ricordarmi che lo stesso Franchi era il regista del deludente Nessuna qualità agli eroi, ma ancora prima, del promettente La spettatrice. Ripensandoci a posteriori, sembra quasi che Franchi si sia "cacato addosso", appunto dopo un debutto più che promettente. E l'impressione è che quando ha inserito pesantemente il sesso nelle sue storie, si sia perso in una spirale senza fine di psicologia da quattro soldi e di simbolismi messi a caso per darsi un tono autoriale.

E la chiamano estate è un film decisamente pretenzioso, fatto di luci e ombre (fuor di metafora), di effetti flou (dentro la casa di Dino e Anna) alternati con riprese col telefonino (le "imprese" di Dino), di simbolismi (come detto prima) che lasciano il tempo che trovano (l'inizio e la fine del film), di un montaggio complesso che sembra messo lì apposta per rendere la storia più complicata, quando in realtà è molto semplice e, diciamocelo, molto poco interessante. Tra l'altro, contrariamente a molti, ai quali l'interpretazione di Jean-Marc Barr (Dino) è piaciuta, io non l'ho apprezzata; secondo me l'attore franco-americano (nato in Germania) non riesce a dare una profondità dolorosa ad un personaggio che dovrebbe trasmettere quantomeno sofferenza. Davvero poco incisiva anche la prova di Isabella Ferrari (Anna), che mi è parsa un po' troppo impegnata a fare la bocca a cuoricino.
Non nego che Franchi sia padrone del mezzo, ma il mezzo deve essere pure riempito da una storia. E questa storia, se possibile, deve interessare lo spettatore, i protagonisti della storia devono trasmettere emozioni. Qua, nonostante si cerchi di trasmettere disperazione, tutto rimane piatto, senza alcuno scossone.

5 commenti:

monty ha detto...

Grazie

Filo ha detto...

Non l'ho visto e non penso che lo vedrò nell'immediato. Una prima riflessione al volo però è: come si fa a fare un film così DOPO "Shame"?
Difficile.

jumbolo ha detto...

@monty: e de che?
@filo: boh, magari luilì voleva fare un'altra cosa.

monty ha detto...

Ti avevo espressamente chiesto
una rece di questo film :D

jumbolo ha detto...

si si, mi ricordavo....non c'era bisogno di ringraziare....tanto l'avrei fatto....oddio dopo averlo visto non è che lo rifarei :)