No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20131015

Shady Ladies 2

Volbeat + Iced Earth, venerdì 11 ottobre 2013, Trezzo sull'Adda, Live Club

continua dal post di ieri

Poi parte Sad's Man Tongue, che ci dice dell'altra enorme influenza che genera il curioso e piacevole miscuglio del sound Volbeat, il rock and roll e il rockabilly. Immediatamente dopo parte Lola Montez, e rimango un po' sorpreso, è decisamente presto per giocarsi un "riempipista" del genere. Il pezzo è il mio preferito assoluto del disco e della bandMichael si ferma dopo un paio di strofe e lascia cantare il pubblico. Poi fa il finto sorpreso, domandando se per caso non "abbiamo sentito questa merda alla radio". Vabbè, questa falsa modestia magari è troppo, ma il personaggio non si può non amare: un po' Elvis, camicia da cowboy, davvero poco nordeuropeo, tiene in pugno il pubblico senza strafare. A questo proposito, anticipo il momento clou del concerto, quando resosi conto che il sudore lo aveva spettinato, prende il pettine dalla tasca posteriore dei pantaloni e, con un rapido ed esperto movimento, si rimette in ordine. Priceless. Tornando a Lola, il pezzo è esigente dal punto di vista vocale, Michael non è propriamente impeccabile ma se la cava anche in questo frangente, e alla fine sono soddisfatto della versione; menzione per Caggiano, che ripropone anche questo assolo in maniera quasi stucchevolmente pedissequa alla versione del disco. Ecco Heaven nor Hell, un mid-tempo che secondo me è un altro pezzo-della-madonna, tanto per essere blasfemi fino in fondo, seguito da un ulteriore estratto da Beyond Hell/Above Heaven16 Dollars, un altro corposo rock and roll, che mentalmente segno con un check, visto che era nella wishlist di Monty. Si torna al metal con Dead But Rising (by the way, bridge chorus breve davvero fenomenali anche in questo pezzo). The Mirror and the Ripper prosegue la cavalcata di chitarre taglienti e belle melodie, dopo di che i danesi (altro siparietto di Michael sulla partita di calcio tra le nazionali di Italia e Danimarca appena terminata in parità, che si conclude con "il calcio non è una religione, l'heavy metal lo è!") ci sorprendono ancora eseguendo My Body degli Young the Giantcover presente anche nell'ultimo disco; la versione, come su disco, è bella, al tempo stesso riesce ad essere eterea e potente. Si va avanti con Maybelenne i Hofteholder, altro bel riassunto di metal rock and roll, e mi soffermo solo per raccontarvi una scoperta che ho fatto cercando qualche spiegazione sul pezzo. Il titolo è in danese, e significa "Maybelenne in giarrettiera". Il testo è quantomai attuale, perché racconta di una stripper e di uno stalker che causa un incendio nel quale Maybelenne rimane uccisa. Quindi, per dire, non sono neppure troppo cazzari come appaiono, questi Volbeat. Arriviamo quindi a quella che io ho definito "una cover di 2 Minutes to Midnight degli Iron Maiden", The Hangman's Body Count, un pezzo che comunque dal vivo dice la sua in quanto a impatto, seguita dal "momento juke box", un po' come fa Tori Amos, anche se la cosa è un po' "guidata". I Volbeat, mentre Michael chiede al pubblico cosa vuole sentire, eseguono la prima strofa di Breaking the Law dei Judas Priest, un po' di Keine Lust dei Rammstein, l'attacco di Raining Blood degli Slayer, addirittura l'acchito di Run to the Hills dei Maiden, per finire con l'intro di Evelyn, con Michael che scherza sul growling (nel pezzo in studio, a cura di Mark Barney Greenway dei Napalm Death) che dovrebbe venire immediatamente dopo.
Still Counting, pezzo dalla prima strofa più bella di sempre ("counting all the assholes in the room, well I'm definitely not alone"), conclude la prima parte del concerto con il pubblico decisamente ben disposto, e deciso ad averne ancora.
Due parole sui "comprimari"; Jon Larsen, batteria, è un drummer lineare e preciso, poche concessioni alle rullate o allo spettacolo, molto bravo con i piedi (usa spesso la doppia cassa). Il bassista Anders Kjolholm, di certo non un seguace di Billy Sheehan in quanto a tecnica, pare un simpaticone, al pari di Poulsen, che però essendo "autorizzato" a parlare, lo dimostra chiacchierando. Molto attivo e gesticolante, fa il suo dovere anche con i backing vocals.
E così, ridendo e scherzando siamo agli encore
Il primo è Doc Holliday, il pezzo che forse più di tutti paga pegno ai Metallica. Si conclude in un tripudio con un trittico che arriva direttamente dal primo disco The Strenght/The Sound/The Songs, fino a quel momento messo in soffitta. Another Day, Another Way, robusta e altissima (ma Michael ci arriva molto bene, bravo), la splendida reinterpretazione del superclassico di Dusty Springfield, la intramontabile I Only Want to Be with You, e si conclude con Pool of Booze, Booze, Booza, dopo circa un'ora e quaranta minuti.
E' stato un bel concerto. I Volbeat sono una band apparentemente scanzonata, ma il loro stile è un bel mix di influenze diverse e neppure troppo vicine tra di loro. Saltuariamente riescono ad unire il tutto dentro allo stesso pezzo, ma anche ascoltare canzoni che sono stilisticamente diverse tra di loro non impedisce di apprezzarli in toto. Non dimenticano mai la melodia, e danno grandi soddisfazioni, a chi, come noi, vecchio cuore di metallo, apprezza delle belle chitarrone spesse e taglienti come asce.
Piacere di avervi conosciuto, Volbeat.

2 commenti:

monty ha detto...

Chissà perché ero convinto che avresti
titolato questa seconda parte
Outlaw gentlemen...

Filo ha detto...

Bello, bello! Quando tornano si rifà la reunion dinosaurica, ok?
Magari allargando anche ai blasfemi (tipo Livio o Massi) che a questo giro sono mancati.