Quando abbiamo smesso di pensare? - di Irshad Manji (2004)
Sottotitolo: Un'islamica di fronte ai problemi dell'Islam
Se fossi cresciuta in un paese islamico, probabilmente sarei diventata un'atea convinta. Se invece ho capito perché non volevo rinunciare all'Islam, è stato grazie al fatto di vivere in questa parte del mondo, dove posso pensare, discutere e approfondire qualunque argomento. Dopo tanto esplorare, la mia interpretazione personale del Corano mi riconduce invariabilmente a tre messaggi. Primo: soltanto Dio conosce appieno la verità delle cose. Secondo: soltanto Dio può punire i miscredenti, il che quadra, visto che solo Lui conosce l'essenza della vera fede. (E, visti e considerati i molti salti d'umore del Corano, ci vuole davvero l'Onnipotente per capire come tenere insieme tutto.) E' giusto che gli uomini stigmatizzino le pratiche corrotte, ma più di così non possiamo fare per favorire la fede. Terzo: l'umiltà che ne consegue ci rende liberi di riflettere sulla volontà di Dio, senza doverci attenere a una linea imposta. Ricordate la seconda sura del Corano? "Non vi sia costrizione nella Fede." E: "Voi avete la vostra religione, io la mia" riecheggia un altro verso nella sura CIX. In mezzo c'è questo: "Se a Dio fosse piaciuto, avrebbe fatto di voi un unico popolo. Invece ha fatto altrimenti". Ditemi se non è vero.
Questo libro è uno di quelli che mi ha tenuto compagnia durante il mio viaggetto in Macedonia. L'unico, dei tre, che ho impiegato qualche giorno a leggere, un po' perché non è un romanzo, un po' perché mi metteva talmente di buon umore, che volevo durasse in eterno. La prima volta che ho saputo dell'esistenza di un personaggio come Irshad Manji ve ne parlai subito. Appena terminato di vedere quel programma, andai su amazon e misi nella wishlist questo libro, purtroppo l'unico di questa autrice tradotto in italiano (almeno, per il momento). La lettura di questo The Trouble with Islam (in originale) non mi ha affatto deluso, anzi, come vi dicevo, mi ha messo di buon umore. Semplicemente perché mette allegria e felicità addosso il sapere che esistono persone così intelligenti e di buon senso, e che riescano, in qualche modo, a comunicare un messaggio positivo con un piglio così baldanzoso e fiero.
Impostato come una lettera aperta alle sorelle e ai fratelli musulmani, questo libro parla anche della storia personale della Manji, nata un Uganda e da lì sradicata, come molte altre famiglie musulmane asiatiche, dal dittatore Amin (si, quello de L'ultimo re di Scozia), cresce a Richmond, vicino a Vancouver (British Columbia) in Canada dall'età di quattro anni. E' evidentemente, una bambina che non si accontenta del "si fa così e basta", perché, in pratica, è tutta la vita che cerca risposte. Figlia di un padre autoritario e di una madre accondiscendente, si laurea alla British Columbia in legge, lavora in ambito parlamentare e poi si lancia nel giornalismo anche televisivo. Nonostante tutti i suoi dubbi sull'Islam, di cui odia gli atteggiamenti oltranzisti di quello che definisce "l'Islam del deserto" (su tutti quello dell'Arabia Saudita, che impedisce moltissime cose alle donne) e soprattutto, l'atteggiamento generale verso la donna, non lo abbandona mai, lo studia, ci riflette. Lesbica, felicemente accompagnata, tutt'oggi si definisce una refusenik dell'Islam. Ma il libro non si esaurisce con aneddoti sulla vita dell'autrice, tutt'altro. Con una prosa incalzante, scoppiettante, ironica e alla mano, si legge, come detto, che è un piacere, e sembra di avere l'autrice lì, accanto, che si inalbera per quelle che ritiene profonde ingiustizie e distorsioni di un messaggio universale, quello della religione, e insiste sul fatto che le tre religioni monoteistiche sono tutte figlie dello stesso messaggio, e condividono spesso gli stessi profeti. Dura e al tempo stesso lucidissima la parte che riguarda Israele e Palestina, con racconti di viaggio e incontri importanti, questo libro mi ha, come dire, ridato speranza in un mondo migliore, fatto di persone ragionevoli e open minded.
Così si chiude il libro, nei ringraziamenti:
Desidero infine ringraziare mia madre, per essersi fatta coraggio e non avermi mai chiesto di rinunciare all'impresa, pur essendo lei una musulmana osservante. Ciò che ha fatto è stato però esortarmi a non far arrabbiare il Signore. Un giorno, al funerale di un parente, mi pregò di andare a salutare il suo imam, giunto apposta in aereo per officiare il rito funebre. Gli tesi la mano e lui non solo rifiutò di stringermela, ma finse addirittura di non vederla. Io gli chiesi perché, e lui tirò in ballo "le regole". Allora gli suggerii che un atteggiamento umano dovrebbe valere più di qualunque regola e, dinanzi alla mia risposta, mia madre mi sussurrò preoccupata: "Non essere villana!". Cara mamma, ammesso che io sia stata villana anche nelle pagine di questo libro, e solo tu lo puoi stabilire, ti chiedo solo una cosa: non confondere, ti prego, l'ira di un imam con l'ira del Signore.
Raccomandato.
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