Versions - Zola Jesus (2013)
E se il miglior disco dell'anno fosse una raccolta di pezzi di un'artista, semplicemente riarrangiati, ricantati e risuonati, con la semplice, misera aggiunta di un dico uno inedito? Possibile, possibilissimo, se parliamo di Zola Jesus, nome d'arte, lo sapete ormai benissimo, di Nika Roza Danilova, americana (ma di chiare origini russe) nativa di Phoenix, Arizona, cresciuta a Merrill, Wisconsin, in mezzo a 100 acri di foresta, senza tv o internet. Intellettuale, interessata alla filosofia, alla letteratura e alla musica di un certo spessore ma soprattutto a quella parte oscura dell'animo umano che può essere toccata, appunto, dalle sette note, personaggio apparentemente senza nessun tipo di paraocchi: se nella recensione del precedente (magnifico) Conatus del 2011, sottolineai come zompettava allegramente da Schopenauer e immediatamente dopo si dichiarava ammirata dall'etica professionale di Alicia Keys, stavolta posso raccontarvi che mi è capitato di leggere in rete un fatterello di per sé straordinario, spulciando le reazioni al suo nuovo disco. Sollecitata da un fan su twitter a proposito del singolone Diamonds di Rihanna, rispondeva che le piaceva il brano e dopo qualche ora pubblicava una traccia audio dove rifaceva il pezzo col suo piglio solenne e glaciale al tempo stesso.
Eppure, la musica di Zola Jesus è un po', a mio modesto parere, la nuova frontiera dell'alternative femminile, e si distingue (e si distacca) da tutte le voci, sicuramente validissime, che stanno cercando di immettere nuova linfa nel cantautorato femminile d'autore, non importa da dove vengano.
Su questo stupendo, cristallino, superlativo Versions, nato dall'incontro professionale di Nika con il cantante, compositore, polistrumentista e produttore australiano J.G. Thirlwell (Foetus, Clint Ruin, Frank Want), l'artista allarga a dismisura la sua visione musicale e, al tempo stesso, le sue possibilità, pur, appunto, trattandosi di 9 pezzi (in alcune versioni solo 8) già conosciuti (ed un unico inedito, Fall Back), proponendosi come una delle più credibili alternative (o rivali, fate voi) di Bjork a livello di grandezza e di luminosità della propria stella.
E' un disco che teoricamente è scarno, c'è "solo" la (enorme) voce della ragazza e un quartetto d'archi, con pochissime introduzioni di elettronica, appena percettibili, ma la potenza, l'estesissimo ventaglio di emozioni e sensazioni che riesce a trasmettere, è travolgente, e lo potrete apprezzare se solo vi metterete all'ascolto senza preconcetti (tipo quelli che bloccano chi non ha mai ascoltato niente del genere, oppure quelli che falseranno il giudizio di chi protesta per il "cambio di genere" dell'artista).
Un disco che potremmo definire di genere classico, ma che afferma il potere universale della musica.
Il mio modesto consiglio è di non perderlo. Assolutamente.
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