Ascensore per il patibolo - di Louis Malle (1958)
Giudizio sintetico: si può vedere (2,5/5)
Giudizio vernacolare: la fia ci fa, la fia ci sfa (già usato, ma sempre valido)
Julien è un ex soldato, che lavora per una multinazionale. Decide, spinto dall'amante, di uccidere il suo principale, nonchè marito dell'amante, Florence, e simularne il suicidio per poter così godere insieme dell'eredità. Qualcosa va storto, nonostante l'omicidio vada, diciamo così, a buon fine.
Complicato recensire adesso un film considerato importante, a volte osannato. Ma è vero anche che guardare oggi un film del genere crea una sensazione buffa. La fluidità dell'azione è goffa, anche se lo schema è molto interessante, fin dall'inizio, all'improvviso, ti porta immediatamente nel vivo della storia. Le recitazioni sembrano tutte ingessate, a parte quella di Jeanne Moreau (Florence), che ha una parte fondamentale. La scena della sua camminata alla ricerca di Julien, in una Parigi oscura, fotografata da un bianco e nero che oserei definire secco, viene spesso citato come scena madre.
Malle, qui al suo debutto sul lungometraggio, non si ferma alla ricerca estetica. Questa sorta di commedia degli equivoci, travestita da macabro noir, è una riflessione sulla natura umana, lato peggiore, e non risparmia neppure la Francia coloniale, nelle battute sugli affari con i paesi, appunto, ex colonie, o addirittura con quelli ancora in guerra.
In definitiva, la goffaggine che citavo prima, che poi non è altro che la passione smisurata per le recitazioni di tipo teatrale, che Malle conserverà fino alla fine, aggiunta alla cervelloticità del messaggio del regista, rende piuttosto ostica la visione, soprattutto ad occhi poco abituati ad un cinema decisamente di un altro secolo.
Nessun commento:
Posta un commento