Give Till It's Gone - Ben Harper (2011)
Eccoci ancora una volta a parlare di un disco di Ben Harper. Un artista che, chi mi conosce lo sa, ho molto amato fino a qualche anno fa, e che proprio per questo, mi ha molto deluso in seguito, rilasciando prove tutto sommato mediocri, che, alla luce di quanto valeva prima, assumevano contorni disastrosi.
Purtroppo, anche questa volta siamo davanti ad un lavoro mediocre, nonostante le collaborazioni prestigiose con Jackson Browne (Pray That Our Love Sees The Dawn, che se non ci fossero tutte quelle cesellature inutili potrebbe sembrare un pezzo del "vecchio" Ben Harper) e Ringo Starr (Spilling Faith e Get There From Here).
Il mezzosangue (sia letto con un'accezione del tutto positiva) californiano, che per l'ennesima volta cambia monicker, visto che stavolta usa solo il suo nome, nonostante si avvalga ugualmente della collaborazione dei Relentless7 (e davvero, non si capisce il motivo), ricordiamoli, perché tra l'altro son bravissimi, Mozersky (chitarra solista) Ingalls (basso) e Richardson (batteria), che coadiuvano pure la stesura dei brani, dicevo, Harper esamina soprattutto la fine della sua storia d'amore (e di figli) con l'attrice Laura Dern (che lo ha portato perfino a "recitare" in Inland Empire di Lynch, forse anche in onore del suo luogo di nascita, appunto, la regione dell'Inland Empire), e c'è in effetti un filo sottile e amaro che sottende i brani, ma, evidentemente, non abbastanza struggente da far rivivere agli ascoltatori quelle tremende e vibrati emozioni che riusciva a dare anche da solo, con i pezzi dei primi dischi. So che è perfino noioso ripeterlo ancora una volta, ma è così. Chissà, magari con i soldi si soffre meno.
Dal punto di vista strettamente musicale, Harper e i suoi si distaccano leggerissimamente dal southern blues/rock che mi portò, in occasione della recensione del Live From Montreal, a scrivere la simpatica battuta secondo la quale si era deciso a riformare i Black Crowes senza che loro si fossero sciolti, e tra l'altro, se ne distaccano verso una direzione un po' più leggera, per cui forse vagamente peggiore. Ne perde l'approccio rude e piuttosto selvaggio, seppur altamente tecnico, dei Relentless7, anche se è innegabile che ci siano buone canzoni (Waiting On A Sign, forse la migliore, Clearly Severely, anche se già sentita).
Il succo è, però, che è tutto piuttosto scontato e, appunto, già sentito, senza grosse scosse emozionali; e su questa strada, può succedere anche di scrivere un pezzo orribile come Rock N' Roll Is Free, scelto tra l'altro come primo singolo internazionale. Pensate un po'.
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