Giudizio sintetico: si può vedere (3,5/5)
In una tenuta di campagna in Francia, nel 1889, Eugénie lavora come cuoca per Dodin, un buongustaio che si diletta nella sua cucina. Eugénie e Dodin, insieme alla sua assistente Violette e alla giovane nipote di Violette, Pauline, in visita per un giorno, preparano un pasto elaborato per gli amici di Dodin. Il gruppo si incontra regolarmente per mangiare, gustare il cibo e lodare Eugénie per la sua arte. Il loro apprezzamento per la sua cucina contrasta con la delusione per un pasto sfarzoso e discordante, durato otto ore, preparato dallo chef di un principe in visita, a cui vengono poi invitati. Eugénie e Dodin, entrambi di mezza età, hanno una relazione sentimentale di lunga data, ma mantengono camere da letto separate; lui le ha chiesto di sposarlo diverse volte, ma lei rifiuta, preferendo che la loro relazione rimanga così com'è. Trovano gioia nello sviluppare insieme nuove ricette e preparazioni. Eugénie suggerisce ai genitori di Pauline, che ha un notevole talento gastronomico per essere una bambina, di insegnare a Pauline a lavorare come cuoca, ma loro si oppongono. Dodin progetta di invitare il principe a una cena per la quale preparerà un menù incentrato su un piatto classico ma semplice, il pot-au-feu. (Wikipedia)
Del regista vietnamita naturalizzato francese, ricordavo con piacere, il piacere del cinefilo al quale piacciono anche film apparentemente inconcludenti, lunghissimi e pieni di silenzi, il suo debutto Il profumo della papaya verde, ma anche il seguente Cyclo. Il suo stile si è modificato nel tempo, ma rimangono il respiro ampio e i tempi dilatati. Il film in questione è interessante (anche per gli appassionati di cucina), splendidamente diretto e con una bella fotografia, il cast è diretto ottimamente. Qual è dunque, il problema, se ce n'è uno? L'inconcludenza, se proprio vogliamo essere pignoli (c'è una storia d'amore tormentata e fin troppo cerebrale), e probabilmente, il relativo scarso appeal per una storia europea, rispetto a quando ci raccontava storie vietnamite.
I fondly recalled the first works from the Vietnamese-born French director, with a pleasure as a cinephile who enjoys even seemingly inconclusive, very long, and silent films. I'm talking about his debut, The Scent of Green Papaya, and his subsequent Cyclo. His style has evolved over time, but the broad scope and extended timing remain. The film in question is interesting (even for foodies), beautifully directed and beautifully cinematized, and the cast is excellently directed. So what's the problem, if there is one? Its inconclusiveness, if we really want to be picky (there's a tormented and almost too cerebral love story), and probably the relative lack of appeal for a European story, compared to his Vietnamese counterparts.

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