No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.
20060219
Colombia gen 06 - 31
Holiday in Colombia 16
20/1/2006 ¿Todo es mentira en este mundo?
Nonostante le ore piccole non ci svegliamo poi così tardi, ormai è consuetudine, e poi in fondo il tempo va sfruttato a fondo. Il Nescafé che abbiamo comprato a Bogotà è una buona idea per la colazione, anche se i cornetti continuano, in ogni luogo, ad essere al formaggio. Ci informiamo sugli orari dei bus per Medellin, per decidere che fare stasera. La durata del viaggio è (così dicono) di 12 ore, quindi se prendiamo quello che prendono Cata e Vero (17,30), arriveremmo intorno alle 6 del mattino, e, sinceramente, è un po’ troppo presto per cercare alloggio. Il bus seguente parte alle 20, e contandoci un po’ di ritardo ci sembra quello giusto, quindi decidiamo per quello. Abbiamo la giornata a disposizione, e decidiamo di cercare un escursione verso le isole di fronte a Cartagena, ovviamente un qualcosa che non sia caro. La giornata è stupenda, e fa caldissimo. Chiediamo informazioni ad una signora per strada, su dove possiamo trovare passaggi per le isole a buon mercato, e la signora si spassiona spiegandoci di arrivare fino alla sede ufficiale, che ci indica, di tutte le piccole compagnie che effettuano questo servizio, e di non fermarci da quelli che ci intercettano per strada. Seguiamo le sue indicazioni, arriviamo alla struttura, chiediamo, orientandoci sulla visita di Boca Chica (le “entrate” via mare a Cartagena sono due, Boca Grande e Boca Chica); questa volta le trattative di Juli fanno arrabbiare il nero col quale discute, e la cosa ci crea un po’ di disagio. Nonostante tutto, compriamo il pacchetto, che comprende passaggio andata e ritorno, almuerzo e visita guidata all’isola. Partiamo, ho imparato a riparare meglio lo zaino dall’esperienza della lancia da Santa Marta a Playa Blanca, mi godo la vista, costeggiamo altre isole, il mare ha un colore strano, scuro, sembra più un grande fiume che un mare, e pensare che siamo nel Caribe. Arriviamo all’isola, e un nugolo di gente attende al molo, bambini soprattutto. Ci prende in consegna un ragazzo che si chiama Manuel, è la nostra guida, ci mostra la fortezza, parla troppo, ma c’è un fondo di tristezza nei suoi occhi. Un’altra cosa che fa un po’ tristezza sono i tiburones, sarebbero gli squali, ma qui sono bambini che stanno fissi in acqua e che ti chiedono di tirare una moneta in acqua, in modo che loro possano immergersi e recuperarla, per poi tenerla.
L’isola è povera di fascino, le spiagge sono tenute male, le “guide” che ti vengono assegnate (come Manuel per noi), al massimo per 4 persone, sono addirittura gelose delle persone delle quali sono “responsabili”. Non si capisce bene se davvero ci sia questa povertà profonda, o se sia tutto un gioco per incastrare i turisti. E’ quasi fastidiosa questa gentilezza, e unita all’ovvio ripensare all’arrabbiatura del tipo che ci ha venduto l’escursione ci mette veramente a disagio. Inoltre, Manuel continua ad ammorbarci con i suoi discorsi, e ci fa chiaramente capire che si aspetta una mancia a fine gita. Qui Juli si fa scura, e, visto che la guida era compresa nel prezzo, pretende una chiarificazione tra Manuel e la signora che pare la responsabile sull’isola, e che si occupa del nostro pranzo nella cucina di quella specie di ristorante dove mangiamo. Chiarimento avvenuto, Manuel rimane di cattivo umore, anche se è preoccupato del nostro. Si offre di guidarci ancora un po’, per altre spiagge dell’isola, ma ci rendiamo contro che non c’è davvero niente da vedere; a questo punto, gli diciamo chiaramente che è nostra intenzione rientrare prima del tempo. Ci accompagna dunque al molo, dove si contratta un rientro su una lancia diversa da quella sulla quale siamo arrivati, visto che rientrerà prima. Salutiamo Manuel, e non riesco a non dargli comunque una mancia. La partenza però, non è così immediata, aspettiamo in silenzio e ci scambiamo pareri un po’ divertiti su questa giornata e in particolare su questa escursione. Juli usa più volte la parola mentira, e a me viene a mente un pezzo di Manu Chao. Rientriamo, ripassiamo davanti alla torre dell’orologio per l’ultima volta, e ci avviamo verso il Marlin per ritirare in nostri bagagli, che abbiamo lasciato alla reception, mentre invece abbiamo lasciato la camera. Visto che però l’orario ce lo permette, contrattiamo l’uso di un bagno, di una eventuale camera libera, per lavarci prima di partire, visto che il viaggio si preannuncia lungo. La ragazza sexy si accorda con Juli, e a turno usiamo il bagno di un’altra camera. Adesso siamo freschi, anche se tra neppure 5 minuti sarò di nuovo completamente sudato, e possiamo ripassare le informazioni su come arrivare al terminal. Altro bus urbano, ci rechiamo lungo una strada dove passa, è lì vicino. Ne passano due, ci facciamo vedere ma non si fermano. Un passante ci spiega che c’è in giro la polizia stradale, e se i bus hanno i posti a sedere tutti occupati non si fermano (in altre occasioni tirano a fare ciccia, invece). Ci spostiamo qualche metro più indietro sulla stesa strada e finalmente se ne ferma uno. Durante il tragitto mi rendo conto quanto sia distante il terminal (all’andata, in taxi, forse mi ero distratto). Il sole tramonta, ogni tanto mi viene da riflettere sul fatto che qui sia inverno, come da noi; siamo sopra all’equatore, fa caldo ma fa buio alle 18 circa. Al terminal facciamo i biglietti, un’altra splendida prestazione di Juli, poi mangiamo qualcosa in uno dei tanti posti che costellano i terminal; le solite trattative per rimediare qualcosa senza prosciutto, con una signora più che simpatica, un toast al formaggio, che mando giù con una bottiglia di Postobon. Qui è doveroso aprire una parentesi. Il Postobon è una bevanda tutta colombiana, inoltre è lo sponsor della squadra di calcio più seguita (il Nacional di Medellin; per strada, lungo tutta la Colombia, noterete migliaia di maglie a strisce verticali bianche e verdi, naturalmente con la scritta Postobon. Esiste anche il top, da donna). Bene, per la prima volta l’assaggio, e decido che sia anche l’ultima. Sembra una medicina, e immediatamente mi viene in testa l’accostamento con il Fernet e coca argentino. Un tinto (caffè corto alla colombiana: una merda), e qualche sigaretta. Altra parentesi, già la legge sul fumo nei locali italiana si fa sentire. Domando sempre se si può fumare, e la gente mi risponde sgranando gli occhi di si. Ancora attesa, passata allegramente scherzando con Juli. Nonostante la mentira di Boca Chica, siamo allegri, siamo in viaggio, stiamo per andare a Medellin, siamo vogliosi di vedere, di macinare chilometri, di incontrare gente nuova. L’unica nota stonata è che siamo già al 20 gennaio, e il tempo sta passando.
Viene l’ora di partire, perquisizione accurata dei bagagli e delle persone, presenti un poliziotto e una poliziotta, giustamente. Si parte, e scopro con orrore, durante la proiezione di un dvd, che il bruttissimo spot contro la pirateria informatica, che in Italia vedo ogni volta che vado al cinema, è una cosa internazionale. Il copione è il solito, Juli dorme della grossa, io sonnecchio. Prima di mezzanotte però, quasi contemporaneamente, apriamo gli occhi e, guardando dal finestrino, vediamo una città che, non so perché, ci sembra familiare. Fermiamo per un’informazione il ragazzo tuttofare che di solito accompagna i due autisti sulle tratte lunghe, e domandiamo dove siamo. A Barranquilla. Rapida ricognizione mentale sulla carta della Colombia, qualcosa non quadra. E perché stiamo passando da qui? Ci viene spiegato che, durante le tratte notturne, la strada che permette di fare Cartagena-Medellin in 12 ore viene chiusa, per il discorso della guerriglia, e viene utilizzata quella da Santa Marta. In pratica, ripercorreremo a ritroso la strada che avevamo fatto fino a Santa Marta, risalendo la costa, e poi inizieremo ad andare verso sud, fino a Medellin. Morale della favola, un aggravio di almeno 4 ore sulla durata del viaggio. Cioè: Vero e Cata, col bus delle 17,30, arriveranno la mattina presto a Medellin, noi invece, partendo alle 20, arriveremo non prima di mezzogiorno. C’è poco da fare. Ascoltare il lettore mp3, dormicchiare, guardare la tv, guardare fuori dal finestrino, pensare. E aspettare.
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