No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.
20060209
Colombia gen 06 - 15
Holiday in Colombia 2
6/1/2006 Vamos a Argentina
La sveglia è all'alba, e Fabio mi accompagna a Fiumicino, aereoporto che ricordiamo con simpatia io, lui e Nico, per essere stato teatro di uno dei momenti più esilaranti della nostra amicizia. La coda al check in per il volo per Madrid arriva fuori dalla porta, e questo ha già dell'incredibile. Ci passa davanti Pupi Avati, così, per la cronaca. Riesco a portare il bagaglio a mano, e questo mi riempie di soddisfazione: meno di 8 kg, un grande traguardo per un mese fuori di casa. Facciamo colazione, poi Fabio mi saluta, ci rivediamo esattamente tra un mese.
Volo Iberia, non so se le altre compagnie hanno fatto lo stesso, ma gli spagnoli hanno abolito i fronzoli sui voli "corti", europei quindi, e se vuoi mangiare te lo paghi. Non è un problema, il volo è tra le 8 e le 11. La coincidenza a Madrid è agevole, ho tempo di andare al bagno, fare un giretto, comprare dell'acqua, chiedere la conferma che ci sia la segnalazione per i pasti vegetariani sul volo per Buenos Aires. Un poliziotto ai controlli mi chiama caballero. La fibbia della cintura fa suonare il metal detector, e questo sarà un calvario per ogni controllo prima dei voli.
Si parte per il transoceanico nel primo pomeriggio, leggermente in ritardo. Ci sono un sacco di bambini piccoli. I pasti, per sicurezza, escludono anche uova e latticini, ma sono ottimi. Non dormo, del resto è un volo da 12 ore tutto di pomeriggio; mi guardo i due film, "Goal!", prevedibile e macchiettistico, ma almeno non l'avevo visto, e "Il mercante di Venezia" a pezzi, visto che già lo conoscevo. Approfitto per sentire Pacino in originale, e ha proprio la voce da vecchio, ma vecchio attore.
Il volo dura meno del previsto (meno di 13 ore), e nonostante tutto penso poco. Sono stranamente tranquillo, magari sono stanco, non so. Quel che è vero è che non c'è niente di memorabile nel volo, nessuna perturbazione, nessuno che si sente male, nessun cretino di talento, solo qualche pianto di bambino, neppure una hostess da portarsi a casa.
Non mi va di leggere. Sono fatto così, vado a periodi. Alla fine, arriviamo, quasi in anticipo.
Passo spedito verso la dogana, il timbro sul passaporto mi fa vibrare. Esco dagli arrivi in solitario, questo è il privilegio di viaggiare leggeri. Ma si rivela controproducente: non c'è nessuno ad aspettarmi. Vado nel panico: non ho nessun numero di telefono, e me ne rendo conto solo adesso. Vago per 10 minuti guardando le persone in attesa in faccia per tentare di riconoscerci la mia amica Juliana o uno dei suoi fratelli, che però ho visto solo in una foto di qualche anno prima. Non trovo nessuno. Penso al da farsi, eventualmente. Non riesco a mettere a fuoco una strategia. Dopo quasi 15 minuti vedo un ragazzo con un foglio in mano con su scritto ALESSANDRO. E' Gastòn, il fratello maggiore di Juli. Arriva anche lei e la sua amica omonima, Juliana. Il peggio è passato.
Sono emozionato, quindi per i primi momenti poco prolisso. Conosco Juli ormai da 5 anni, ma non ci siamo mai visti di persona. E' una ragazza giovanissima, ma molto intelligente. Studia Relazioni Internazionali, ed è preparatissima a livello storico e politico, ma al tempo stesso ha un'enorme voglia di vivere e di conoscere. Adesso che la vedo ha due occhi celesti vispi e attenti, gioiosi. Sono felice di essere qui. La sua amica è simpatica, Gastòn anche, così, a pelle. Il caldo taglia le gambe, sono quasi le 23, prendiamo la macchina di Gas e ci dirigiamo verso il centro di Buenos Aires. Rompo il ghiaccio aiutato dalla comitiva, cominciamo a parlare allegramente come vecchi amici.
Buenos Aires è una città grandissima, enorme. Ha tutte le contraddizioni delle metropoli: avenidas sfarzose e moderne, enormi rampe di cemento in costruzione, architetture ottocentesche e preziose, barrios completamente ricostruiti e dati in gestione alle multinazionali, periferie povere e ragazzi che la notte esaminano i sacchi della spazzatura per vivere (in strada).
Ha fascino, insomma. Passiamo a prendere il ragazzo di Juliana (l'amica), giriamo cercando un parcheggio per la macchina, andiamo ad un hostel già conosciuto dai ragazzi per fissare per la notte, poi andiamo a mangiare qualcosa. Pizza Libre, paghi 5 pesos più 2 per la bevuta e puoi mangiare quante pizze riesci a mangiare. Al cambio attuale, circa 2 euro.
Con i piedi sotto al tavolino l'atmosfera si fa, come di consueto, ancora più informale, e mi vengono chieste le prime impressioni, mi vengono dette le loro, mi raccontano del resto della famiglia che conoscerò a breve, della festa alla quale parteciperemo domani sera, e poi la politica, i viaggi, le esperienze, i lavori, gli studi, la birra, Maradona, Caniggia e il gol a Zenga nel '90 (diventerà un tormentone), e chissà quanto altro che non riesco più a ricordare.
Juliana va a dormire dal suo ragazzo, un rosso davvero simpatico con una faccia quasi da Rickie Cunningham sudamericano, io, Gas e Juli all'hostel.
Qui mi soffermo: si dorme in camerate, da 4 letti, sono maschili o femminili, se capisco bene, il bagno è comune tra tutte le camerate, ma ci sono anche stanze doppie. E' piuttosto pulito e c'è gente apparentemente a posto, tutti molto giovani. Non ci sono abituato, ma me acostumbro (mi abituo), almeno spero. Sono o no "da bosco e da riviera", come tento di insegnare in italiano a Juli? Mi addormento a Buenos Aires, e penso che questa giornata è durata 28 ore. Magie del fuso orario.
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1 commento:
avanti con un'altra puntata, forza!!!!
vit
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