No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.
20060217
a proposito di Olimpiadi
Munich – di Steven Spielberg 2006
Nell’agosto 1972 il mondo intero seguì con ansia il fatto: una “squadra” terroristica dell’organizzazione palestinese “Settembre Nero” rapì alcuni componenti della squadra olimpionica israeliana, chiedendo in cambio la liberazione di un certo numero di prigionieri palestinesi; al termine della trattativa, i palestinesi uccisero tutti gli ostaggi. La risposta israeliana fu, ufficialmente, un bombardamento di alcune basi dell’O.L.P. siriane e libanesi, ma ufficiosamente Israele, con l’avallo dell’allora premier Golda Meir, lanciò un’operazione di spionaggio e rappresaglia furiosa, che puntava ad uccidere gli undici palestinesi che si riteneva essere progettisti e autori della strage. La squadra incaricata di ciò era composta da cinque persone, ognuna adibita a un compito specifico.
Questa, almeno, è la teoria sostenuta dal libro “Vengeance” di George Jonas, al quale il film si ispira.
Si è scritto e discusso tanto sull’ultimo lavoro di Spielberg, addirittura da molto prima che fosse visibile a tutti; è, a mio parere, effettivamente difficile da giudicare, anche per una serie di motivi che esulano da una stretta critica tecnica e cinematografica.
Il film in sé, pur se molto lungo (e questo, come spesso accade, è uno dei difetti), non annoia, ma nemmeno esalta, se si esclude l’incipit, molto bello, i flashback e alcune scene d’azione. Le frequenti riflessioni sulla patria, la famiglia, la guerra e il senso di appartenenza sono alterne, alcune indovinate, molte altre piuttosto mielose e inconcludenti.
Dal punto di vista tecnico, tralasciando il doppiaggio italiano questa volta molto discutibile (Santamaria che doppia Eric Bana, il protagonista, pare proprio gli faccia perdere forza, anche se forse è una delle scelte attoriali meno indovinate), Spielberg adotta una fotografia vintage, quasi a ricalcare i telefilm anni ’70, e con ambientazioni che non convincono sempre, riesce nell’impresa, curiosa, di ottenere un film molto “europeo”. Questo è probabilmente uno dei pregi.
Cast variegato e poco americano, dove spicca giocoforza Geoffrey Rush, il film va apprezzato più per il suo equilibrio politico, per il tentativo di non schierarsi dell’ebreo Spielberg, ma soprattutto per il messaggio, piuttosto evidente, anti-terrorista e al tempo stesso anti-militarista. La spirale di morte innescata dal primo rapimento/attentato in diretta tv più di 30 anni fa, è ancora in moto.
Per il resto, i capolavori di Spielberg sono lontani.
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