Elizabeth: the Golden Age - di Shekhar Kapur 2007
Giudizio sintetico: si può perdere
Seconda parte della trilogia che il regista di origini indiane ha deciso di dedicare alla Regina Vergine. Quindi, dopo le peripezie per la successione al trono e lo scisma dalla Chiesa Cattolica Romana, ritroviamo Elizabeth alle prese con i suoi consiglieri che la vorrebbero far sposare degnamente, pensando alla successione, ma, soprattutto, davanti all'imminente guerra contro la Spagna del cognato Filippo, forte dell'Armada Invencible (l'Invincibile Armata), una flotta imponente. Alla base, come sempre, la contrapposizione religiosa. Filippo, fervente cattolico, desidera "redimere" la protestante Inghilterra e la sua regina. Troverà pane per i suoi denti, mentre la regina vergine proseguirà nella sua strada verso l'illibatezza eterna.
Era lecito aspettarsi un degno sequel, anche se era difficile avvicinarsi allo splendore elegante e perfino gotico del primo, bellissimo Elizabeth, film del 1998 che contribuì ad accendere la stella della sempre bravissima Cate Blanchett, ma che ci strabiliò pure con la prima apparizione sullo schermo del grande Eric Cantonà. A pensarci bene, però, nell'interludio tra Elizabeth e questo The Golden Age (titolo tra l'altro "introduttivo", visto che l'epoca d'oro verrà dopo), Kapur aveva licenziato l'orribile Le quattro piume; purtroppo, questo nuovo lavoro è più sui livelli de Le quattro piume che su quelli di Elizabeth.
I costumi sono come sempre sfarzosi e belli da vedere, la mano del regista è elegante nelle inquadrature (a volte troppo), le luci e la fotografia ottima, gli sfondi spesso ispirati all'arte pittorica e mai ridicoli. E' l'intreccio che disturba stavolta, anche se si capisce che tutto tende a rendere partecipe lo spettatore del dramma solitario della regina; manca un pizzico di riflessione in più su questo tema, forse a causa di troppa carne al fuoco, o forse perchè la mano del regista non ne è capace, e nella "puntata" precedente era solo stato baciato dalla fortuna.
Il cast è di grande qualità, diretto così così. Tralasciando la Blanchett, che dopo la prova di Io non sono qui potrebbe recitare anche in un film dei Vanzina e rimanere dignitosa, troviamo un Geoffrey Rush e una Samantha Morton senza infamia e senza lode, mentre spicca, a dispetto del minutaggio, un gigantesco Jordi Mollà, grande speranza spagnola già visto in film hollywoodiani, qui nei panni di un disturbato e deformato Filippo di Spagna, mentre l'osannato Clive Owen fornisce una prestazione ai limiti del ridicolo nei panni dell'oggetto del desiderio della regina vergine, il corsaro Walter Raleigh. C'è pure un convincente Rhys Ifans, forse per la prima volta in un ruolo drammatico e cattivo.
Un film non indispensabile quindi, anche se agli amanti del fetish, tra i quali mi includo, rimarrà negli occhi l'immagine di Cate Blanchett con i rossi capelli al vento, vestita della scintillante armatura argentata e luccicante, durante il discorso alle truppe a Tylbury. Definitiva icona sessuale intellettuale.
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