.....arrivare a Kariobangi (slum che precede Koroghocho) e' un pugno nello stomaco. Forse non esistono termini che descrivono questo stato di cose. Degrado e' assolutamente insufficiente, l'inferno dantesco aiuta molto a dare un'idea. Non si possono definire le condizioni disumane, perche' neppure le bestie vivono cosi' male.
A Nairobi su una popolazione di 4 milioni di abitanti oltre la meta' vive negli slums, nell'1,5% del territorio totale della citta'. Questo forse puo' dare una vaga idea di quanto spazio abbiano queste baracche: 3/4 metri per 5/6 persone, forse.
Korogocho in kikuyu significa confusione (abbastanza appropriato direi) e conta circa 150mila abitanti su una superficie di un km e mezzo. Qui non e' solo questione di poverta', di fame, che gia' sarebbe sufficiente, ma si tratta di sovraffollamento tra fogne a cielo aperto e, caratteristica distintiva di Korogocho, la discarica di fronte (una collina di immondizia che si arricchisce ogni giorno di 2000 tonnellate di rifiuti industriali, agricoli, domestici, ospedalieri...i bambini di questo slum hanno nel sangue una quantita' di piombo 7 volte superiore a quello dei bambini di altri sobborghi).
Ubriachi, prostituzione, violenza, migliaia di ragazzi di strada (molti sniffano colla, altri sono orfani) perche', tra le altre cose, regna l'AIDS.
In certi punti la puzza e' insostenibile e gli occhi bruciano per il fumo dei fuochi di varia origine, compresa quella dei rifiuti. I bambini bevono l'acqua che scorre in terra fra la spazzatura, abbandonati a se stessi, giocano e ti salutano con "how are you?" non sanno che significa ma si divertono un sacco a dirlo. I piu' temerari ti vengono incontro per toccare la tua pelle bianca, cosi' strana per loro.
Ma come fanno a vivere? Dove trovano la forza?
Padre Daniele (missionario comboniano) mi racconta che in un ambiente del genere le persone non si sentono piu' tali. Ci credo.
Mi chiede cosa vorrei visitare e decido di fare il giro completo della bidonville e la visita alle prime due fasi del programma a favore dei ragazzi di strada.
Mentre camminiamo i piu' pericolosi sono gli ubriachi e quelli che sniffano colla, ma naturalmente ci pensa Kevin, il ragazzino che mi accompagna, cresciuto li.
Arrivare da John, il responsabile del progetto (1a fase) significa infilarsi nel cuore della bidonville, in una serie labirintica di percorsi di fogne: anche l'altezza spesso e' di un metro per cui occorre procedere piegati in avanti. Il centro di recupero e' una baracca come le altre (3x4) divisa in 3 parti: un minuscolo ufficio, una sala vuota, l'altra con le 4 panche.
John e' un uomo mingherlino, piccolo, mi accoglie calorosamente e mi spiega il progetto. Mi mostra il fittissimo programma settimanale che portano avanti solo in 3. Impensabile!
Intanto i ragazzi (la 1a fase e' quella in cui si e' riusciti ad instaurare un contatto con i ragazzi di strada, e si accudiscono durante il giorno cercando di disintossicarli) fanno un casino bestiale, arrampicandosi ovunque, in continuo movimento e sempre sull'orlo della rissa. John mi dice che sono stata fortunata perche' oggi i ragazzi sono particolarmente tranquilli.
Non oso pensare cosa accada quando non lo sono!
Disorientata non riesco a capacitarmi della forza di queste persone che lavorano incessantemente e in tali condizioni a favore dei singoli, ma anche della comunita', perche' recuperare questi ragazzi significa anche diminuire la violenza.
Mi invita a fare un discorso e tenta di farli sedere (piu' o meno).
Dico poche parole sul valore della vita e sull'importanza di viverla ma, naturalmente, trovo tutto molto inadeguato, compresa me stessa. Quando John tradurra' aggiungera' anche che non devono fare del male alle persone bianche come me, perche' sono quelle che li aiutano (come mi sono sentita di merda!!!)
Fuori dalla baracca, sdraiati in "terra" c'erano altri 5/6 adolescenti completamente persi nel vuoto. Uno ha avuto un cenno di vita e mi ha fatto il saluto pugno contro pugno. Quando mi sono avvicinata mi guardava e sorrideva, ma il suo sguardo mi attraversava e andava oltre, chissa' dove. Che tragedia!
Proseguiamo il percorso, altra mega-ipocrisia: una jeep con megafoni percorrono la bidonville facendo campagna elettorale! Sono disgustata e la puzza aiuta pure!
Raggiungiamo il centro per la 2a fase del programma (il riavvicinamento ai familiari o alla comunita' qualora si tratti di orfani, l'educazione personale - fase che precede il reinserimento nella scuola se possibile).
Trovo un grande locale in muratura, protetto dal cancello e comprendente un ampio spazio all'aperto. All'interno ci sono 3 dello staff e circa 80 tra bambini e adolescenti. Il responsabile, un ragazzo formato appositamente per questo ruolo, mi spiega che in questa fase si insegna l'igiene personale, dei propri indumenti, della cucina, del centro in generale e si fanno molte attivita' che spaziano dalla cura dell'orto, ai giochi di squadra, alla formazione artistica. Essendo l'ora di pranzo alcune ragazzine insistono affinche' mangi con loro ma, fortunatamente, Kevin risponde che Padre Daniele mi sta aspettando (c'era una quantita' di mosche esagerata su quei piatti e in quella sala!).
Al rientro ci fermiamo di fronte alla collina della discarica separata dalla collina di Korogocho dall'inquinatissimo fuime Nairobi. Non posso fare a meno di pensare al libro di Alex Zanotelli quando racconta di Kasui (7 anni) e Kimeno (3 anni). Un giorno una signora porto' questi bambini a Padre Zanotelli perche' aveva visto la bambina trascinare con se il fratellino nel fiume.
Ecco forse la definizione di Korogocho puo' essere questa: un posto che riesce a spingere al suicidio anche due bambini.
Susanna
7 commenti:
impressionante.
grazie per l'interessantissima testimonianza.
vit
Impressionante sul serio.
Coraggio Susy!
certe cose ti fanno davvero riflettere....
Grazie Susy, continua a scriverci... e complimenti per il tuo coraggio.
Grazie Susy...
mi sono permesso di pubblicarlo.
http://www.korogocho.org/index.php?pid=242
Ciao Michele, Susy e' contenta e ha saputo della cosa.
Grazie a tutti per l'incoraggiamento. Sono rientrata da pochi giorni in Italia, ma penso di tornare là e fare qualcosa, seppur minima, per aiutare. Vi terrò aggiornati sui miei progetti.
Susanna
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