El abrazo partido – L’abbraccio perduto – di Daniel Burman 2004
Giudizio sintetico: da vedere (3/5)
Giudizio vernacolare: fa ridé e fa anco piangé
Ariel è di Buenos Aires, ed è di famiglia ebrea polacca; il padre ha lasciato la famiglia quando lui era un neonato, divorziando dalla madre e andando in Israele per la guerra dello Yom Kippur, e lì è rimasto; praticamente vive nella comunità ebraica di commercianti che occupano una galleria di un centro commerciale; insieme alla madre ha un negozio di intimo.
E’ un giovane insicuro, e non capisce perché la madre quando parla del padre lo difende così tanto, visto che l’ha abbandonata con la famiglia (Ariel ha anche un fratello più grande, che ha un’altra attività commerciale nella galleria).
E’ un giovane insicuro, e non capisce perché la madre quando parla del padre lo difende così tanto, visto che l’ha abbandonata con la famiglia (Ariel ha anche un fratello più grande, che ha un’altra attività commerciale nella galleria).
A metà tra Woody Allen e Clerks, camera a mano nervosa, Burman dipinge una galleria (appunto!) di personaggi talmente grotteschi da essere più che reali, con quel sarcasmo che è proprio delle comunità ebree (tanto da far pensare che anche il regista lo sia), intreccia una serie infinita di sottotrame, definisce i personaggi e contemporaneamente, ci porta ad una conclusione a sorpresa che lascia affascinati e quasi commossi.
Il protagonista Daniel Hendler (Ariel), premiato a Berlino, è la punta di diamante di una serie di recitazioni ben fatte.
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