Estensione del dominio della lotta – di Michel Houellebecq (2000)
La discesa verso la depressione di un francese trentenne, single, apatico ma assolutamente non stupido, che lavorando da analista programmatore in una grande società informatica, si auto-priva di una qualsiasi vita sociale, per riflettere sulla vuotezza estrema della vita in questa società moderna. Dotato di una non comune (auto)ironia, e di un distacco che gli permette di essere quanto mai tagliente ma essenziale, il protagonista ci mette di fronte a questioni fondamentali, troppo spesso ignorate per (la nostra stessa) pochezza.
Primo vero romanzo del sommo francese, uscito in patria nel 1994, tradotto in Italia nel 2000, mostra già senza alcun dubbio lo spessore a dir poco imponente dei contenuti degli scritti di Houellebecq, anche di quelli a venire. Sempre inquietante, perché vicinissimo alla realtà, se solo avessimo il coraggio di soffermarci a riflettere, per questa volta l’autore maschera queste verità con una spirale verso la follia; l’angoscia del lettore è data dall’estrema lucidità di colui (il protagonista) che viene considerato folle.
Impossibile rimanere impassibili di fronte a passaggi quali: “Durante i weekend, in genere, non vedo nessuno. Rimango a casa, faccio un po’ di pulizie; mi deprimo con misura.”
Oppure: “Mi rendo conto che fumo sempre di più; mi sa che sono intorno ai quattro pacchetti al giorno. Fumare sigarette è ormai l’unica manifestazione di autentica libertà nella mia esistenza. L’unico atto al quale aderisco interamente, con tutto il mio essere. Il mio solo progetto.”
O anche: “Su un muro della stazione Sèvres-Babylone ho visto uno strano graffito: DIO HA VOLUTO INEGUAGLIANZE, NON INGIUSTIZIE, c’era scritto. Mi sono chiesto chi potesse essere quella persona così bene informata sulle intenzioni di Dio.”
Breve e scorrevole, caustico e nichilista, lucido e spietato, manifesto programmatico di quello che avrebbe poi prodotto in seguito Houellebecq.
La discesa verso la depressione di un francese trentenne, single, apatico ma assolutamente non stupido, che lavorando da analista programmatore in una grande società informatica, si auto-priva di una qualsiasi vita sociale, per riflettere sulla vuotezza estrema della vita in questa società moderna. Dotato di una non comune (auto)ironia, e di un distacco che gli permette di essere quanto mai tagliente ma essenziale, il protagonista ci mette di fronte a questioni fondamentali, troppo spesso ignorate per (la nostra stessa) pochezza.
Primo vero romanzo del sommo francese, uscito in patria nel 1994, tradotto in Italia nel 2000, mostra già senza alcun dubbio lo spessore a dir poco imponente dei contenuti degli scritti di Houellebecq, anche di quelli a venire. Sempre inquietante, perché vicinissimo alla realtà, se solo avessimo il coraggio di soffermarci a riflettere, per questa volta l’autore maschera queste verità con una spirale verso la follia; l’angoscia del lettore è data dall’estrema lucidità di colui (il protagonista) che viene considerato folle.
Impossibile rimanere impassibili di fronte a passaggi quali: “Durante i weekend, in genere, non vedo nessuno. Rimango a casa, faccio un po’ di pulizie; mi deprimo con misura.”
Oppure: “Mi rendo conto che fumo sempre di più; mi sa che sono intorno ai quattro pacchetti al giorno. Fumare sigarette è ormai l’unica manifestazione di autentica libertà nella mia esistenza. L’unico atto al quale aderisco interamente, con tutto il mio essere. Il mio solo progetto.”
O anche: “Su un muro della stazione Sèvres-Babylone ho visto uno strano graffito: DIO HA VOLUTO INEGUAGLIANZE, NON INGIUSTIZIE, c’era scritto. Mi sono chiesto chi potesse essere quella persona così bene informata sulle intenzioni di Dio.”
Breve e scorrevole, caustico e nichilista, lucido e spietato, manifesto programmatico di quello che avrebbe poi prodotto in seguito Houellebecq.
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