Metals – Feist (2011)
Finalmente, direi. Ecco, usando una frase fatta, per me Leslie Feist potrebbe cantare pure l’elenco del telefono, mi piacerebbe (tanto) ugualmente. Però lei mica si accontenta di una sequela di nomi e cognomi, macché. Le piace proprio scrivere belle canzoni!
E che tipo di canzoni scrive? Beh, nel caso di Feist, le etichette servono a poco. Indie pop, folk, addirittura baroque pop si sbilancia qualcuno. La verità è che, in una certa qual maniera, si può dire che Feist semplifichi il jazz (e la bossa nova, in minima parte), rendendolo, attraverso la forma-canzone, fruibile al punto che si possa definire pop, o qualcosa del genere.
Ma, credetemi, parlare, o scrivere, serve davvero a poco. Dopo che avrete messo su il disco, e avrete ascoltato i primi due pezzi, The Bad In Each Other (già un piccolo capolavoro) e Graveyard (l’anthem indie dell’anno: un pezzo realmente grandioso), sarete al tappeto. A me, che sono pure bisognoso d’affetto, mi è venuto voglia di abbracciarla. E magari piangerci insieme, così, mentre mi sussurra “and good man, and good woman, can’t find the beauty in each other”.
Spiccata, come accennato poc’anzi, la tendenza anthemica, al ritornello corale e da cantare: esempio fulgido ne è Undiscovered First, corposa e coinvolgente. E qui, come in How Come You Never Go There, o come in Comfort Me, dimostra di saper rockare quanto basta, anche se dentro c’è davvero di tutto, non certo solo rock. D’altra parte, Feist rimane maestra pure a scrivere (e cantare) gemme folk (alcune, appunto, fortemente intrise di jazz) quali Cicadas And Gulls, Get It Wrong, Get It Right, The Circle Married The Line (ma che voce ha?!?!), Bittersweet Melodies, Anti-Pioneer (a proposito di jazz), di quelle canzoni che, veramente, ti viene la pelle d’oca dalla semplicità e dalla bellezza. E che dire di un pezzo come A Commotion? I fiati, gli stop, le sospensioni. Fantastica.
Da assaporare lentamente. E grazie di esistere, Leslie.
Finalmente, direi. Ecco, usando una frase fatta, per me Leslie Feist potrebbe cantare pure l’elenco del telefono, mi piacerebbe (tanto) ugualmente. Però lei mica si accontenta di una sequela di nomi e cognomi, macché. Le piace proprio scrivere belle canzoni!
E che tipo di canzoni scrive? Beh, nel caso di Feist, le etichette servono a poco. Indie pop, folk, addirittura baroque pop si sbilancia qualcuno. La verità è che, in una certa qual maniera, si può dire che Feist semplifichi il jazz (e la bossa nova, in minima parte), rendendolo, attraverso la forma-canzone, fruibile al punto che si possa definire pop, o qualcosa del genere.
Ma, credetemi, parlare, o scrivere, serve davvero a poco. Dopo che avrete messo su il disco, e avrete ascoltato i primi due pezzi, The Bad In Each Other (già un piccolo capolavoro) e Graveyard (l’anthem indie dell’anno: un pezzo realmente grandioso), sarete al tappeto. A me, che sono pure bisognoso d’affetto, mi è venuto voglia di abbracciarla. E magari piangerci insieme, così, mentre mi sussurra “and good man, and good woman, can’t find the beauty in each other”.
Spiccata, come accennato poc’anzi, la tendenza anthemica, al ritornello corale e da cantare: esempio fulgido ne è Undiscovered First, corposa e coinvolgente. E qui, come in How Come You Never Go There, o come in Comfort Me, dimostra di saper rockare quanto basta, anche se dentro c’è davvero di tutto, non certo solo rock. D’altra parte, Feist rimane maestra pure a scrivere (e cantare) gemme folk (alcune, appunto, fortemente intrise di jazz) quali Cicadas And Gulls, Get It Wrong, Get It Right, The Circle Married The Line (ma che voce ha?!?!), Bittersweet Melodies, Anti-Pioneer (a proposito di jazz), di quelle canzoni che, veramente, ti viene la pelle d’oca dalla semplicità e dalla bellezza. E che dire di un pezzo come A Commotion? I fiati, gli stop, le sospensioni. Fantastica.
Da assaporare lentamente. E grazie di esistere, Leslie.
2 commenti:
ce l'ho nelle orecchie in questo momento e condivido tutto il post
mi fa molto piacere!
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