L’enfer – di Danis Tanovic (2006)
Giudizio sintetico: si può vedere (2,5/5)
Giudizio vernacolare: boia, che merda ti c’ha avuto luilì dé
Parigi. Tre sorelle vivono ognuna la propria vita, senza frequentarsi tra di loro. Sophie, la maggiore, sta assistendo non inerme allo sgretolamento del suo matrimonio, e alle bugie sempre meno convincenti del marito. Céline è sola, timida, riservata, desidera continuamente che qualche uomo la avvicini; è l’unica che spesso, prende il treno e va a trovare l’anziana madre, muta, che sta appassendo in una casa di riposo fuori città. Anne, la più giovane, ancora studentessa, sta soffrendo a causa del suo amante, un attempato professore della sua università, che ha deciso di interrompere la loro storia clandestina. Una tragedia consumatasi quando ancora loro erano piccole, quando ancora la madre Marie parlava, grava sulle loro vite, sui loro caratteri, e forse sui loro destini. Le loro vite continuano, dentro questo loro inferno privato, finché un giovane uomo, Sébastien, comincia a seguire Céline.
Nonostante troviate queste informazioni su qualsiasi sito, vi voglio fare un breve riassunto. Il grande Krzysztof Kieslowski, prima di morire, aveva sceneggiato, assieme al fido Krzysztof Piesiewicz, una trilogia ispirata a temi danteschi: paradiso, purgatorio ed inferno, appunto. L’intenzione, pare, nonostante si sia poi creato un equivoco perdurante ancora oggi (e cioè che i film avessero dovuto essere diretti dal grande polacco), era di affidare le regie a giovani registi europei. Così è stato per Heaven, diretto Tom Twyker, uscito nel 2002, e così fu nel 2006 con questo film, uscito in Italia non tradotto dal francese probabilmente per non fare confusione con L’inferno di Chabrol, film del 1994 (anche lì nel cast c’era Emmanuelle Béart).
Il risultato è un film diligente a livello formale, anche piuttosto ricercato (la fotografia con tonalità diverse per ogni sorella, i movimenti di macchina circolari), con qualche scena da ricordare (la scoperta del marito fedifrago da parte di Sophie nell’albergo, l’incidente), con buone interpretazioni da parte di un cast importante, a livello francese [oltre alla già citata Béart, splendida come sempre, nei panni di Sophie, ci sono Karin Viard (Céline), Marie Gillain (Anne), Carole Bouquet invecchiata (Marie, la madre), Guillaume Canet (Sébastien), in una piccola parte Jean Rochefort, e altri, oltre a Miki Manojlovic nella parte del padre], ma che pare mancare di vibrazioni, con simbolismi a volte didascalici, eccessivamente freddo, forse a causa della complessità della sceneggiatura, ma più probabilmente a causa della mano di Tanovic, inadatto a questo tipo di film (ce ne darà una conferma con il mal riuscito Triage, qualche anno più tardi).
Giudizio vernacolare: boia, che merda ti c’ha avuto luilì dé
Parigi. Tre sorelle vivono ognuna la propria vita, senza frequentarsi tra di loro. Sophie, la maggiore, sta assistendo non inerme allo sgretolamento del suo matrimonio, e alle bugie sempre meno convincenti del marito. Céline è sola, timida, riservata, desidera continuamente che qualche uomo la avvicini; è l’unica che spesso, prende il treno e va a trovare l’anziana madre, muta, che sta appassendo in una casa di riposo fuori città. Anne, la più giovane, ancora studentessa, sta soffrendo a causa del suo amante, un attempato professore della sua università, che ha deciso di interrompere la loro storia clandestina. Una tragedia consumatasi quando ancora loro erano piccole, quando ancora la madre Marie parlava, grava sulle loro vite, sui loro caratteri, e forse sui loro destini. Le loro vite continuano, dentro questo loro inferno privato, finché un giovane uomo, Sébastien, comincia a seguire Céline.
Nonostante troviate queste informazioni su qualsiasi sito, vi voglio fare un breve riassunto. Il grande Krzysztof Kieslowski, prima di morire, aveva sceneggiato, assieme al fido Krzysztof Piesiewicz, una trilogia ispirata a temi danteschi: paradiso, purgatorio ed inferno, appunto. L’intenzione, pare, nonostante si sia poi creato un equivoco perdurante ancora oggi (e cioè che i film avessero dovuto essere diretti dal grande polacco), era di affidare le regie a giovani registi europei. Così è stato per Heaven, diretto Tom Twyker, uscito nel 2002, e così fu nel 2006 con questo film, uscito in Italia non tradotto dal francese probabilmente per non fare confusione con L’inferno di Chabrol, film del 1994 (anche lì nel cast c’era Emmanuelle Béart).
Il risultato è un film diligente a livello formale, anche piuttosto ricercato (la fotografia con tonalità diverse per ogni sorella, i movimenti di macchina circolari), con qualche scena da ricordare (la scoperta del marito fedifrago da parte di Sophie nell’albergo, l’incidente), con buone interpretazioni da parte di un cast importante, a livello francese [oltre alla già citata Béart, splendida come sempre, nei panni di Sophie, ci sono Karin Viard (Céline), Marie Gillain (Anne), Carole Bouquet invecchiata (Marie, la madre), Guillaume Canet (Sébastien), in una piccola parte Jean Rochefort, e altri, oltre a Miki Manojlovic nella parte del padre], ma che pare mancare di vibrazioni, con simbolismi a volte didascalici, eccessivamente freddo, forse a causa della complessità della sceneggiatura, ma più probabilmente a causa della mano di Tanovic, inadatto a questo tipo di film (ce ne darà una conferma con il mal riuscito Triage, qualche anno più tardi).
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