Giudizio sintetico: da vedere (3,5/5)
New York, USA. Henry Barthes è un insegnante. Un supplente, più precisamente. Gli viene assegnato un incarico di un mese presso una high school, la cui preside è Carol Dearden, già sull'orlo di una crisi di nervi, vessata continuamente dai superiori per gli scarsi risultati. Intorno alla preside, una schiera di insegnanti frustrati, collaboratori vicini al crollo, studenti impertinenti fino all'eccesso che non mostrano il minimo rispetto per chi dovrebbe insegnar loro i fondamentali della vita e della cultura. Henry ha un approccio personale e coinvolgente, ma anche lui ha i suoi problemi. Viene da un'infanzia non propriamente felice, e l'unico componente della sua famiglia è il nonno, ormai quasi completamente demente, che è ricoverato in un hospice, dove lui lo va a trovare quasi ogni giorno. Henry è un uomo solo che veste un'armatura di insensibilità, per nascondere la sua vera natura. Per un paio di sere di seguito si imbatte in Erica, una prostituta praticamente bambina; dopo averla respinta, soccombe alle sue richieste di qualcosa da mangiare, e la fa entrare a casa sua. La giovanissima ragazza si installa così a casa di Henry, e comincia a far parte della sua povera routine, proprio mentre lo stesso Henry viene approcciato da una collega, la bella Sarah.
Tony Kaye è il regista di American History X, film del 1999 divenuto (a ragione) oggetto di culto. Dopo alcuni film persi nei meandri della distribuzione ed un documentario sul dibattito riguardante l'aborto, ritorna sui nostri schermi con un film sicuramente fuori dal comune. Detachment è girato con molta camera a mano, e alterna una sorta di intervista/flusso di coscienza del protagonista in primissimo piano, che riflette sul suo io e sul suo modo di concepire l'insegnamento, con la storia vera e propria; non mancano intermezzi, chiamiamoli così, su alcuni dei collaboratori di Henry, e su una delle sue alunne, momenti personali e solitamente tristi, di sfogo e frustrazione. Una sorta di collage sullo stato decrepito e rovinoso della scuola statunitense, dove la figura del protagonista è il punteruolo che serve a scalfire la superficie e ad entrare dentro una situazione, senza dubbio estremizzata, ma che riesce a descrivere in maniera forte e decisa, come solo i più grandi riescono a fare. Aiutato da un cast fatto da nomi abbastanza importanti, che accettano ruoli marginali rilasciando comunque ottime prove (Marcia Gay Harden è la preside Dearden, suo marito è interpretato da Bryan Cranston, James Caan è il signor Seaboldt, Lucy Liu è la dottoressa Parker, Christina Hendricks è Sarah, Blythe Danner è la signora Perkins, Tim Blake Nelson è lo stralunato signor Wiatt), da una sorprendente Sami Gayle (16 anni) nei panni di Erica, e da un Adrien Brody (Henry Barthes) in forma "da Pianista", Kaye ci regala un film senza dubbio impegnativo da vedere, ma che al tempo stesso riesce a trasmettere un'inquietudine che possiamo far nostra (visto che pure la scuola italiana non naviga in acque migliori). Detachment è un film introspettivo, raffinato nei riferimenti letterari, pessimista, ma probabilmente necessario alla riflessione. Menzione particolare per Betty Kaye, la figlia del regista, che nella parte di Meredith ci fa sentire tutti in colpa.
2 commenti:
Sì, da vedere assolutamente anche se è un bel pugno nello stomaco. Mi è rimasta la curiosità di sapere che tipo di evoluzione possa aver avuto il rapporto tra Henry ed Erica. Un rapporto padre-figlia o un vero rapporto sentimentale?
mah, io propendo per il rapporto padre/figlia. anche se sarebbe forse troppo logico. o anche il mio desiderio.
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