No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20121219

elefante bianco

Elefante Blanco - di Pablo Trapero (2012)
Giudizio sintetico: si può vedere (3/5)

Villa Virgin è un barrio poverissimo di Buenos Aires, Argentina, nei pressi dell'altro barrio Villa 15 o Ciudad Oculta. Qui si trova la mastodontica struttura chiamata da tutti Elefante Blanco, che doveva essere l'ospedale più grande di tutta l'America Latina, ma non fu mai terminato. Qui opera padre Julián, un cura villero, cioè un prete delle periferie povere. Da qualche tempo gli è stato diagnosticato un tumore al cervello, ma Julián, fedele al motto del mai dimenticato padre Mugica (una figura che meriterebbe di essere approfondita; in breve, un prete con simpatie per il comunismo rivoluzionario - la parrocchia da lui fondata si chiama del Cristo Obrero, Cristo operaio -, assassinato molto probabilmente dalla Alianza Anticomunista Argentina), Señor, quiero morir por ellos, ayúdame a vivir por ellos (Signore, voglio morire per loro, aiutami a vivere per loro), è preoccupato per i fedeli della sua parrocchia. Padre Nicolás è un prete un po' più giovane, che considera Julián il suo mentore, nonché suo confessore. Nicolás è nella parte amazzonica del Perù, e scampa al massacro di una piccola comunità che lui stava aiutando, ma si ammala in maniera abbastanza grave. Julián lo va a prendere, e lo porta con sé a Villa Virgin. Non gli spiega chiaramente cosa vuole da lui, ma lo introduce alle persone che lo aiutano tutti i giorni, tra le quali c'è Luciana, un'assistente sociale che si occupa di una riqualificazione che darebbe delle case ai più bisognosi, mediante un progetto finanziato anche dalla curia insieme al municipio. Nicolás comincia ad adattarsi, a farsi benvolere, i problemi sono tanti e continui, il barrio è pericoloso. Ma si avvicina tantissimo a Luciana, la sua presenza diventa una costante, al punto che...

Nuovo lavoro dell'argentino Pablo Trapero, e soprattutto ultima fatica dell'immenso Ricardo Darín, che rinnova la collaborazione col regista dopo la precedente con Carancho. Il tema è, come avrete senz'altro intuito, l'opera dei nuovi missionari, i preti dei quartieri degradati (qua siamo addirittura oltre, c'è una baraccopoli che è cresciuta attorno ad un'opera mastodontica mai terminata, un po' il simbolo dei fallimenti argentini), la vita in questi agglomerati umani e urbani, e perché no, il celibato dei preti cattolici, e le crisi che anche i più forti, tra di loro, possono avere. Trapero fa un film muscolare, come suo solito, anche violento, descrive con bella mano la vita povera di questo spaccato di umanità, regala momenti di grande cinema (i primi dieci minuti sono impagabili, e purtroppo, promettono una grandiosità che l'interezza della pellicola non riesce a raggiungere), dirige un cast affiatatissimo, dà un discreto ritmo alla storia. Si perde un bel po' nella seconda parte, o meglio nella parte finale, dimostrando di essere un "cavallo" su cui puntare, ma di avere ancora cose da imparare, da rifinire.
Darín (Julián) è sempre grande, anche stavolta, con una prestazione misurata (a parte la sua "scena finale", inguardabile. Incredibilmente, abbiamo trovato un punto debole di questo attore straordinario). E' molto brava Martina Gusman (Luciana), che personalmente trovo pure molto bella, moglie di Trapero; pensare che ha esordito con lui in Nacido y criado nel 2006, dopo di che ha fatto pochissime cose, se si escludono i film del marito (ve ne parlai con Leonera, faceva coppia con Darín in Carancho). Curiosa la scelta di Jérémie Renier per la parte di Nicolás. L'attore belga, che conoscerete se conoscete i film dei fratelli Dardenne, esordì per loro nel 1996 con La promesse, e dopo quello non si è più fermato, scegliendo quasi sempre film difficili e di qualità. Anche in questo caso se la cava molto bene, recitando tra l'altro anche con un castigliano con cadenza francese e qualche inflessione argentina, e incarnando, anche lui in modo misurato, un prete combattuto tra la vocazione, la voglia di aiutare concretamente gli altri, la spavalderia di chi sa di essere nel giusto, e l'attrazione anche fisica verso un'altra persona. Curioso notare, nella colonna sonora, apertura e chiusura riservata a Las cosas que no se tocan, un pezzo degli Intoxicados (se non ho visto male, il leader e cantante Pity Alvarez è presente nei ringraziamenti; il cantante vive vicino a dove si svolge il film), una band porteña particolarissima, sciolta nel 2009, e molto amata in Argentina.
Concludendo, bisogna riconoscere che Trapero gira sempre dei film imperfetti, ma coraggiosi e decisamente ben fatti. Naturalmente, è ignorato dalla distribuzione italiana, pur avendo presentato spesso i suoi film sia a Venezia che a Roma. Pensate che l'unico suo film che è stato distribuito da noi fu il debutto Mondo Grua, del 1999, distribuito nel circuito d'essai nel 2000.

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