Giudizio sintetico: da vedere (3,5/5)
Romania. Vicino ad un paesino, non lontano da Bucarest, dietro le colline, c'è un piccolo, semplice, umile monastero. Lo gestisce, ma forse sarebbe meglio dire lo comanda, un prete ortodosso (davvero molto, molto conservatore) che dalle suore si fa chiamare padre o addirittura papà. C'è poi una madre superiora, totalmente devota ai voleri del prete, e una manciata di giovani suore. Tra queste, c'è Voichita, orfana, cresciuta in orfanotrofio, adesso devota a Dio, al lavoro del monastero e ai dettami del padre. Un giorno, Voichita scende in paese per ricevere la visita di Alina, che torna per un breve periodo dalla Germania, dove da tempo lavora. In breve, lo schema è chiaro: le due ragazze sono state inseparabili ai tempi dell'orfanotrofio, e probabilmente amanti. Alina era quella con un ruolo attivo, fisicamente più prestante di Voichita, la proteggeva anche in maniera manesca. Alina ama ancora con tutto il suo cuore Voichita, ed è tornata per portarla con sé in Germania; ha trovato lavoro per entrambe su una nave da crociera. Potranno così finalmente coronare il loro sogno d'amore, di libertà e di indipendenza, lontano da una terra che ha regalato loro solo stenti. Ma Alina si scontra con la devozione di Voichita, una cosa per lei davvero difficile da intendere. Voichita si è votata completamente a Dio, e la reazione scomposta di Alina, probabilmente da sempre tendente all'isterismo, comincia a causarle problemi all'interno della comunità, e nei confronti del padre. Quest'ultimo ravvisa nella persona di Alina una vera e propria minaccia per la quieta, estremamente povera tranquillità del monastero, e comincia a provarle tutte per allontanare lei, e, se necessario, anche Voichita.
Terzo lungometraggio (escludendo i film a "segmenti") per il rumeno Cristian Mungiu, secondo distribuito in Italia dopo il precedente 4 mesi 3 settimane 2 giorni vincitore di Cannes a suo tempo (anche con questo film il regista ha vinto qualcosa a Cannes quest'anno, e cioè il premio alla miglior sceneggiatura), Oltre le colline, nonostante riprenda almeno un tema portante del film precedente (l'amicizia femminile), è ispirato ad una storia vera, raccontata da Tatiana Niculescu Bran, giornalista e scrittrice, in due libri (il fatto e i libri hanno ispirato anche un'opera teatrale) che documentano l'accaduto, e che fecero molto scalpore in patria. L'approccio di Mungiu è come ce lo ricordavamo, apparentemente spartano ma ispirato a grandi maestri, o quantomeno a registi di grande personalità (Kaurismaki, rispetto al quale ha un tocco molto più drammatico e senza il suo proverbiale sarcasmo, ma in questo caso soprattutto Von Trier, del quale ha l'approccio dogmatico), e ripropone il suo personale punto di vista, e cioè non averne, non schierarsi ma solo raccontare un fatto che dovrebbe essere ridicolo, se non fosse così grave. Un non schierarsi che, nella critica del film precedente, io stesso avevo giudicato un punto debole, ma che dopo una doppietta di lavori così intensi, devo riconoscere essere un tatticismo che costringe lo spettatore a porsi domande e a schierarsi senza preconcetti e per suo conto, per cui un punto positivo.
Tecnicamente coraggioso, con la telecamera che, spesso a mano, insegue i protagonisti, impegnativo e non solo perché dura due ore e mezzo tonde, estremamente drammatico senza risultare melodrammatico e neppure tragicomico, vede anche un cast sconosciuto ma estremamente in parte (le due protagoniste, Cosmina Stratan e Cristina Flutur, rispettivamente Voichita e Alina, hanno vinto a pari merito il premio come miglior attrice sempre a Cannes 2012), evidentemente ben diretto, da questo regista che, ormai è una certezza, continuerà a riservarci film che in qualche modo, ci metteranno alla prova. E questo a me piace.
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