No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20060223

Colombia gen 06 - 33


Holiday in Colombia 18
22/1/2006 Santa Fé de Antioquia, escursione multinazionale

Mi sveglio verso le 9, senza sapere assolutamente cosa ci riserva il programma della giornata, ma non fa niente. Tra l'altro, oggi è domenica. Scendo per fare un po' di colazione, la cucina è piena di gente che si prepara la colazione nei modi più strani e diversi. E' una bella sensazione, a ripensarci, sul momento, quando hai ancora sonno, non molto. Juli è già sveglia e sta chiaccherando a raffica, e pian piano metto a fuoco che si sta definendo un possibile programma per la giornata: gita a un paesino "vicino", che risponde al nome di Santa Fé de Antioquia. La proposta viene da alcuni personaggi presenti al Palm Tree, citati ieri, soprattutto da Carlo, l'italiano. Onestamente, la prima impressione che mi ha dato ieri non è stata super; sembrava uno di quegli italiani che si parlano addosso. Invece, avrò modo di ricredermi e di farmi un'opinione completamente opposta a quella iniziale, come spesso accade; ma di lui vi parlerò un po' alla volta, così come un po' alla volta l'ho conosciuto io, ed ho imparato ad apprezzarlo. Per adesso, vi basti sapere che è senza dubbio il più propositivo. Juli sembra entusiasta, io accetto senza problemi. Il primo passo è andare al terminal dei bus, e visto che siamo in otto, prendiamo due taxi. Il conto che fa rapidamente Carlo convince rapidamente Juli: essendo quattro per taxi spendiamo meno che andando in metro.
A questo punto però, devo almeno presentarvi i componenti della spedizione. Di Carlo vi ho già parlato brevemente, ma vi dò ancora qualche indizio. Ha 46 anni, umbro ma di base in Belgio, dove vive tutta la sua famiglia, parla un italiano scorretto, buffo alle mie orecchie, oltre a francese, olandese, inglese (ottimi), castigliano (non perfetto, peggiore del mio) e chissà che altro. Non dimostra per niente la sua età, ma non per questo lo vedrete mai in difficoltà, è sempre sicurissimo, ma mai sbruffone e sempre, sempre allegro. Poi c'è Myriam, francese, trentenne, della zona di Grenoble forse, mora, capelli lunghi, bel viso, dove però si notano i trent'anni. Simpatica ma puntigliosa, a volte un po' rompicoglioni. Sulle prime, cioè fino a quando saliamo sul bus, io e Juli siamo convinti che lei e Carlo fanno coppia. Invece no, si sono conosciuti qui al Palm Tree. Fa lavoretti part-time, soprattutto come hostess di convention, manifestazioni, cose così. Poi c'è Didier, il francese biondo, che ieri sera doveva uscire con noi ma poi è sparito (era a letto a dormire, scopro questa mattina, era stanchissimo). E' di Nizza, non timido ma leggermente riservato, non parla tantissimo se non interpellato, pare che studi per diventare professore, non chiedetemi di cosa. Jerome è l'altro francese, del nord, moro, piccolino, viso da topolino. Entrambi sotto i 30 anni. Poi c'è Johann, tedesco, alto e snello, faccia scavata, ovviamente biondo, capelli medio-lunghi, ha sui 38 anni, lavora nella metalmeccanica, ha girato il mondo anche lavorando, addirittura scopro che ha lavorato a costruire uno stabilimento della società dove lavoro, in Spagna. Sta insieme all'altra Miriam, colombiana, un po' più giovane di lui, mulatta, non altissima ma bellissima e molto attenta ai particolari e al modo di vestire. Lei parla poco, lui se parte non si ferma più. A me e a Juli già ci conoscete. Si parte.
Arriviamo al terminal, e Juli si incarica di cercare il passaggio e di contrattare, dopo pochi minuti partiamo. Si vocifera ci vogliano un'ora e mezzo, al massimo due ore, anche se si sale e la strada è stretta. Johann e Miriam sono accanto, Jerome e Didier pure, Carlo accanto a Juli, io accanto a Myriam. La prima mezz'ora è di conoscenza, Myriam è un personaggio interessante, l'ora seguente è quasi esilarante. Myriam inizia a lamentarsi della guida dell'autista, e dopo una decina di minuti che parla ininterrottamente la invito a tacere con un gesto classico, nel repertorio di ogni uomo che si rispetti: il famosissimo "metti la testa a posto", dove si appoggia dolcemente il palmo della mano destra sulla nuca della donna e poi con un colpo secco si porta la testolina della ragazza verso il proprio pube. L'ilarità si impossessa della comitiva e di buona parte del bus. Il viaggio supera le due ore e non si vede l'ombra di Santa Fé. Pare che ci dovesse essere da passare per un tunnel, ma che sia chiuso, quindi il giro si allunga. Sonnecchiamo un po'. Poi facciamo amicizia con un bambino che scorazza per il corridoio, il dialogo è divertente, soprattutto quando inizia a chiederci di dove siamo e perchè stiamo viaggiando insieme.
Dopo quasi 4 ore arriviamo. Partiamo alla scoperta di questo pueblito. Ripida salita per entrare in paese, pochi metri ed ecco la piazza principale ornata di bancarelle; ai lati della piazza, ovviamente coloniale, un sacco di bar, tavoli e sedie a volontà. Beviamo qualcosa, Carlo sparisce e torna con una ragazza: è Stella, colombiana adottata da genitori svizzeri, è qui per ritrovare le sue radici, ma non è ancora sicura se vuole conoscere i suoi genitori biologici. E' mora, capelli ondulati, scura di pelle ma ha le lentiggini, particolare curioso, non è affatto male, anzi, ma la cosa più bella è che, quando Carlo me la presenta, dicendole che sono italiano, lei che mi aveva già sentito parlare un po' mi dice "si sente che sei toscano" e lo dice esattamente come lo avrebbe detto il poliziotto Huber interpretato da Aldo di Aldo, Giovanni e Giacomo. Ovviamente glielo faccio notare immediatamente, e lei scoppia in una risata che però ha un fondo malinconico, un po' come il fondo dei suoi occhi. Dopo qualche titubanza e l'ordine sparso nella piazza, decidiamo che senza mangiare non si sopravvive, e ci infiliamo in una pizzeria gestita da due ragazze che probabilmente concorrono per miss cicciona Colombia. La tavolata, visto l'ordine sparso, si allunga ogni 5 minuti, e alla fine ci siamo tutti. Ho voglia di pizza, anche perchè sarebbe la cosa più semplice, ne prendo una a metà con Jerome (ci sono le "taglie", 3 diverse, delle pizze attaccate ad una parete, e ci sembra che una in due ci possa bastare). Domando cosa c'è nella pizza al queso, e mi viene risposto che c'è solo formaggio, quindi ok. Quando la portano, c'è si il formaggio, molto, ma anche il prosciutto crudo a quadratini. In Colombia ci va per default il crudo sulla pizza. Poco male, lo scanso e se lo mangia Jerome. Gli altri ci danno giù di pollo, soprattutto fritto, ma anche di bistecchine e patate fritte. Si ride e si mangia.
Quando arriva il conto, rimango di sasso: spendiamo una sciocchezza. Il pensiero di ieri, che forse è giusto che la pizza costi molto, era sbagliato. Sento impellente il bisogno del bagno, e i francesi mi augurano buona fortuna. Quando esco, dichiaro che è uno dei bagni migliori che ho visto qui: ormai ho visto di tutto. Estoy acostumbrado.
Dopo aver soddisfatto l'impeto nutrizionale, e quello fisologico, scendiamo al rio. Discesa ripida tra case improbabili, povere ma allegre, da una sento uscire le note dei Sigur Ròs. O forse ho una allucinazione uditiva dovuta all'eccesso di musica latino-americana. Bambini per strada, gente comune, salutiamo tutti e tutti ci risalutano. Chiediamo indicazioni per il rio, ci guidano. Arriviamo, e c'è un sacco di gente a bagno, ragazzi che sguazzano, famiglie intere. Molti di noi si buttano, si bagnano, giocano, qualcuno prende il sole, che picchia forte. Mosche e zanzare la fanno da padrone, e anche qualche vespa. Ho le gambe piene di pinzi, mi riprenderò solo al mio ritorno in Italia. Io mi bagno solo i piedi, l'acqua è marrone e non mi fa impazzire. Jerome si fa il bagno con i pantaloni lunghi, Carlo in mutande, mutande che, alla fine, risulteranno piene di fango. Non si perde d'animo, e quando si riveste si mette i pantaloncini senza niente sotto e butta le mutande nel fiume. I ragazzi del paese scendono la corrente a cavallo di camere d'aria da camion. Lentamente, torniamo verso il "centro". Carlo vede dentro un recinto dei peperoncini strani, vede il padrone e chiede se ne può prendere un paio, permesso accordato. Che faccia che ha. Parla con tutti. Lo invidio un po'. Mi ricorda mio padre quando è davvero in forma.
Ci sediamo al tavolo di un bar, qualcuno scorrazza per il paese. Beviamo birra e parliamo fitto, io, Carlo e Johann. Il tedesco mi dice che quando tornerà in Germania, tra qualche giorno, non sa se l'auto gli ripartirà: sono due mesi che è ferma all'aperto, e in Europa non fa quel caldo afoso. Poi ci dice che vuole lavorare al massimo altri 10 anni, poi insieme a Miriam vorrebbe comprare qualcosa qui in Colombia, magari sul mare. La vita costa poco, e il clima è ottimale. Qualcuno ordina guanabana con latte: è un qualcosa di paradisiaco. Cala il sole, beviamo qualche altra birra, gli altri vanno e vengono tra il tavolo e il mercatino della piazza, le viuzze, le chiese. Ci muoviamo verso il punto d'arrivo del bus, per chiedere gli orari, ma soprattutto se c'è posto. E' domenica, e questa è una meta anche per i colombiani, una specie di "gita fuori porta" da Medellin. Troviamo posto per miracolo, l'ultimo bus è alle 20, ci sono 5 posti, ci vendono quelli e 3 in piedi o a sedere nel corridoio, ma non sono ancora le 19. Torniamo verso la piazza, ancora ordine sparso. Facciamo due conti, e realizziamo che arriveremo a Medellin molto tardi, ci va già bene se quando arriveremo all'hostel ci lasceranno usare la cucina (il limite sono le 22), il supermercato di fronte oggi chiude alle 20, quindi io e Carlo decidiamo cosa fare per cena e facciamo un po' di spesa per tutti: spaghetti, giù al Palm Tree c'è un po' di rattatouille avanzata da ieri sera a Myriam e Carlo, useremo quella come salsa, un po' d'insalata per Myriam che insiste. Vado a vedere un paio di chiese con Miriam, Juli e Jerome. Verso le 19.45 torniamo verso quella sorta di capolinea; quando siamo lì, ci informano che il bus tiene un poco de retraso. Non quantificabile. Bivacchiamo sugli scalini del capolinea insieme a gente locale, c'è chi sonnecchia per terra. Sento un languorino, faccio tesoro di quello che mi aveva detto nel pomeriggio Johann, il guanabana è ottimo quando hai un po' di fame: c'è un posto proprio lì davanti che lo vende. Mi seguono in diversi, sto pensando di chiedere la percentuale sulla pubblicità che gli ho fatto. Non ho il cellulare, l'ho lasciato sotto carica grazie ad un adattatore che mi ha prestato Johann, dopo che ho scoperto che quello che ho comprato a Bogotà funziona male. Non posso accenderlo per leggere gli sms che mi comunicano il risultato della partita del Livorno di oggi. Sono curioso. I telefoni per strada, ce ne sono due anche qui davanti, sono solo per telefonate nazionali. Soffrirò fino a Medellin. Passate le 20.30, la tipa che ci ha venduto i biglietti ci comunica che il bus arriverà tra poco, e che ci saranno tutti e otto i posti a sedere. Passa ancora un po' di tempo e il bus arriva davvero, si parte. Siamo stanchi, quasi tutti dormono. L'autista va come una scheggia, e mi ricordo solo ora che Montoya è colombiano. Dopo un'ora e mezzo siamo al terminal di Medellin: Carlo mi dice che il famoso tunnel era aperto adesso, ecco perchè abbiamo fatto presto. Come all'andata, due taxi e via verso il Palm Tree.
Sono quasi le 23, ma nessuno ci dice niente, siamo troppi. Rapida occhiata al cellulare, il Livorno ha pareggiato in casa col Treviso, terzo pareggio consecutivo. Almeno muoviamo la classifica. E siamo sempre quinti, che stagione! Cominciamo a cucinare, ci laviamo a turno, io e Carlo ai fornelli, oltre al gruppo della spedizione vorrebbero mangiare anche Holly, l'inglese, e il giap chiaccherone. Ci stanno dentro. Scopro che Carlo è qui perchè sta cercando suo fratello, scomparso un anno fa, stava facendo tutta l'America in bicicletta, e l'ultima lettera che ha scritto a casa l'ha spedita da Medellin. Che storia. Dopo una mezz'ora dal nostro rientro, siamo a tavola: ci sono spaghetti alle verdure e insalata, più un bel piattone colmo di frutta strana fornita da Jerome, e presentata da professionista. Sembriamo una di quelle famiglie contadine numerose, riunite attorno alla tavola imbandita. Le birre costano poco qui al Palm Tree, come vi avevo già detto, e da quante ne vanno via sono calde, il frigo non ce la fa a contenerle, e bisogna ricordarsi di mettercene un po', man mano che le consumiamo. Si fa tardi allegramente, parlando di viaggi, passati e futuri, progetti e speranze. Un cazzo di G8 che ama i poveri e non vuole la guerra. Nessuna zona rossa da difendere. Nessun pregiudizio. Nessuna frontiera.
Com'era....nostra patria è il mondo intero. Buonanotte mondo.

3 commenti:

lafolle ha detto...

cittadino del mondo.

il tipo che mi ha montato la porta a casa, è un fascista inneggiante al duce. diceva che io ero un GLOBAL e non capiva perchè definivano i NO GLOBAL così anzichè GLOBAL visto che sono a favore dell'immigrazionee quindi dello spostamento nel globo della gente!

perplitudine!

jumbolo ha detto...

dovevi mettere le tende cazzo!!

Anonimo ha detto...

scoppe

dopo che ti vaeva montato il cancello lo pagavi e e poi sull'uscio mentre lo salutavi tiravi fori una bella mazza da baseball e li davi anche la mancia...................in sasa mi i fasci unn'entrano................