Ho trovato piuttosto interessante anche questa intervista a Nicolas Hulot, un divulgatore televisivo noto in Francia. Eccola.
Monsieur Hulot che salva la terra
IL PERSONAGGIO Lo fa stando il più possibile a casa propria. Mobilitando l'opinione pubblica in tv. E chiedendosi a ogni gesto: "Sarà ecologico?"
di Maria Grazia Meda
Ha lo spirito avventuroso di un Indiana Jones e ottime doti di divulgatore. In più, è sexy. Il cinquantenne Nicolas Hulot è diventato uno dei personaggi più noti e apprezzati in Francia conducendo Ushuaia, programma televisivo dedicato alla natura. Con uno stile inconfondibile, Hulot ha fatto conoscere a milioni di francesi le etnie umane più sconosciute, le specie animali in via di estinzione, il concetto di biodiversità. E soprattutto, il rischio concreto della catastrofe ecologica. Il suo è un attaccamento alla natura che è diventato una missione. Durante la campagna elettorale per le presidenziali, ha minacciato di presentarsi se i candidati non avessero messo al centro dei loro programmi la questione dell'ambiente. L'hanno preso tutti sul serio. I sondaggi, infatti, dicevano che presentandosi Hulot avrebbe potuto raccogliere il 20 per cento dei voti al primo turno, diventando arbitro nella disputa tra Royal e Sarkozy. Così tutti hanno sottoscritto il Patto Ecologico, un documento nel quale si impegnano a varare serie misure sul tema. In cambio, lui non si è presentato. Abbiamo incontrato Hulot a Saint Malo, dove dirige la sua Fondazione per la natura e l'uomo.
Ricorda quando è diventato ecologista?
"È stata un'evoluzione graduale, che continua ancora oggi. Non passa giorno senza che una nuova informazione, un incontro, una ricerca, mi rafforzino nel mio impegno".
Vuol dire che ecologisti non si nasce?
"Io da piccolo amavo la natura, ma questo non basta. Con il mio lavoro, ho avuto l'incredibile opportunità di esplorare davvero tutto il pianeta. La mia coscienza ecologica è nata così, dormendo negli angoli più selvaggi del mondo. E assistendo allo scempio che stiamo compiendo. La mia generazione è cresciuta nel dopoguerra, con una totale sudditanza a consumismo e tecnologia. Credevamo che il genio umano non avesse limiti e che le risorse naturali fossero lì a servire l'uomo. Il mio impegno è aumentato man mano che uscivo da questo condizionamento. Riuscirci non è facile, soprattutto finché continuiamo a pensare che i vincoli economici impediscano una vera soluzione del problema".
E non è così?
"Non se guardiamo alla questione da un punto di vista macroeconomico e a lungo termine, perché alla fine pagheremo tutti i nostri eccessi. Il vero problema è culturale. Siamo sommersi dai rapporti sempre più allarmanti del Giec (il Gruppo intergovernativo sull'evoluzione del clima creato dall'Onu, ndr) eppure tra i politici, gli scienziati e gli economisti ci sono ancora persone intelligenti che ne mettono in dubbio la veridicità e la pertinenza. La maggioranza della società esprime lo stesso scetticismo. Accettare che il genio umano abbia dei limiti e che le risorse possano finire è difficile. È questo il condizionamento di cui parlo: crediamo che il progresso sia immutabile".
Però scienza e tecnologia hanno davvero migliorato le nostre condizioni di vita.
"Instillandoci un pericoloso senso di onnipotenza. E facendo di noi delle divinità, più che degli esseri umani".
Ammetterà che è difficile privarci di ciò che ci facilita ogni giorno la vita.
"Certo. Siamo stati allevati nella società del consumismo e dell'avere, che ci dà un'illusione di benessere. Essere ecologisti significa essere responsabili e quindi prendersi il tempo necessario per riflettere e valutare le proprie scelte in una società dove ormai non c'è più tempo per nulla. Dove ogni nostra azione è un riflesso condizionato. Oggi più che mai, essere ecologisti è una necessità primaria: se l'umanità si definisce attraverso il magnifico concetto di libertà, come può accettare di vivere in una logica di condizionamento totale? Quando osservo i nostri comportamenti di consumo, ho l'impressione che siamo tutti degli schiavi. Quindi, se aspiriamo alla libertà, la nostra prima azione dovrebbe essere quella della libera scelta. In questo senso l'ecologia è una fantastica opportunità di affermazione di se stessi".
Scegliendo di spegnere la luce e chiudere il rubinetto?
"Quello è un primo passo. Se ti fermi a riflettere sul gesto banale di chiudere un rubinetto, il resto seguirà. Con nuovi quesiti e nuove scelte. L'importante è farsi due semplici domande: "Questa è una scelta pertinente? Posso fare altrimenti?". Sul piano simbolico, si tratta di una vera rivoluzione delle mentalità. Può avere degli effetti enormi".
Ci indichi qualche altro gesto nel quotidiano.
"Non posso e non voglio. Perché limitandoci a una breve lista di suggerimenti ci sdoganiamo dal resto. Bisogna cominciare con delle azioni pratiche, ma riflettendo ogni giorno sulle situazioni con cui ci dobbiamo confrontare. Il gesto essenziale è prenderci il tempo per riflettere sulle nostre scelte. Ogni gesto di consumo deve venire dopo la domanda: "Potrei fare altrimenti?". Per ogni piacere o servizio, bisogna chiedersi se c'è un'alternativa meno inquinante, che pesa meno sul consumo di energia e sull'ambiente. E chiedersi anche se di quel prodotto o servizio abbiamo davvero bisogno".
Ragionando così possiamo privarci di quasi tutto. E dove finisce il piacere?
"Non sono un partigiano di un'ecologia triste, fatta di privazioni. Io parlo di una società e di una cultura della moderazione".
Per molti, in ogni caso, questo lavoro di riflessione sulle scelte da fare è quasi un lusso.
"È vero. Ecco perché la società dovrebbe impegnarsi a fornire gli strumenti per operare queste scelte e promuoverle, guidando chi non ha tempo o mezzi per scegliere. Le faccio un esempio semplice. Nei supermercati potremmo adottare un sistema di etichettatura più chiaro, usando il verde per i prodotti a basso impatto ecologico e il rosso per gli altri. Poi potremmo fare in modo che scegliere il verde sia redditizio. Ad esempio riducendo l'Iva sui prodotti e i servizi a basso impatto ecologico e tassando molto tutto ciò che non rispetta l'ambiente".
Al momento, i prodotti bio sono più cari degli altri.
"Ecco perché parlo di rivedere la fiscalità sui prodotti di largo consumo. Purtroppo l'agricoltura biologica è un settore di mercato molto piccolo e quindi è più onerosa per il consumatore. I produttori bio andrebbero aiutati. Per esempio, come ho già proposto, dando in appalto a loro, a livello europeo, tutta la ristorazione collettiva. Intendo le mense di scuole, ospedali e simili. Già così i prezzi scenderebbero".
Detto così sembra tutto facile. Perché non succede?
"Perché la nostra società reagisce solo quando deve far fronte a una crisi. E perché difficilmente i politici riescono a conciliare le preoccupazioni quotidiane degli elettori con una visione a lungo termine. Mentre i consumatori hanno un comportamento incoerente: chiedono il cambiamento, ma vogliono esserne esonerati".
Stando ai sondaggi, l'80 per cento dei francesi si dice sensibile alla causa ambientalista. Ma poi la candidata dei Verdi ha raccolto meno del 2 per cento dei voti. Ha ancora un senso oggi un partito dei verdi?
"Come ecologista apolitico, io vorrei che tutti i partiti si appropriassero della questione ecologica, perché oggi è inimmaginabile ridurre il problema dell'ambiente a una questione di partito".
Il presidente Sarkozy si è impegnato a parlare con gli Stati Uniti della questione del protocollo di Kyoto.
"Per discutere con gli americani e convincerli a firmare il protocollo di Kyoto, bisognerebbe parlare a nome dell'Europa. E l'Europa dovrebbe fare da esempio. Ma non è ancora in grado di farlo".
Ma mentre Stati Uniti e Cina si contendono il primato dell'inquinamento, l'Europa sta facendo grandi sforzi. Non lo trova ingiusto?
"Bisogna essere realistici: non abbiamo altre alternative. E prima ci prepariamo a tutto ciò, più sarà semplice fare fronte alle grandi sfide ambientali del futuro".
Però se ogni cinese e ogni indiano aspira ad avere i comfort di base, l'elettricità, l'acqua calda, il frigorifero e l'automobile, fra vent'anni il pianeta sarà morto.
"Certo non è semplice: se loro adottano il nostro sistema di produzione e di consumo non c'è futuro per nessuno. Ecco perché è vitale finanziare la ricerca per produrre dei beni di consumo che pesino meno sull'ambiente. Noi intanto dobbiamo imparare a fare a meno del superfluo. Siamo la civiltà dello spreco, bisogna tornare a una civiltà della moderazione, della frugalità. Va cambiato il paradigma economico dell'usa e getta".
Ma questo significa chiudere delle fabbriche.
"Significa pensare dei nuovi modelli economici. Si diminuisce la produzione ma si sviluppano le società di servizi, di manutenzione. Il problema è che riflettiamo come se avessimo una possibilità di scelta che non c'è. Le risorse stanno per finire".
L'altra misura che lei ritiene essenziale è tassare i trasporti aerei. Una tassa che penalizza i meno abbienti.
"No, per molti è un lusso superfluo. Quanti spostamenti sono davvero necessari? Con le tecnologie moderne possiamo fare a meno di certi viaggi. Non dico di creare una società del tutto virtuale, però bisogna ridurre i flussi. Cambiare le abitudini. Accettare che la felicità dell'uomo non è proporzionale al numero di chilometri percorsi. Chi l'ha detto che più vai lontano e meglio stai? Ci sono dei francesi che conoscono perfettamente il Vietnam ma non hanno mai visitato la Francia".
Gli introiti del turismo concorrono allo sviluppo dei Paesi poveri.
"Ma dobbiamo far finire un certo turismo disinvolto. Non dico che non bisogna viaggiare, dico che bisogna promuovere un turismo realmente sostenibile".
Lei quanti aerei ha preso? Quanto CO2 ha emesso?
"Veramente troppo. Quindi cerco di compensare il danno. Quando viaggio per lavoro e non posso fare altrimenti, calcolo quanto CO2 produco in un anno e investo in un progetto di riforestazione. È la soluzione meno peggiore che ho trovato. Quanto ai viaggi personali, fino a una decina d'anni fa per andare da qualche parte avrei preso comunque l'aereo. Oggi verifico se posso usare il treno. E poi, per esempio, anche se una delle mie passioni è pilotare l'elicottero, ho smesso di farlo perché non è compatibile con il mio impegno".
E i Paesi in via di sviluppo, come possono essere aiutati, oltre che comprando i loro prodotti ecosostenibili?
"Oltre alla sfida ecologica, nel nostro secolo certo non potremo ignorare l'iniquità. Viviamo nell'era della comunicazione, tutto accade sotto gli occhi di tutti e ormai sappiamo che sul nostro piccolo pianeta ci sono alcune isole di ricchezza e un oceano di miseria e povertà. Ed è assurdo pensare che le nostre frontiere ci proteggeranno: bisognerà fare presto in modo che la ricchezza confluisca verso queste aree di povertà tenute ai margini dello sviluppo. Fra poco tempo, non si tratterà più di un problema esclusivamente morale. Ecco perché dobbiamo fare in modo che i ricchi siano un poco meno ricchi e i poveri si sentano davvero meno poveri. Anche perché la crisi ecologica toccherà principalmente le popolazioni più deboli, che dovranno migrare in massa perché le loro terre saranno state inghiottite dall'oceano".
Però a Davos l'anno scorso i rappresentanti delle compagnie petrolifere erano eccitati per lo scioglimento della calotta polare perché offre opportunità di foraggiamento a minor costo.
"Se le decisioni rimangono nelle mani di quel tipo di persone, ci sarà la catastrofe. La politica deve riprendere il potere, l'Organizzazione mondiale del commercio non può governare il globo. Le soluzioni esistono, non adottarle è un crimine".
Chiederà conto del suo operato al presidente Sarkozy?
"Se non manterrà gli impegni presi, sono pronto a riprendere la parola. E andrò fino in fondo. Per il momento ho il mio lavoro, la Fondazione e un impegno con la Commissione europea. Sono in un gruppo di una decina di esperti incaricato di lavorare sulla questione ambientale e climatica. Stiamo preparando il prossimo G8".
I suoi figli sono sensibili alla questione ambientale?
"Sono più verdi dei genitori. Io posso essere colto in fallo, ma la mia primogenita mai. E i due piccoli di tre e cinque anni hanno già assimilato i gesti di base: fanno il bagno in due, oppure fanno la doccia. Chiudono sempre il rubinetto, spengono tutti gli elettrodomestici, fanno la raccolta differenziata, vanno a scuola in bicicletta. Hanno un'educazione diversa da quella che ho avuto io".
Monsieur Hulot che salva la terra
IL PERSONAGGIO Lo fa stando il più possibile a casa propria. Mobilitando l'opinione pubblica in tv. E chiedendosi a ogni gesto: "Sarà ecologico?"
di Maria Grazia Meda
Ha lo spirito avventuroso di un Indiana Jones e ottime doti di divulgatore. In più, è sexy. Il cinquantenne Nicolas Hulot è diventato uno dei personaggi più noti e apprezzati in Francia conducendo Ushuaia, programma televisivo dedicato alla natura. Con uno stile inconfondibile, Hulot ha fatto conoscere a milioni di francesi le etnie umane più sconosciute, le specie animali in via di estinzione, il concetto di biodiversità. E soprattutto, il rischio concreto della catastrofe ecologica. Il suo è un attaccamento alla natura che è diventato una missione. Durante la campagna elettorale per le presidenziali, ha minacciato di presentarsi se i candidati non avessero messo al centro dei loro programmi la questione dell'ambiente. L'hanno preso tutti sul serio. I sondaggi, infatti, dicevano che presentandosi Hulot avrebbe potuto raccogliere il 20 per cento dei voti al primo turno, diventando arbitro nella disputa tra Royal e Sarkozy. Così tutti hanno sottoscritto il Patto Ecologico, un documento nel quale si impegnano a varare serie misure sul tema. In cambio, lui non si è presentato. Abbiamo incontrato Hulot a Saint Malo, dove dirige la sua Fondazione per la natura e l'uomo.
Ricorda quando è diventato ecologista?
"È stata un'evoluzione graduale, che continua ancora oggi. Non passa giorno senza che una nuova informazione, un incontro, una ricerca, mi rafforzino nel mio impegno".
Vuol dire che ecologisti non si nasce?
"Io da piccolo amavo la natura, ma questo non basta. Con il mio lavoro, ho avuto l'incredibile opportunità di esplorare davvero tutto il pianeta. La mia coscienza ecologica è nata così, dormendo negli angoli più selvaggi del mondo. E assistendo allo scempio che stiamo compiendo. La mia generazione è cresciuta nel dopoguerra, con una totale sudditanza a consumismo e tecnologia. Credevamo che il genio umano non avesse limiti e che le risorse naturali fossero lì a servire l'uomo. Il mio impegno è aumentato man mano che uscivo da questo condizionamento. Riuscirci non è facile, soprattutto finché continuiamo a pensare che i vincoli economici impediscano una vera soluzione del problema".
E non è così?
"Non se guardiamo alla questione da un punto di vista macroeconomico e a lungo termine, perché alla fine pagheremo tutti i nostri eccessi. Il vero problema è culturale. Siamo sommersi dai rapporti sempre più allarmanti del Giec (il Gruppo intergovernativo sull'evoluzione del clima creato dall'Onu, ndr) eppure tra i politici, gli scienziati e gli economisti ci sono ancora persone intelligenti che ne mettono in dubbio la veridicità e la pertinenza. La maggioranza della società esprime lo stesso scetticismo. Accettare che il genio umano abbia dei limiti e che le risorse possano finire è difficile. È questo il condizionamento di cui parlo: crediamo che il progresso sia immutabile".
Però scienza e tecnologia hanno davvero migliorato le nostre condizioni di vita.
"Instillandoci un pericoloso senso di onnipotenza. E facendo di noi delle divinità, più che degli esseri umani".
Ammetterà che è difficile privarci di ciò che ci facilita ogni giorno la vita.
"Certo. Siamo stati allevati nella società del consumismo e dell'avere, che ci dà un'illusione di benessere. Essere ecologisti significa essere responsabili e quindi prendersi il tempo necessario per riflettere e valutare le proprie scelte in una società dove ormai non c'è più tempo per nulla. Dove ogni nostra azione è un riflesso condizionato. Oggi più che mai, essere ecologisti è una necessità primaria: se l'umanità si definisce attraverso il magnifico concetto di libertà, come può accettare di vivere in una logica di condizionamento totale? Quando osservo i nostri comportamenti di consumo, ho l'impressione che siamo tutti degli schiavi. Quindi, se aspiriamo alla libertà, la nostra prima azione dovrebbe essere quella della libera scelta. In questo senso l'ecologia è una fantastica opportunità di affermazione di se stessi".
Scegliendo di spegnere la luce e chiudere il rubinetto?
"Quello è un primo passo. Se ti fermi a riflettere sul gesto banale di chiudere un rubinetto, il resto seguirà. Con nuovi quesiti e nuove scelte. L'importante è farsi due semplici domande: "Questa è una scelta pertinente? Posso fare altrimenti?". Sul piano simbolico, si tratta di una vera rivoluzione delle mentalità. Può avere degli effetti enormi".
Ci indichi qualche altro gesto nel quotidiano.
"Non posso e non voglio. Perché limitandoci a una breve lista di suggerimenti ci sdoganiamo dal resto. Bisogna cominciare con delle azioni pratiche, ma riflettendo ogni giorno sulle situazioni con cui ci dobbiamo confrontare. Il gesto essenziale è prenderci il tempo per riflettere sulle nostre scelte. Ogni gesto di consumo deve venire dopo la domanda: "Potrei fare altrimenti?". Per ogni piacere o servizio, bisogna chiedersi se c'è un'alternativa meno inquinante, che pesa meno sul consumo di energia e sull'ambiente. E chiedersi anche se di quel prodotto o servizio abbiamo davvero bisogno".
Ragionando così possiamo privarci di quasi tutto. E dove finisce il piacere?
"Non sono un partigiano di un'ecologia triste, fatta di privazioni. Io parlo di una società e di una cultura della moderazione".
Per molti, in ogni caso, questo lavoro di riflessione sulle scelte da fare è quasi un lusso.
"È vero. Ecco perché la società dovrebbe impegnarsi a fornire gli strumenti per operare queste scelte e promuoverle, guidando chi non ha tempo o mezzi per scegliere. Le faccio un esempio semplice. Nei supermercati potremmo adottare un sistema di etichettatura più chiaro, usando il verde per i prodotti a basso impatto ecologico e il rosso per gli altri. Poi potremmo fare in modo che scegliere il verde sia redditizio. Ad esempio riducendo l'Iva sui prodotti e i servizi a basso impatto ecologico e tassando molto tutto ciò che non rispetta l'ambiente".
Al momento, i prodotti bio sono più cari degli altri.
"Ecco perché parlo di rivedere la fiscalità sui prodotti di largo consumo. Purtroppo l'agricoltura biologica è un settore di mercato molto piccolo e quindi è più onerosa per il consumatore. I produttori bio andrebbero aiutati. Per esempio, come ho già proposto, dando in appalto a loro, a livello europeo, tutta la ristorazione collettiva. Intendo le mense di scuole, ospedali e simili. Già così i prezzi scenderebbero".
Detto così sembra tutto facile. Perché non succede?
"Perché la nostra società reagisce solo quando deve far fronte a una crisi. E perché difficilmente i politici riescono a conciliare le preoccupazioni quotidiane degli elettori con una visione a lungo termine. Mentre i consumatori hanno un comportamento incoerente: chiedono il cambiamento, ma vogliono esserne esonerati".
Stando ai sondaggi, l'80 per cento dei francesi si dice sensibile alla causa ambientalista. Ma poi la candidata dei Verdi ha raccolto meno del 2 per cento dei voti. Ha ancora un senso oggi un partito dei verdi?
"Come ecologista apolitico, io vorrei che tutti i partiti si appropriassero della questione ecologica, perché oggi è inimmaginabile ridurre il problema dell'ambiente a una questione di partito".
Il presidente Sarkozy si è impegnato a parlare con gli Stati Uniti della questione del protocollo di Kyoto.
"Per discutere con gli americani e convincerli a firmare il protocollo di Kyoto, bisognerebbe parlare a nome dell'Europa. E l'Europa dovrebbe fare da esempio. Ma non è ancora in grado di farlo".
Ma mentre Stati Uniti e Cina si contendono il primato dell'inquinamento, l'Europa sta facendo grandi sforzi. Non lo trova ingiusto?
"Bisogna essere realistici: non abbiamo altre alternative. E prima ci prepariamo a tutto ciò, più sarà semplice fare fronte alle grandi sfide ambientali del futuro".
Però se ogni cinese e ogni indiano aspira ad avere i comfort di base, l'elettricità, l'acqua calda, il frigorifero e l'automobile, fra vent'anni il pianeta sarà morto.
"Certo non è semplice: se loro adottano il nostro sistema di produzione e di consumo non c'è futuro per nessuno. Ecco perché è vitale finanziare la ricerca per produrre dei beni di consumo che pesino meno sull'ambiente. Noi intanto dobbiamo imparare a fare a meno del superfluo. Siamo la civiltà dello spreco, bisogna tornare a una civiltà della moderazione, della frugalità. Va cambiato il paradigma economico dell'usa e getta".
Ma questo significa chiudere delle fabbriche.
"Significa pensare dei nuovi modelli economici. Si diminuisce la produzione ma si sviluppano le società di servizi, di manutenzione. Il problema è che riflettiamo come se avessimo una possibilità di scelta che non c'è. Le risorse stanno per finire".
L'altra misura che lei ritiene essenziale è tassare i trasporti aerei. Una tassa che penalizza i meno abbienti.
"No, per molti è un lusso superfluo. Quanti spostamenti sono davvero necessari? Con le tecnologie moderne possiamo fare a meno di certi viaggi. Non dico di creare una società del tutto virtuale, però bisogna ridurre i flussi. Cambiare le abitudini. Accettare che la felicità dell'uomo non è proporzionale al numero di chilometri percorsi. Chi l'ha detto che più vai lontano e meglio stai? Ci sono dei francesi che conoscono perfettamente il Vietnam ma non hanno mai visitato la Francia".
Gli introiti del turismo concorrono allo sviluppo dei Paesi poveri.
"Ma dobbiamo far finire un certo turismo disinvolto. Non dico che non bisogna viaggiare, dico che bisogna promuovere un turismo realmente sostenibile".
Lei quanti aerei ha preso? Quanto CO2 ha emesso?
"Veramente troppo. Quindi cerco di compensare il danno. Quando viaggio per lavoro e non posso fare altrimenti, calcolo quanto CO2 produco in un anno e investo in un progetto di riforestazione. È la soluzione meno peggiore che ho trovato. Quanto ai viaggi personali, fino a una decina d'anni fa per andare da qualche parte avrei preso comunque l'aereo. Oggi verifico se posso usare il treno. E poi, per esempio, anche se una delle mie passioni è pilotare l'elicottero, ho smesso di farlo perché non è compatibile con il mio impegno".
E i Paesi in via di sviluppo, come possono essere aiutati, oltre che comprando i loro prodotti ecosostenibili?
"Oltre alla sfida ecologica, nel nostro secolo certo non potremo ignorare l'iniquità. Viviamo nell'era della comunicazione, tutto accade sotto gli occhi di tutti e ormai sappiamo che sul nostro piccolo pianeta ci sono alcune isole di ricchezza e un oceano di miseria e povertà. Ed è assurdo pensare che le nostre frontiere ci proteggeranno: bisognerà fare presto in modo che la ricchezza confluisca verso queste aree di povertà tenute ai margini dello sviluppo. Fra poco tempo, non si tratterà più di un problema esclusivamente morale. Ecco perché dobbiamo fare in modo che i ricchi siano un poco meno ricchi e i poveri si sentano davvero meno poveri. Anche perché la crisi ecologica toccherà principalmente le popolazioni più deboli, che dovranno migrare in massa perché le loro terre saranno state inghiottite dall'oceano".
Però a Davos l'anno scorso i rappresentanti delle compagnie petrolifere erano eccitati per lo scioglimento della calotta polare perché offre opportunità di foraggiamento a minor costo.
"Se le decisioni rimangono nelle mani di quel tipo di persone, ci sarà la catastrofe. La politica deve riprendere il potere, l'Organizzazione mondiale del commercio non può governare il globo. Le soluzioni esistono, non adottarle è un crimine".
Chiederà conto del suo operato al presidente Sarkozy?
"Se non manterrà gli impegni presi, sono pronto a riprendere la parola. E andrò fino in fondo. Per il momento ho il mio lavoro, la Fondazione e un impegno con la Commissione europea. Sono in un gruppo di una decina di esperti incaricato di lavorare sulla questione ambientale e climatica. Stiamo preparando il prossimo G8".
I suoi figli sono sensibili alla questione ambientale?
"Sono più verdi dei genitori. Io posso essere colto in fallo, ma la mia primogenita mai. E i due piccoli di tre e cinque anni hanno già assimilato i gesti di base: fanno il bagno in due, oppure fanno la doccia. Chiudono sempre il rubinetto, spengono tutti gli elettrodomestici, fanno la raccolta differenziata, vanno a scuola in bicicletta. Hanno un'educazione diversa da quella che ho avuto io".
3 commenti:
Bellissima.
Se posso la copio sul mio blog. Posso?
Certo
Grazie per il post, Ale, davvero molto bello. L'ho stampato e voglio pensarci un po' su.
Il "Giec" al quale si riferisce Monsieur Hulot è in realtà l'IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change - è ben noto come i transalpini si rifiutino sistematicamente di usare sigle non derivanti dalla lingua francese...). I rapporti dell'IPCC si trovano qui. È quasi superfluo ricordare che i documenti IPCC, che esprimono lo stato attuale dell conoscenza 'consolidata' sull'argomento (quindi escludendo le ultimissime teorie, i fatti ancora non ben accertati, gli eventi in corso di studio, le speculazioni sul 'forse' e sul 'se', ecc.) rappresentano un riferimento assoluto per chi si occupa dei cambiamenti climatici, anche se un agguerrito gruppetto di scettici (tra i quali anche un mio ex compagno di corso all'università che usa argomenti apparentemente assai ben circostanziati, ma un po' a senso unico) ancora non ci crede.
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