No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20070618

lucia e il sesso


Esistono diversi scrittori con i quali ho un'empatia particolare. Li sento vicini, come fossero amici. Spesso sono quasi coetanei, e a volte immagino di esserci stato in classe insieme. Vi farò i nomi, prima o poi. Sono scrittori e scrittrici. Una di queste si chiama Lucía Etxebarría, e l'intervista sul numero di D (inserto di Repubblica) di sabato scorso mi è piaciuta. Tocca anche un argomento che a me interessa particolarmente, vista la mia condizione di single. Magari piace anche a voi.



Lucia e il sesso

INTERVISTA

Lucía Etxebarría era una "cattiva ragazza": bisex, ha sperimentato ogni droga e molta analisi. Ora è una madre amorosa, una scrittrice di grido ma non cambia idea. Sfida la Chiesa, per un amore fantasy
di Monica Capuani

Quando arrivi da Lucía Etxebarría a Madrid, in Calle Gran Via, due passi dal parco del Buen Retiro e pochi metri in linea d'aria da Guernica di Picasso, al Museo Reina Sofía, la teoria che la casa somiglia a chi la abita risulta clamorosamente confermata. C'è un gran caos rumoroso: la tv sintonizzata sui cartoni animati che la figlia di tre anni sta guardando ipnotizzata, il cane che uggiola avido di coccole, il telefono che squilla in continuazione. Mentre una cascata di giocattoli crea quell'allegro disordine, impossibile da sconfiggere in una casa dove vive un figlio piccolo. Eppure questa donna di 40 anni, oggi madre amorevole, è stata una "cattiva ragazza". Negli anni in cui la movida madrilena consacrata da Almodóvar cercava disperatamente di riscattare gli anni bui del franchismo, Lucía ha sperimentato una voglia di libertà sfrenata. La seduzione delle droghe, l'esplorazione della bisessualità, il tour delle terapie analitiche di ogni possibile scuola. E la scrittura, strada rivelatasi praticabile e lusinghiera per il successo sempre più internazionale di romanzi come Amore, Prozac e altre curiosità, Di tutte le cose visibili e invisibili, Eva futura. In questi giorni esce in Italia per Guanda, forte del successo di pubblico in Spagna, Io non soffro per amore (pp. 284, 15 euro). Un libro curioso, una sorta di versione seria di un manuale di self-help in cui Etxebarría mette con coraggio a nudo le sue sconfitte, le sue rinascite sentimentali, per stigmatizzare con dovizia di documentazione la "sindrome da dipendenza affettiva" responsabile della morte violenta di gran parte dei nostri rapporti amorosi. Passeggiando per la Gran Via parliamo dell'amore ai tempi di Zapatero.


Come è nata l'idea di sistematizzare questa materia in un libro-saggio piuttosto che in un romanzo?

"Ho cominciato a scrivere un articolo per la rivista Psicologies e all'improvviso mi sono ritrovata con 400 pagine. Credo sia stata una forma di sublimazione della mia esperienza, perché il mio punto debole, da sempre, è la dipendenza sentimentale. Il fatto di sistematizzarne le ragioni in un libro mi ha aiutato a capirla. E a liberarmene".

Il libro è molto documentato. Che tipo di procedimento ha seguito nella ricerca?

"La verità è che quasi tutti i libri citati li avevo già letti. Inoltre sto facendo una terapia Gestalt da tre anni, e prima avevo fatto analisi freudiana, transazionale, lacaniana... È praticamente dall'età di 18 anni che entro ed esco dalla terapia, come da una porta girevole".

È possibile arrivare a dire: "Io non soffro per amore?".

"No. Il titolo è ironico. L'esempio più chiaro è quello di padri e madri: se ami tuo figlio, soffrirai sempre quando si ammala. Ma è sicuramente possibile smettere di soffrire per motivi futili".

Perché crede che spesso ci si ostini a non voler vedere la coazione a ripetere che determina l'andamento dei propri rapporti amorosi?

"Per due motivi. Primo perché le pulsioni inconsce sono molto difficili da sventare. Secondo perché viviamo in una società che glorifica erroneamente l'associazione a delinquere tra dolore, sacrificio e amore. Perciò quando la gente soffre per amore, invece di farsi la domanda sana: "Dove sto sbagliando?", continua a crogiolarsi in modo masochistico in quest'assurda sofferenza".

Nel libro ha definito con grande chiarezza la "sindrome da dipendenza affettiva". Crede davvero che, grazie alla consapevolezza, sia possibile tenersene alla larga? E lei (e glielo chiedo perché nel libro parla di sé molto apertamente), si sente davvero salva da questa insidia?

"Io sono come un alcolista in terapia di disintossicazione, che rimarrà sempre un alcolista: pertanto non potrà mai più avvicinarsi all'alcol. Resterò sempre una persona emozionalmente dipendente, dunque devo analizzare con attenzione il tipo di relazioni in cui mi trovo coinvolta, per non ricadere nella dipendenza. La maggioranza delle donne e anche molti uomini hanno avuto un'educazione che crea assuefazione nei confronti dell'amore e ciò li rende dei tossici del sentimento. La colpa è tutta dell'enfasi che la società moderna ha creato attorno al mito dell'amore romantico".

Come si fa a uscire da questa trappola, che affligge soprattutto le donne?

"Ma anche all'uomo viene inculcata l'idea che se non ha una partner non è una persona completa. L'idea del presidente di un Paese, scapolo, è inconcepibile, al punto che in Spagna Mariano Rajoy si è sposato prima di presentare la sua candidatura alla presidenza, per renderla più appetibile. Nelle cene di etichetta ti devi presentare in coppia, possibilmente con tua moglie. E nella gran parte delle aziende si tende a favorire i dipendenti sposati quando c'è in ballo una promozione".

La rivalità femminile è un mostro che neanche il femminismo è riuscito a sconfiggere. Perché, secondo lei?

"Per una questione di educazione. In modo più o meno sottile ci viene inculcata l'idea che la cosa più importante nella nostra vita sia trovare un uomo (è questo il sottotesto di serie tv come Allie McBeal, dei libri e film di Bridget Jones e di altri sottoprodotti). Se la pensiamo così, ogni donna è una potenziale concorrente".

In Italia è in corso una battaglia in difesa della famiglia tradizionale, con la Chiesa schierata in assetto di guerra. Ma com'è cambiata in questi anni la percezione della famiglia nella cattolicissima Spagna, che con Zapatero ha visto riconosciute istanze di gran apertura verso forme alternative, già comunque esistenti?

"Zapatero ha vinto col 51 per cento, il che significa che in Spagna esiste un 49 per cento della popolazione che non lo appoggia. Tra questi c'è la Chiesa cattolica ufficiale, che si oppone al matrimonio omosessuale, alle famiglie monoparentali, e prende parte alle stesse lotte del cattolicesimo italiano".

La sua interpretazione del messaggio di Gesù, "Ama il prossimo tuo come te stesso", sembra piuttosto progressista. Crede che piacerebbe a Ratzinger?

"No. Ratzinger non è una persona che rispetto, da quando ha condannato Jon Sobrino, voce di spicco del movimento della teologia della liberazione, proibendogli d'impartire lezioni in centri religiosi e di pubblicare col nullaosta ecclesiastico. Dopo la famosa condanna al francescano brasiliano Leonardo Boff, ancora una volta Ratzinger m'ha dimostrato che la sua idea del Vangelo non coincide con la mia".

Esiste davvero l'amore sano, quella "forma di integrazione e di sinergia" di cui parla nel suo libro?

"Sant'Agostino diceva che l'amore doveva essere "senza sorprese, infinito e uguale a se stesso". Ma non è un caso che il santo alla fine abbia fatto voto di castità, abiurando la vita licenziosa condotta in gioventù. Chi aspira a mantenere un amore più terreno che divino, sa che quando la sorpresa finisce, anche l'amore finisce. Nei rapporti c'è bisogno di un elemento rischioso, inquietante, imprevedibile. La fantasia, che sta alla base della vita sessuale, ha bisogno di una zona d'ombra, che è il mistero dell'altro. Se l'altro è completamente trasparente, perde attrattiva, è una legge della vita. Bisogna saper stupire per attivare il desiderio".

Lei scrive: "L'arte di amare richiede i sacrifici della convivenza". Ma non sarebbe meglio allora non convivere, per non cadere nelle insidie di una quotidianità che spesso ammazza i rapporti?

"Forse, chissà. È difficilissimo trovare un equilibrio tra la conoscenza dell'altro, necessaria allo sviluppo d'una fiducia reciproca, e la componente di mistero di cui parlavo prima. L'eros oscilla tra desiderio e routine. Se uno conosce a memoria ogni rito quotidiano dell'altro, il colore della biancheria, la marca del deodorante, i minuti che impiega a lavarsi i denti, la data dell'ultimo controllo medico, la coppia ci guadagna in sicurezza. Ma perde l'aura affascinante del non detto, che tinge di un'atmosfera irrazionale l'amore passionale. Per Aristotele, il desiderio era "un impulso naturale verso il piacere". Corneille, tipo alquanto scettico, diceva che "per quanto una bellezza meriti di essere adorata, basta sposarla per perderci gusto". Bisogna saper essere il migliore amico e complice del partner quando serve, ma mantenere la parte inesplorata, distante, indefinita, che continui a suscitare interesse. Il desiderio è volubile, ebbro di novità, instabile; conviene ingannarlo, non dare per scontato che ciò che si fa debba durare per sempre. La vita di coppia va con- quistata, sedotta in modi sempre nuovi".

Come si fa a piacersi se i modelli pubblicizzati dai media sono così lontani dalla realtà d'un corpo femminile autentico?

"Rifiutandoci di comprare riviste femminili e prodotti reclamizzati da modelle irreali. Io compro i miei cosmetici al Body Shop perché non sperimentano sugli animali, non cercano di convincermi che devo dimostrare 10 anni e pesare 10 chili in meno. Non mi depilo, non faccio diete, non mi sono sottoposta a interventi chirurgici, eppure mi considero piuttosto bella. E ho successo con gli uomini. Vi sembro immodesta? Be', la modestia è una delle virtù che ci conviene sradicare".

Lei scrive anche: "Il sesso è il secondo oppio dei popoli". Ma perché, allora, secondo lei, lo si fa sempre di meno?

"Non credo si faccia meno, anzi, si pratica sempre di più. Ma male. Tempo fa mi hanno chiesto: "Cos'è, secondo lei, il sesso senza amore?". Ho risposto: "Semplicemente sesso". Ma il sesso, tranne che nel caso di una gretta transazione commerciale, contiene sempre una certa dose d'amore. Per questo a molta gente, me compresa, riesce assai difficile separare un concetto dall'altro. Il primo rapporto d'amore lo viviamo con nostra madre, che ci offre (nel caso d'una maternità consapevole e desiderata) amore illimitato, incondizionato, e un contatto fisico così intimo da diventare "fusionale". Il neonato non è in grado di distinguere il confine tra sé e la madre, concepisce entrambi come un tutto, non riesce a staccarsi da lei, la vuole continuamente per sé. In modo inconscio, tutti desideriamo rivivere quell'esperienza di fusione in ogni rapporto amoroso. In quale altro modo possiamo cercare d'imitarla, se non nella relazione amorosa, il contatto più stretto che si può vivere con un altro essere umano, dove si mescolano mani, lingue, carezze, e si cerca di entrare l'uno nel corpo dell'altra?".

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