No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20080109

i molteplici usi del caramello


Caramel - di Nadine Labaki 2007


Giudizio sintetico: imperdibile


Beirut, oggi. Al salone di bellezza Si Belle (con la B eternamente penzolante dell'insegna), comprensivo di negozio di parrucchiera, lavorano Layale, innamorata di un uomo sposato e dipendente dal tempo che lui le dedica (scampoli che avanzano dalla sua vita coniugale e lavorativa), sempre pronta appena sente il suono del clacson della sua auto o una telefonata, Nisrine, fidanzata di Bassam e prossima a sposarsi con lui, che ha il problema di non essere più vergine, quindi non sa come fare per affrontare la prima notte di nozze, e Rima, lesbica consapevole ma impossibilitata a fare un chiaro coming out.

Ci sono, praticamente sempre, anche Jamale, una aspirante attrice non più giovanissima alle prese con un ex marito mai presente, due figli adolescenti e l'incipiente menopausa, e, lì vicina, l'anziana sarta Rose, alle prese con la sorella (forse) Lili, simpatica rompiscatole completamente fuori di testa, che passa il tempo a raccogliere fogli per strada.

Altri due uomini fanno da satelliti a questi pianeti femminili: lo straniero Charles, che si fa sistemare un vestito da Rose e finisce per invaghirsene, e il poliziotto Youssef, che non riesce a comunicare il suo amore per Layale se non piazzandole tra il tergicristallo e il parabrezza una multa per divieto di sosta al giorno.


Signore, signori, non perdetevi questo film. Posso assicurarvi che, se fosse uscito prima, avrebbe seriamente messo in discussione la decina di lungometraggi che per me sono stati i migliori del 2007. Avete presente quei film piccoli, poveri, che vedete quasi per caso e non vi escono più dalla memoria? Ecco, questo è uno di quei casi.

Nadine Labaki, regista esordiente (nel suo curriculum spot pubblicitari e videoclip per cantanti arabi), attrice (è Layale) nonché donna bellissima, firma un gioiello di neorealismo in salsa medio-orientale, ispirandosi ad Almodovar come pure ad altri film tutti al femminile, dirigendo un manipolo di attrici e attori tutti non professionisti, usando la macchina da presa in maniera semplice ma efficace, avvalendosi di una fotografia non eccelsa ma calda e funzionale alla sua opera; una storia apparentemente semplice, ma che si rivela densa, sia di avvenimenti (si pensi, dopo aver visto il film, a tutto quello che riesce a raccontarci a proposito delle donne protagoniste) che di risvolti sociali (le convenzioni, sociali appunto, e religiose; messo da parte il contesto dolorosissimo che il Libano si porta da sempre appresso come una croce, ci rimane una società che vorrebbe volare libera verso l'emancipazione, ma che ad ogni passo si ritrova a dover fare i conti con una mentalità che ci ricorda un'Italia pre-Seconda Guerra Mondiale). Riesce ad ammaliare lo spettatore con un'atmosfera sempre "familiare", ti coinvolge nell'azione sullo schermo come se accadesse esattamente accanto a dove ti trovi, appena una porta più in là, ti diverte con battute soavi e a volte irresistibili, risolve situazioni tristi e dolorose con un sorriso pieno di speranza, in poche parole ti ammalia. E' capace, nonostante la pochezza evidente delle risorse, di estrarre dal cilindro anche colpi di genio: la scena che alterna la telefonata di Layale all'amante, al monologo di Youssef che la guarda parlare al telefono dalla finestra, è una di quelle cose che ti ripagano il prezzo del biglietto da sole. Riesce a far dire un sacco di cose alle protagoniste anche senza farle parlare mai di un argomento preciso e mai a lungo: i lavaggi dei capelli della bella, riservata e silenziosa Siham da parte di Rima, fino al cambiamento finale, sono più sensuali di una lap-dance e ci parlano di omosessualità senza mai fare neppure un'allusione. Ripeto: un film meraviglioso, al quale si perdona anche un finale leggermente meno ritmato del resto, e una camera a mano a volte traballante.


Che dire del cast, assolutamente perfetto. Prove spontanee e visi indimenticabili, alcuni perfino familiari e fortissimamente mediterranei: ditemi se Adel Karam, il poliziotto Youssef, non vi ricorda un giovane Mastroianni, oppure se l'affascinante Fatmeh Safa, Siham, non richiama la migliore Claudia Cardinale. Per non dire di Sihame Haddad, la sarta Rose, che potrebbe benissimo essere un'amica di mia madre.


Indimenticabile. Sono uscito dal cinema estasiato, ed il giorno seguente amavo questo film ancora di più, se possibile. Sono stato poi distrutto da una notizia che speravo di non sentire mai: l'autore della colonna sonora, Khaled Mouzanar, è il marito della regista.

E io che stavo già cercando un volo low-cost per Beirut...

5 commenti:

Anonimo ha detto...

bella,bella recensione!
Mi è piaciuta molto la scelta della regista di affidare a piccoli,costanti dettagli la descrizione fisica di una beirut cadente e logora, che rimane quindi sempre sullo sfondo ma che è sempre presente e incombente nella quotidianità delle protagoniste.
Il resto l'hai già detto perfettamente tutto te!:-)

jumbolo ha detto...

mi hanno colpito molti particolari, anche a me, ma quando mi metto a scrivere alla fine mi dico che è ingiusto verso chi non ha visto il film scriverli tutti. già troppo spesso mi lascio andare ad anticipazioni che tolgono un po' il gusto, come per esempio in questo caso ho fatto con la scena della telefonata "falsa".

certo che lo sposato la portava in dei bei posticini per amoreggiare a layale.....una passera del genere.....

Anonimo ha detto...

ahahah... hai ragione...lo sposato è il numero uno!:-)

Anonimo ha detto...

Credo fosse la sorella...solo per un legame così penso si possa giustificare la decisione di non andare all'appuntamento.
Fantastico anche il continuo sporcamento col sangue di piccione di Jamale, per ostentare al resto della comunità la sua fertilità/giovinezza.
E poi, Ale........a Beirut ci puoi andare lo stesso, nel film di belle donne ce n'è veramente tante.
Ciao
Luca

jumbolo ha detto...

ci andrò. sicuro.