The Coast Guard – di Kim Ki-duk 2001
Giudizio sintetico: da vedere
Corea del Sud, un villaggio vicinissimo al 38esimo parallelo, il confine che separa le due Coree. Un tratto di costa meraviglioso è bordato dal filo spinato e presidiato da una caserma con un contingente di militari, addestrati a sparare a vista verso chiunque superi il limite invalicabile, da qualsiasi parte venga. Kang è un soldato un po’ esaltato, fin troppo osservante delle regole militari e, soprattutto, del confine. Sogna di uccidere una spia che valichi il confine oltre il quale, appunto, lui ha l’ordine di sparare per uccidere, e ricevere onore e gloria. Nel villaggio vicino, poverissimo, la vita cerca di fare il suo corso. Si lavora, soprattutto con la pesca, si gioca a carte, a biliardo, si beve e ci si sbronza, si flirta. Mee-young e il suo ragazzo, una sera amoreggiano in spiaggia, vicino al limite. Un po’ su di giri, lei oltrepassa il limite e sfida il ragazzo a farlo anche lui, se la vuole. Lo fa, e iniziano a fare l’amore. Il soldato Kang è di guardia in garitta, e come vede movimenti sospetti fa fuoco, finendo il sospettato con una bomba a mano. La tragedia è consumata: Mee-young rimane con un braccio dell’amato in mano, Kang è sconvolto. E’ l’inizio del baratro: i rapporti tra l’esigua cittadinanza si fanno tesissimi, il soldato Kang viene insignito di un premio insieme a una licenza premio, durante la quale la sua ragazza lo lascia e lui si accorge di avere enormi sensi di colpa, ma di non aver altro posto che la caserma; rientrato alla base, viene congedato per palese instabilità, e la spirale della follia per lui si fa più profonda. Mee-young impazzisce subito, invece, vagando intorno alla base in cerca del fidanzato morto, e concedendosi a chiunque. Non è finita qui.
Bisogna dire innanzitutto, che è difficile giudicare il lavoro di un regista contemporaneo quando si è costretti a salti mortali per assistere alle sue pellicole, ma soprattutto a salti temporali avanti e indietro, viste appunto le difficoltà di reperibilità. Certo è che, pur se “The Coast Guard” non è il suo miglior film, Kim riesce sempre a scegliere storie difficili e dure da raccontare, storie che a raccontarle parrebbero quasi noiose, ma che a vederle non ti accorgi del tempo che passa, da quanto riesce a coinvolgere lo spettatore. Meno irreale del suo solito standard, il film racconta, un po’ come “Indirizzo sconosciuto”, l’enorme disagio di vivere in Corea, e stavolta non per colpa dei militari americani, bensì proprio di quelli coreani. Soprattutto, racconta la follia, e la violenza che ne deriva è stupefacente, anche se ormai Kim ci ha quasi assuefatti alla violenza dei suoi film.
Il capolavoro, stavolta, sta nel saper rendere magicamente fluida una storia contorta, assurda da immaginare per chi vive in pace. Forse a causa di questa fluidità, solo riflettendoci a bocce ferme ci si rende conto di quanto sia agghiacciante il racconto.
Anche se, ripeto, non siamo ai suoi massimi livelli, un tassello importante in una filmografia di un cineasta che ha davvero qualcosa da dire.
Giudizio sintetico: da vedere
Corea del Sud, un villaggio vicinissimo al 38esimo parallelo, il confine che separa le due Coree. Un tratto di costa meraviglioso è bordato dal filo spinato e presidiato da una caserma con un contingente di militari, addestrati a sparare a vista verso chiunque superi il limite invalicabile, da qualsiasi parte venga. Kang è un soldato un po’ esaltato, fin troppo osservante delle regole militari e, soprattutto, del confine. Sogna di uccidere una spia che valichi il confine oltre il quale, appunto, lui ha l’ordine di sparare per uccidere, e ricevere onore e gloria. Nel villaggio vicino, poverissimo, la vita cerca di fare il suo corso. Si lavora, soprattutto con la pesca, si gioca a carte, a biliardo, si beve e ci si sbronza, si flirta. Mee-young e il suo ragazzo, una sera amoreggiano in spiaggia, vicino al limite. Un po’ su di giri, lei oltrepassa il limite e sfida il ragazzo a farlo anche lui, se la vuole. Lo fa, e iniziano a fare l’amore. Il soldato Kang è di guardia in garitta, e come vede movimenti sospetti fa fuoco, finendo il sospettato con una bomba a mano. La tragedia è consumata: Mee-young rimane con un braccio dell’amato in mano, Kang è sconvolto. E’ l’inizio del baratro: i rapporti tra l’esigua cittadinanza si fanno tesissimi, il soldato Kang viene insignito di un premio insieme a una licenza premio, durante la quale la sua ragazza lo lascia e lui si accorge di avere enormi sensi di colpa, ma di non aver altro posto che la caserma; rientrato alla base, viene congedato per palese instabilità, e la spirale della follia per lui si fa più profonda. Mee-young impazzisce subito, invece, vagando intorno alla base in cerca del fidanzato morto, e concedendosi a chiunque. Non è finita qui.
Bisogna dire innanzitutto, che è difficile giudicare il lavoro di un regista contemporaneo quando si è costretti a salti mortali per assistere alle sue pellicole, ma soprattutto a salti temporali avanti e indietro, viste appunto le difficoltà di reperibilità. Certo è che, pur se “The Coast Guard” non è il suo miglior film, Kim riesce sempre a scegliere storie difficili e dure da raccontare, storie che a raccontarle parrebbero quasi noiose, ma che a vederle non ti accorgi del tempo che passa, da quanto riesce a coinvolgere lo spettatore. Meno irreale del suo solito standard, il film racconta, un po’ come “Indirizzo sconosciuto”, l’enorme disagio di vivere in Corea, e stavolta non per colpa dei militari americani, bensì proprio di quelli coreani. Soprattutto, racconta la follia, e la violenza che ne deriva è stupefacente, anche se ormai Kim ci ha quasi assuefatti alla violenza dei suoi film.
Il capolavoro, stavolta, sta nel saper rendere magicamente fluida una storia contorta, assurda da immaginare per chi vive in pace. Forse a causa di questa fluidità, solo riflettendoci a bocce ferme ci si rende conto di quanto sia agghiacciante il racconto.
Anche se, ripeto, non siamo ai suoi massimi livelli, un tassello importante in una filmografia di un cineasta che ha davvero qualcosa da dire.
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