Bad Guy – di Kim Ki-duk 2001
Giudizio sintetico: da non perdere
Han-ki è un Bad Guy. E’ il boss del quartiere a luci rosse, non parla mai, ti incenerisce con lo sguardo, è violento e spietato. Appena vede Sun-hwa sembra leggerle dentro, anche se lei non se ne rende conto. Le si avvicina, lei impaurita si allontana. Allora lui le si avvicina ancora, e quando arriva il suo ragazzo tenta di baciarla con la forza. Deve intervenire la polizia, e massacrarlo di botte. Lei chiede le sue scuse, che puntualmente non arrivano. Lei gli sputa in faccia. La vendetta di Han-ki sarà tremenda, senza sconti. Con un abile raggiro, la costringerà a prostituirsi per lui, forse per sempre. Ma è vendetta, se lui ogni volta che lei è nella sua stanza “di lavoro”, si nasconde dietro ad uno specchio e la osserva, sia che scopi con un cliente, sia che dorma, sia che pianga per la sua infima condizione? Il fascino di Sun-hwa colpisce anche uno degli scagnozzi di Han-ki, fatto che non fa altro che aggravare la situazione. Finirà inaspettatamente.
Prendete l’imprevedibilità e l’inspiegabilità della filmografia di David Lynch, la violenza senza frontiere di Quentin Tarantino, l’epica western di Sergio Leone, frullate tutto in salsa orientale, e avrete “Bad Guy” dell’impenetrabile Kim. E’ sempre difficile tentare di spiegare un suo film, più che mai questo. Spesso ci innamoriamo dei film e dei registi che riescono a caratterizzare i personaggi delle storie, conveniamo che un ottimo film è quello dove le psicologie dei caratteri vengono disegnate abilmente con dialoghi e comportamenti sullo schermo. Kim demolisce tutte queste teorie. Han-ki (un Cho Jae-hyun spettacolare, assolutamente imbattibile, un colosso che sorregge un intero film di questo spessore sulle sue spalle e, soprattutto, sulla sua faccia, se contiamo che in tutto “Bad Guy” dice tre parole, nella stessa scena, tre improperi, per giunta con una voce ridicola, un’altra di quelle cose che potrebbero far crollare il castello di carte costruito dallo spettatore sopra un personaggio spietato, e invece questo piccolo particolare lo costringe ad ulteriori congetture sulle motivazioni che hanno portato a un soggetto di questo calibro) è un esagerato magnaccia dai modi spiccioli, oppure è un disperato e romantico sognatore, che si trova a recitare la parte del duro per forza da una realtà ingrata? Non sarà uno scafato pezzo di merda, abilissimo nel riconoscere la puttana che c’è dentro una donna? E Sun-hwa, è una santa, una zoccola, una pervertita che ammira i dipinti di Schiele, una masochista inconsapevole?
Non ci sono le risposte, e Kim si guarda bene anche solo dal suggerirle. C’è solo l’urgenza di comunicare l’incomunicabile. E Kim Ki-duk lo fa magistralmente, lasciandoci spossati.
Giudizio sintetico: da non perdere
Han-ki è un Bad Guy. E’ il boss del quartiere a luci rosse, non parla mai, ti incenerisce con lo sguardo, è violento e spietato. Appena vede Sun-hwa sembra leggerle dentro, anche se lei non se ne rende conto. Le si avvicina, lei impaurita si allontana. Allora lui le si avvicina ancora, e quando arriva il suo ragazzo tenta di baciarla con la forza. Deve intervenire la polizia, e massacrarlo di botte. Lei chiede le sue scuse, che puntualmente non arrivano. Lei gli sputa in faccia. La vendetta di Han-ki sarà tremenda, senza sconti. Con un abile raggiro, la costringerà a prostituirsi per lui, forse per sempre. Ma è vendetta, se lui ogni volta che lei è nella sua stanza “di lavoro”, si nasconde dietro ad uno specchio e la osserva, sia che scopi con un cliente, sia che dorma, sia che pianga per la sua infima condizione? Il fascino di Sun-hwa colpisce anche uno degli scagnozzi di Han-ki, fatto che non fa altro che aggravare la situazione. Finirà inaspettatamente.
Prendete l’imprevedibilità e l’inspiegabilità della filmografia di David Lynch, la violenza senza frontiere di Quentin Tarantino, l’epica western di Sergio Leone, frullate tutto in salsa orientale, e avrete “Bad Guy” dell’impenetrabile Kim. E’ sempre difficile tentare di spiegare un suo film, più che mai questo. Spesso ci innamoriamo dei film e dei registi che riescono a caratterizzare i personaggi delle storie, conveniamo che un ottimo film è quello dove le psicologie dei caratteri vengono disegnate abilmente con dialoghi e comportamenti sullo schermo. Kim demolisce tutte queste teorie. Han-ki (un Cho Jae-hyun spettacolare, assolutamente imbattibile, un colosso che sorregge un intero film di questo spessore sulle sue spalle e, soprattutto, sulla sua faccia, se contiamo che in tutto “Bad Guy” dice tre parole, nella stessa scena, tre improperi, per giunta con una voce ridicola, un’altra di quelle cose che potrebbero far crollare il castello di carte costruito dallo spettatore sopra un personaggio spietato, e invece questo piccolo particolare lo costringe ad ulteriori congetture sulle motivazioni che hanno portato a un soggetto di questo calibro) è un esagerato magnaccia dai modi spiccioli, oppure è un disperato e romantico sognatore, che si trova a recitare la parte del duro per forza da una realtà ingrata? Non sarà uno scafato pezzo di merda, abilissimo nel riconoscere la puttana che c’è dentro una donna? E Sun-hwa, è una santa, una zoccola, una pervertita che ammira i dipinti di Schiele, una masochista inconsapevole?
Non ci sono le risposte, e Kim si guarda bene anche solo dal suggerirle. C’è solo l’urgenza di comunicare l’incomunicabile. E Kim Ki-duk lo fa magistralmente, lasciandoci spossati.
Nessun commento:
Posta un commento