La nona parte è stata pubblicata ieri
La nuova società degli uguali
La Svizzera punta a ridurre di un terzo i suoi consumi energetici entro il 2050. Una sfida tecnologica, politica e culturale. Ma è davvero possibile?
MARCO MOROSINI PER INTERNAZIONALE
E' un obiettivo ambizioso, da realizzare entro il 2050: garantire a un paese industrializzato tutti i beni e servizi di cui ha bisogno usando la stessa quantità di energia per abitante che usava negli anni sessanta. Dieci anni fa, adottando l’idea-guida di una società a 2.000 watt, la Svizzera ha accettato la sfida: la Confederazione punta ad abbattere i consumi energetici passando dall’attuale uso continuo di energia (non solo elettrica) di 6.000 watt per abitante a 2.000 watt nel 2050, pari a 18.000 chilowattora o due tonnellate equivalenti di petrolio all’anno. Di questi 2.000 watt, 1.500 verranno da energie rinnovabili e 500 da combustibili fossili, in modo da ridurre le emissioni di CO2 a una tonnellata per abitante. Ma l’obiettivo dei 2.000 watt è realistico in un mondo che consuma sempre più energia? In un’epoca in cui quasi tutti gli economisti, e i mezzi di comunicazione che gli fanno eco, sono convinti che per garantire il benessere delle persone si debba per forza aumentare i consumi energetici, anche dei paesi più ricchi? In Svizzera sono in molti a pensare di sì: i due politecnici federali, cinque dei più importanti istituti di ricerca della Confederazione, la società degli ingegneri e degli architetti, l’ente federale dell’energia e molti enti locali, tra cui le città di Berna, Basilea e Zurigo.
Anche il governo federale, che ha redatto la sua Strategia di sviluppo sostenibile 2002 sulle linee guida della Società a 2.000 watt, pensa che la sida si possa vincere. In realtà l’obiettivo dei 2.000 watt implica tre sfide: una tecnologica, una politica e una culturale. Riportare la Svizzera ai livelli di consumo energetico degli anni sessanta senza perdere benessere vuol dire ridurre gli sprechi d’energia primaria usando le tecnologie migliori. Oggi nel mondo l’uso medio di energia pro capite è di 2.000 watt: in Bangladesh è di 500, in Europa di 6.000, negli Stati Uniti di 12.000 watt.
Il tetto di 2.000 watt esprime indirettamente la necessità di equiparare i consumi energetici a livello mondiale: una grande sfida politica. Infine, associare la riduzione di un bene materiale all’idea di progresso ribalta quella mentalità di accrescimento su cui, nell’ultimo cinquantennio, abbiamo costruito la nostra società. L’ostacolo principale sulla strada dell’autolimitazione dei consumi energetici è di tipo culturale: la contraddizione tra efficientismo ed edonismo.
Per ora, l’idea di una società a 2.000 watt si basa molto sui watt e poco sulla società. È un progetto nato in una scuola d’ingegneria, ideato da scienziati che sanno come migliorare le tecnologie e ridurre i consumi. Ma l’aumento della domanda di servizi, che fa crescere i consumi energetici, dipende da fattori psicologici, culturali e commerciali. La promessa di una società a 2.000 watt “senza rinunciare al benessere” sembra implicare la stabilità dei desideri umani.
I desideri, invece, crescono sull’onda di due spinte diverse. Da un lato c’è il miglioramento delle tecnologie e la loro maggiore ecoefficienza, che rendono più accessibili servizi un tempo riservati a pochi. Dall’altro c’è la pressione culturale: la moda, la tendenza generalizzata a emulare i ricchi, un’industria pubblicitaria da mille miliardi di euro all’anno che pervade la vita quotidiana. Gli scienziati potranno anche rendere i viaggi spaziali dieci o cento volte più efficienti di oggi, ma se questo svilupperà un turismo spaziale di cui prima non si sentiva il bisogno, i consumi energetici continueranno ad aumentare. Senza ecosufficienza, cioè senza rinunciare non solo ai viaggi spaziali ma a una parte dei servizi a cui oggi siamo abituati, l’ecoefficienza non basterà e in certi casi sarà addirittura controproducente. Se vogliamo raggiungere l’obiettivo dei 2.000 watt nei paesi industriali, dobbiamo smettere di investire miliardi per creare desideri e trasformarli in bisogni. Se vogliamo affrontare davvero la questione della sostenibilità, nei prossimi quarant’anni dovremo imparare a essere felici senza pretendere più energia degli altri nove miliardi di abitanti del pianeta.
Anche il governo federale, che ha redatto la sua Strategia di sviluppo sostenibile 2002 sulle linee guida della Società a 2.000 watt, pensa che la sida si possa vincere. In realtà l’obiettivo dei 2.000 watt implica tre sfide: una tecnologica, una politica e una culturale. Riportare la Svizzera ai livelli di consumo energetico degli anni sessanta senza perdere benessere vuol dire ridurre gli sprechi d’energia primaria usando le tecnologie migliori. Oggi nel mondo l’uso medio di energia pro capite è di 2.000 watt: in Bangladesh è di 500, in Europa di 6.000, negli Stati Uniti di 12.000 watt.
Il tetto di 2.000 watt esprime indirettamente la necessità di equiparare i consumi energetici a livello mondiale: una grande sfida politica. Infine, associare la riduzione di un bene materiale all’idea di progresso ribalta quella mentalità di accrescimento su cui, nell’ultimo cinquantennio, abbiamo costruito la nostra società. L’ostacolo principale sulla strada dell’autolimitazione dei consumi energetici è di tipo culturale: la contraddizione tra efficientismo ed edonismo.
Per ora, l’idea di una società a 2.000 watt si basa molto sui watt e poco sulla società. È un progetto nato in una scuola d’ingegneria, ideato da scienziati che sanno come migliorare le tecnologie e ridurre i consumi. Ma l’aumento della domanda di servizi, che fa crescere i consumi energetici, dipende da fattori psicologici, culturali e commerciali. La promessa di una società a 2.000 watt “senza rinunciare al benessere” sembra implicare la stabilità dei desideri umani.
I desideri, invece, crescono sull’onda di due spinte diverse. Da un lato c’è il miglioramento delle tecnologie e la loro maggiore ecoefficienza, che rendono più accessibili servizi un tempo riservati a pochi. Dall’altro c’è la pressione culturale: la moda, la tendenza generalizzata a emulare i ricchi, un’industria pubblicitaria da mille miliardi di euro all’anno che pervade la vita quotidiana. Gli scienziati potranno anche rendere i viaggi spaziali dieci o cento volte più efficienti di oggi, ma se questo svilupperà un turismo spaziale di cui prima non si sentiva il bisogno, i consumi energetici continueranno ad aumentare. Senza ecosufficienza, cioè senza rinunciare non solo ai viaggi spaziali ma a una parte dei servizi a cui oggi siamo abituati, l’ecoefficienza non basterà e in certi casi sarà addirittura controproducente. Se vogliamo raggiungere l’obiettivo dei 2.000 watt nei paesi industriali, dobbiamo smettere di investire miliardi per creare desideri e trasformarli in bisogni. Se vogliamo affrontare davvero la questione della sostenibilità, nei prossimi quarant’anni dovremo imparare a essere felici senza pretendere più energia degli altri nove miliardi di abitanti del pianeta.
Marco Morosini è analista socio-ambientale. Ha insegnato al politecnico federale di Zurigo e in alcune università italiane
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