La seconda parte, ieri.
Dentro Airuno, il Nespolo è stato ricavato dai ruderi di una vecchia canonica. Soffitti in legno, grande camino nella sala di lettura, coperte a fiori e un giardino delizioso dove un paziente in sedia a rotelle ride con un'infermiera. "Io detesto chi chiama gli hospice l'anticamera della morte", dice Marinari. "Per me sono luoghi dove accompagniamo i malati - e i loro familiari - nell'ultimo pezzo di vita. Ogni giorno qui è prezioso e può essere significativo, persino l'agonia". L'ultimo periodo si gioca sulla relazione. "Scomponiamo la sofferenza. Il malato ha dolore? Possiamo aiutarlo con la morfina. Ma, a parte le terapie, bisogna ascoltare e saper parlare". E cercare di dare un significato a quello che succede. "Tener compagnia a un malato non è necessariamente triste anche se ti fa confrontare con domande fondamentali. Gli esseri umani hanno una spinta a vivere e quindi i degenti non parlano solo dell'eventualità di morire ma anche di bellissimi ricordi, del nipotino, del matrimonio del figlio", racconta Emma Calore, volontaria Vidas. Si perché anche se il tempo oggettivo si restringe, si continua a desiderare. A chiamare il parrucchiere per la piega, a cucinarsi una pasta in camera, a ingozzarsi di caramelle. "L'altra settimana abbiamo festeggiato un compleanno, la prossima c'è una rassegna di cinema", dice Marinari. A volte, poi, realizzano anche progetti di una certa importanza. "Nella cappella ci sono stati due matrimoni e persino un battesimo", racconta Ida Massari, responsabile degli infermieri. "Perché una signora, che aveva appena partorito, si è fermata qui per assistere il marito. Nella suite hanno vissuto per un po' tutti e tre come in una casa. Se lo immagina come è stato importante per quel papà conoscere il suo bambino?".
continua il 3 gennaio 2009
Nessun commento:
Posta un commento