La Passione di Cristo - di Mel Gibson 2004
Giudizio sintetico: da vedere (3,5/5)
Giudizio vernacolare: pover'omo dé
Premessa: credo di essere riuscito a prescindere da tutto il rumore che è stato fatto su questo film; non sono però sicuramente riuscito a prescindere dal mio essere credente. Un film decisamente forte, per scelta, che pone l'accento sulla sofferenza dell'uomo Gesù di Nazareth (non a caso il film si intitola The Passion); non mi trovano d'accordo però, le critiche mosse a Gibson sulla mancanza di spiritualità della figura di Gesù. Evidentemente, la critica è viziata dal fatto che fino ad oggi, in tutte le opere ispirate alla sua vita, la Passione fosse stata edulcorata.
Il film racconta la storia che quasi tutti conoscono, dall'orto dei Getsemani alla morte sulla croce, con un brevissimo epilogo sulla resurrezione. Gibson, per dire dei difetti, abusa dei ralenti, che in alcuni punti sono centrati, in altri stuccano, e dipinge un Gesù un po' troppo patinato nei flashback che ci fanno vedere alcuni momenti salienti del Vangelo (risulta evidente l'ispirazione "pittorica"di Gibson, anche se grossolana), il che stride un po' con la figura violentata che inizia a subire durante l'arresto e non si arresta neppure con la morte.
Per dire dei pregi, Gibson, anche aiutato dalla notorietà del fatto, riesce a tratteggiare una immensa varietà di personaggi; si avvale di una grande colonna sonora che ci riporta spesso a film d'epoca; non ci risparmia niente, come aveva lasciato intendere, delle sofferenze inflitte a quest'uomo, e ci fa soffrire insieme a lui, e sperare, nonostante tutto, visto che nei flashback ci sono, di tutte le parole, quelle più importanti e tolleranti.
Grande prova corale, e qui Gibson conferma di essere un bravo direttore, e quel che fa piacere è che il cast è in gran parte italiano; ma come non menzionare Caviezel, che in pratica recita con solo un occhio aperto, vista la tumefazione provocata al suo personaggio nel pestaggio al momento dell'arresto, Maia Morgerstern, dolente ma forte Madonna, e Rosalinda Celentano, inquietante e asessuato diavolo.
Perfino la scelta di far uscire il film in "originale"(aramaico per gli ebrei, latino per i romani) con sottotitoli è premiante, a mio parere; dopo un minuto di spaesamento, ci si abitua e, soprattutto l'aramaico, risulta sinuoso e avvolgente affascinando lo spettatore.
Dopo aver fatto notare che Rubini (ladrone buono), pur avendo una presenza di circa un'ora e mezzo inferiore sullo schermo alla Bellucci, dice più o meno lo stesso numero di battute (con risultati senz'altro più felici), e aver osannato la location (splendida Matera), vi invito ad abbandonare i preconcetti e a lasciarvi andare alla visione di un film combattuto quanto intenso.
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