In My Country – di John Boorman 2003
Giudizio sintetico: da vedere (3/5)
Giudizio vernacolare: bisonnierebbe lo vedessero velli della lega
Sudafrica 1995, un anno dopo la fine dell’apartheid; giornalisti di tutto il mondo seguono le udienze della “commissione per la verità e la riconciliazione”, dove testimoni delle brutalità della polizia parlano davanti agli esecutori; a questi ultimi sarà concessa l’amnistia se confesseranno e saranno in grado di dimostrare di aver eseguito degli ordini.
Tra i due giornalisti ci sono Anna Malan, poetessa afrikaaner prestata alla radio, e Langston Whitfield, giornalista nero americano. I due matureranno insieme, cambieranno la loro visione delle cose, si innamoreranno e scopriranno verità dolorose.
Tra i due giornalisti ci sono Anna Malan, poetessa afrikaaner prestata alla radio, e Langston Whitfield, giornalista nero americano. I due matureranno insieme, cambieranno la loro visione delle cose, si innamoreranno e scopriranno verità dolorose.
Boorman dirige un film molto bello, portandoci per mano in un paese straordinario e apprendendo, insieme allo spettatore, una lezione di civiltà dagli africani. Il film è spietato, e la storia d’amore è funzionale alla storia, togliendo la patina da documentario al tutto.
Intenso e straordinariamente interpretato anche nelle parti minori.
Nonostante l’incomprensibile decisione di cambiare il titolo originale (Country Of My Skull) con un’altra frase inglese (In My Country), una lezione di civiltà, assolutamente da non perdere.
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