Il sentiero - di Jasmila Žbanić (2012)
Giudizio sintetico: da vedere (3,5/5)
Giudizio vernacolare: av'a ragione marz
Sarajevo, Bosnia-Erzegovina, oggi. Luna e Amar sono una coppia giovane e innamorata; sono bosgnacchi (la maggioranza, in Bosnia), diciamo musulmani non praticanti. Lei è hostess della compagnia aerea della Bosnia-Erzegovina, lui è controllore di volo presso l'aeroporto di Sarajevo. Stanno provando ad avere un figlio, c'è qualche problema e stanno pensando di passare alla fecondazione assistita. Amar, però, ha qualche problema con l'alcol, e, dopo una serata di bagordi con gli amici, mentre Luna è fuori città per lavoro, il giorno seguente va a lavorare non particolarmente lucido, tant'è che il suo collega, sbagliando tazza, beve dalla sua, accorgendosi che sta bevendo un super alcolico, e fa rapporto. Amar viene sospeso da lavoro, obbligato a frequentare un gruppo di recupero nel caso volesse conservare il posto all'aeroporto, ma nel caso fosse reintegrato verrebbe cambiato di ruolo. Luna è preoccupata, e prega Amar di seguire il gruppo di recupero. Casualmente, in un giorno di festa, mentre sono a divertirsi con un'altra coppia di amici, Amar incontra Bahrija, un vecchio amico nonché compagno d'armi in guerra. Bahrija è diventato un wahabita, ma non si è dimenticato di Amar, e i due decidono di rivedersi per aggiornarsi sulle loro vite. Visto che Amar ha molto tempo libero, l'incontro avviene presto. Dopo questo, Amar annuncia a Luna che ha trovato un lavoro: Bahrija gli ha proposti di insegnare basi informatiche ai giovani wahabiti, in un loro campo scuola, sulle rive del lago Jablanica (come potrete notare dal link, la cosa riprende un curioso fatto di cronaca di qualche anno fa), un luogo molto bello ma piuttosto fuori mano rispetto a Sarajevo, per cui dovrà stare via alcuni giorni. A Luna la cosa comincia a non piacere, ma l'amore è sempre forte, per cui accetta la situazione. Ma quando decide di andare a trovare Amar presso il lago, la cosa comincia a destabilizzarla. Accompagnata dalla moglie di Bahrija, Nadja, coperta completamente dagli abiti, meno gli occhi, così come vuole, appunto, la concezione wahabita dell'islam, si accorge che il campo scuola wahabita è un luogo dove l'osservanza della religione è strettissima, e le sue abitudini cozzano pesantemente con quelle dei presenti, sia degli uomini che delle donne. Amar sembra non dar peso alla cosa, ma Luna comincia a nutrire dei dubbi su come possa proseguire la loro relazione. Amar, nel giro di poco tempo, diventa sempre più osservante, e la situazione si avvia ad un punto di non ritorno.
Uscito in Italia venerdì scorso (27 gennaio) il secondo film della regista bosniaca, che "annunciai" già nel 2009, recensendo il suo ottimo debutto Grbavica. Meno "forte" questo secondo lavoro, ma solo in apparenza, il film parte da una storia d'amore per analizzare nello specifico il fenomeno wahabita, ma che volendo possiamo allargare all'applicazione estrema di ogni religione, e di come la cosa possa creare enormi problemi a partire dal nucleo familiare. La regista, ancora una volta anche sceneggiatrice, affronta il tema con grande equilibrio, e prosegue il suo personale discorso tutto al femminile, contestualizzandolo nella sua terra, dove le ferite della guerra sono ancora aperte. Ogni pezzo del puzzle, ogni scena, è funzionale o alla determinazione della scelta di Luna, oppure importante per far capire allo spettatore che l'amore che lei prova per Amar è vero e profondo. La regia è attenta ai particolari, la fotografia e gli scenari ci rendono partecipi di una Bosnia-Erzegovina rigogliosa nelle campagne, tranquilla nelle province, e di una Sarajevo viva e vogliosa d'Europa, e il cast, composto in buona parte da attori e attrici già visti anche in Grbavica, è ben diretto, riuscendo a fornire un'ottima prova corale, credibile, senza sensazionalismi ma funzionale. Leon Lucev (Amar), che avevamo visto in Grbavica (era Pelda), è convincente, Zrinka Cvitesic (Luna) è molto bella e molto semplice. Interessante anche Ermin Bravo nella parte di Bahrija, brava come sempre Mirjana Karanovic (Nadja).
Apprezzabile anche perché non cerca sensazionalismi, ma solo storie significative, sarà difficile incontrare un cinema che lo proietti, tra candidati agli Oscar e scarti di cabaret all'italiana, ma se vi capita, vedetelo.