No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20071016

io e i Metallica - capitolo 4




Dopo il C.A.R. a Pesaro, fui destinato a Forlì. Non mi andò affatto male. Nonostante una caserma di compagnie operative di assaltatori della Brigata Folgore, fui affidato al mantenimento con l'incarico di caldaista. Non sapevo fare nulla, ma imparai qualcosa, almeno a spurgare un termosifone. Orario d'ufficio, sveglia a volte prestissimo per accendere le caldaie della cucina, la sera spesso di servizio per chiamate d'emergenza. A casa dal venerdì alla domenica ogni due fine settimana. Alcune grandi e indimenticabili amicizie, buon cibo e tante canne. Il nostro pub preferito in città aveva sempre Live at Pompei al maxischermo (Pink Floyd, of course). Mi persi un altro concerto da mangiarsi le mani, Venom + Exodus (i primi, una band amatissima anche dai Metallica, i secondi complici nel movimento thrash metal della Bay Area, la zona di San Francisco, band che fornì, tra l'altro, il chitarrista che sostituì Dave Mustaine - a sinistra nella foto del capitolo 2 insieme a James Hetfield - immediatamente prima dell'uscita di Kill 'em All, Kirk Hammett, ancora oggi in formazione). E poi venne il giorno.


Il 15 marzo 1986 ero in "48" a casa. Andai a Cecina, la cittadina vicina alla mia dove un anno prima avevo chiesto "un disco dei Metallica" nei due negozi che mi avevano fornito risposte inadeguate. Nel frattempo, era stato aperto un negozio di dischi nuovo, si chiama ancora oggi Masoko, il titolare è ancora oggi un ragazzo poco più grande di me, Massimo, col quale diventai amico, grande appassionato di Springsteen e Bowie. Avevo notato che era attento alle novità, e anche lui aveva notato questo tipo un po' goffo, grosso, piuttosto alto, con i capelli lunghi (fino alla partenza per la naja), che spulciava sempre i dischi alla ricerca di cose strane. Andai quindi a colpo sicuro ed acquistai il terzo disco dei Metallica, appena uscito: Master of Puppets era il titolo. Sulla copertina, un disegno di quello che sembrava un cimitero di guerra all'americana, un paio di mani confuse nel cielo rosso, mani che tenevano i fili delle croci. Il burattinaio. In alto, tra le due mani, il logo ormai famoso e riconoscibile della band. In mezzo, per essere precisi, c'era stata l'uscita del maxi-single di Creeping Death; sul lato B due cover, Blitzkrieg, un vivace pezzo speed originalmente suonato dalla band omonima, e la maestosa Am I Evil? dei misconosciuti Diamond Head, una band inglese raffinata. Questo pezzo era destinato a diventare un classico live, e donò inaspettata notorietà postuma alla band inglese.


Ascoltando Master of Puppets ebbi una specie di visione del futuro. Era la prima volta che mi trovavo a tu per tu con un capolavoro subito dopo la sua uscita. Il disco suonava granitico, compatto, devastante, un corpo contundente fatto di otto pezzi inattaccabili e tutti diversi. La struttura era a tratti simile a quella del predecessore Ride the Lightning, a tratti preannunciava cose che avremmo ritrovato in seguito. Il pezzo d'apertura, Battery, ricordava un po' Fight Fire With Fire, arpeggio iniziale, più rarefatto e con un suono più cupo e meno cristallino, poi l'ingresso delle chitarre in distorsione, basso e batteria a contrassegnare il tempo. Poi il riff indiavolato, gli stop and go sui piatti, la cavalcata speed, l'inizio dell'headbanging furioso. Il contro-ritornello sincopato. Le pennate libere della fine del bridge. I velocissimi mini-assoli di raccordo. Il rallentamento centrale di introduzione all'assolo ad effetto, prima di quello veloce. Lo stile di Hammett che si andava formando.

La title-track si preannunciava maestosa, dalla durata. A quel tempo ci si faceva caso a queste cose. Una introduzione lunga, ad effetto, arzigogolata, che sfocia poi in una specie di mid-tempo accelerato e zoppicante. Strano. Una passeggiata all'inferno. I testi cominciano ad essere interessanti. La canzone ti stende. Spinge, decelera, accelera. E' complessa e diretta allo stesso tempo. E' un grido di dolore. Capisci che sei di fronte a qualcosa di veramente diverso dal solito. Questa band è di più.

The Thing That Should Not Be sembra l'evoluzione di For Whom The Bell Tolls. Ispirazione letteraria, meno marziale e più canzone, claustrofobica e avvolgente. Ti fa sentire un punching-ball. Welcome Home (Sanitarium) è una nuova forma di ballata/non ballata. Il tema della malattia mentale traspare, il pezzo è un crescendo inarrestabile, la band suona meravigliosamente coesa, la voce di Hetfield svela risvolti inimmaginabili fino ad allora. Il finale è un vortice. Forse è il vortice della follia.

Finisce il lato A. Il vinile ha bisogno di essere girato.

Disposable Heroes è un pezzo apertamente contro la guerra, e qui la cosa si fa interessante. Questi ragazzi hanno una coscienza critica, anche se appaiono sempre con le birre in mano e sembrano dei cazzoni brufolosi (io ero proprio così a quell'epoca). I riff che sciorina sono fantastici, è un pezzo incessante. Ti soffoca fino a stordirti. Anticipa, ascoltandola oggi, i temi musicali di And Justice For All.

Leper Messiah è forse il pezzo più debole del disco. E devo dire che ascoltandola, uno si potrebbe fare un'idea della grandezza di Master. Ma i riff sono molto interessanti. E anche il testo, a proposito dei predicatori americani, anticipa un tema che è tutt'ora molto vivo.

Orion è lo strumentale che quindi diventa un classico dei dischi dei four horsemen. Un pezzo meno suggestivo di Ktulu, ma con un bel tiro. Una specie di omaggio alla parte strumentale della New Wave of British Heavy Metal e anche a qualcosa più indietro, il tutto rimescolato con uno stile già ben definito. La parte migliore è quella centrale, al quarto minuto: il basso di Burton è spettacolare e virtuoso, i soli chitarristici incrociati cesellano una splendida cornice.

Chiude Damage Inc., un classico pezzo speed molto bello, con una intro di grande effetto e un ritmo che ti assale cattivissimo. Il riff è indiavolato e divertente, gli stop disseminati lungo la canzone creano uno stile. L'assolo è formidabile. Da orgasmo.


La grandezza di questo album ormai epocale, a mio giudizio, è racchiusa tutta in una piccola coincidenza, per raccontare la quale sono costretto ad un veloce salto in avanti, di pochi mesi. Gennaio 1987, PalaTrussardi di Milano. Finalmente riesco a vedere i Metallica. Dopo l'esibizione della band di supporto, i Metal Church, dagli altoparlanti si sentono molti pezzi hard rock: la parte del leone la fanno le canzoni dei Black Sabbath dai primi sei dischi. I famosi "nastri", come li chiamavamo all'epoca, prima di un concerto, erano significativi e molto importanti. Un omaggio doveroso ad una band di "padri" del genere.

Dopo una decina di mesi, siamo nell'inverno a cavallo tra il 1987 e il 1988, i Black Sabbath, o meglio, quel che resta di loro, superstite il solo Toni Iommi, suonano supportando il loro The Eternal Idol diverse date italiane. Sono al Palasport di Firenze. Nell'attesa del concerto dei Sabbath viene suonato Master of Puppets dei Metallica per intero. Il resto sono chiacchiere.


to be continued

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