Il cacciatore di aquiloni - di Khaled Hosseini
Splendido debutto per questo medico afgano, figlio di un diplomatico, trasferitosi con la famiglia negli USA nel 1980. Uno di quei romanzi che stenti a credere non siano autobiografici (certo, c'è dentro una parte della vita dello scrittore, ma la maggior parte è romanzo), con personaggi che sembrano creati appositamente per finire interpretati sullo schermo del cinema da facce di pietra, scolpite dal tempo e dure per le figure maschili, eteree e bellissime per quelle femminili. Non è una colpa, credo io, anzi. C'è bisogno di letture del genere. I romanzi sono parte della vita, e ti fanno partecipare a qualcosa che non è tuo come se lo fosse.
Difficile dare preferenze elencando i personaggi. Tutti degni di nota, a partire dal padre del protagonista, Baba, fino ad arrivare alla suocera Jamila. Toccanti ed emozionanti, duri come la vita che vivono, quelli afgani. Il linguaggio è forbito, piuttosto formale e perfino prevedibile, ma la lettura viene ravvivata da molti termini arabi, e conserva sempre un tono contrito, un tono che contraddistingue il filo conduttore dell'opera, il "peccato" del protagonista che segna la sua vita due volte (la perdita alla sua nascita e l'omissione di soccorso al suo migliore amico).
Il valore aggiunto dell'opera, di grande impatto emozionale (ho pianto per la prima volta a pagina 38), è lo sfondo sul quale la storia si dipana. Meno approfondito, ma elargito con parsimonia elegante, quello statunitense, importantissimo quello afgano. L'autore ci spiega molte cose a proposito della tormentata storia dell'Afghanistan, del dualismo etnico e religioso (pashtun e hazara, sunniti e sciiti), dei cambi di regime, delle guerre, ci racconta la originaria bellezza del luogo e lo scempio che ne è stato fatto, cosa che ci tocca il cuore più di mille reportage giornalistico-guerreschi. Alcuni passaggi sono difficili da dimenticare.
Un libro bello ed emozionante.
Nessun commento:
Posta un commento