Aperti al mondo
Svafa è una donna simpatica: ha i capelli corti, è intelligente e non le manca il senso dell’umorismo. Il suo studio le somiglia molto. È spazioso, minimalista – non c’è neppure un tavolo – e moderno. È arredato con la precisione tipica della gente del nord, quasi come fosse un salotto, e ha una vista incantevole. Da una finestra si scorgono i tetti rossi e verdi di Reykjavik,
simili a quelli delle casette del Monopoli, che degradano ino al porto, di fronte a un mare di color blu intenso. L’altra finestra dà su una catena di montagne basse e coperte di neve. È un paesaggio bellissimo ma non è certo l’ambiente più facile in cui vivere. “Non basta essere forti,
bisogna saper usare l’immaginazione per sopravvivere da queste parti”, afferma Svafa. “Senza immaginazione saremmo finiti. Chi non ne ha non ha scampo”. Come dimostra la storia dei vichinghi, quest’immaginazione spinge gli islandesi ad andare in giro per il mondo. Svafa,
per esempio, ha ottenuto il suo dottorato alla London School of Economics, ha vissuto negli Stati Uniti e, complessivamente, è rimasta per più di dieci anni all’estero. Come lei fanno quasi tutti gli islandesi: quelli che non parlano un inglese eccellente sono davvero pochi. Ultimamente,
però, il paese ha cominciato anche ad attirare gli stranieri. All’università di Reykjavik ci sono professori di 23 paesi e in futuro, dopo il trasferimento della struttura in un nuovo campus che Svafa descrive come un luogo spaziale, l’ateneo ha intenzione di far crescere la presenza
di docenti e studenti stranieri e trasformarsi in un centro mondiale di istruzione superiore in campo economico. In Islanda le università sono otto. Quella di Reykjavik è totalmente bilingue,
e i corsi postlaurea sono spesso solo in inglese. Ma in questo modo non c’è il rischio che la lingua islandese scompaia? “Assolutamente no”, dichiara Svafa. “La nostra lingua è al sicuro”. Anche in questo l’Islanda è diversa: non è preda del nazionalismo nevrotico di altri piccoli paesi ed è aperta al mondo senza alcun timore. “A noi interessa attirare cervelli, non farli fuggire. Da questo punto di vista vogliamo seguire il modello degli Stati Uniti e creare campus di eccellenza capaci di attirare i migliori studenti di tutto il mondo”. Gli islandesi hanno la capacità di prendere il meglio da altre culture e società. Ne parlo con il primo ministro, Geir Haarde, durante un’occasione uficiale, celebrata in una sauna pubblica, luogo di incontro tradizionale per gli islandesi. Affabile come tutte le persone che ho incontrato, e senza alcuna guardia del corpo a proteggerlo (in Islanda la criminalità è quasi inesistente), Haarde accetta di sedersi con me per rispondere
a qualche domanda. “Siamo riusciti a combinare il meglio dell’Europa e degli Stati Uniti: lo stato
sociale scandinavo e lo spirito d’impresa americano”, spiega, sottolineando poi che, a differenza degli altri paesi nordici, l’Islanda ha tasse molto basse, sia per le persone sia per le imprese. “In questo modo abbiamo accolto molte aziende straniere che hanno deciso di stabilirsi qui, e non abbiamo fatto fuggire le ditte islandesi. Per lo stesso motivo il gettito fiscale è cresciuto del
20 per cento, grazie all’aumento dei fatturati”. Oltre a un’istruzione pubblica eccellente, l’Islanda ha anche un sistema sanitario molto eficiente: i privati si limitano a fornire servizi di lusso come la chirurgia estetica. Dagur Eggertsson, fino a poco tempo fa sindaco di Reykjavik e destinato a diventare il prossimo primo ministro, fa notare che il suo paese ha sfidato ogni logica economica. “Negli anni ottanta e novanta i teorici del liberismo negli Stati Uniti e in Gran Bretagna sostenevano che il sistema scandinavo fosse impraticabile e che la pressione fiscale e gli investimenti statali nei servizi pubblici avrebbero finito per schiacciare l’impresa privata”, spiega Dagur. L’ex sindaco ha 35 anni, un aspetto giovanile e, come la maggior parte degli islandesi, lavora molto: oltre a fare politica è anche medico. “Ma il sistema ha retto”, continua. “Analizzando i dati economici si scopre che in questi ultimi dodici anni i paesi scandinavi e l’Islanda hanno fatto passi da gigante. Qualcuno la definisce l’economia del calabrone: dal punto
di vista scientifico nessuno riesce a capire come possa volare. Ma ci riesce, e lo fa anche bene”.
Foto tratta da qui
Nessun commento:
Posta un commento