No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20080515

visti da fuori

Su Internazionale dello scorso venerdì mi aveva colpito questo articolo, tra gli altri. Lucido come pochi.


La Roma di Alemanno
Le prime dichiarazioni del neosindaco di Roma mostrano una mentalità provinciale, indegna di una capitale cosmopolita, scrive Birgit Schönau.

Facciamo uno sforzo di fantasia. Immaginiamo il sindaco conservatore di Amburgo che il giorno dopo l'elezione dichiara: questa teca di Richard Meier non mi è mai piaciuta. Facciamo un referendum tra i cittadini e vediamo se ci chiedono di toglierla. È inimmaginabile. E non solo perché i tedeschi non hanno un'Ara pacis, ma perché certe cose, da sindaco di una metropoli europea non si dicono (e non si pensano). Certo, poi è arrivato il dietrofront.Ma intanto ne avevano scritto i giornali di mezzo mondo. Ed erano intervenuti i soliti architetti romani che, all'epoca, non vinsero il concorso e quindi ce l'hanno con Meier. E che hanno colto l'occasione per dire che ormai il danno (la teca) è fatto, e che non è il caso di ripensarci: costerebbe troppo. Il nuovo sindaco di Roma è andato avanti. Dopo Meier, se l'è presa con la Festa del cinema. Non male per un laureato in ingegneria dell'ambiente e del territorio. Meno star hollywoodiane e più spazio al cinema italiano, ha detto. E anche stavolta si sono schierati con il sindaco appena eletto attori non proprio noti a livello internazionale, ma divi de' noantri.Più che l'ondata neofascista, Roma deve temere uno tsunami di provincialismo che boccia l'architettura contemporanea e i divi di Hollywood. Che ritiene importante far alzare in piedi gli alunni davanti al maestro e fargli cantare l'inno nazionale. E che attacca il Gay pride. Più che la marcia su Roma sembra un balzo indietro negli anni cinquanta, quando la capitale e il paese erano più piccoli, più semplici, più governabili e più cattolici.Dietro la vecchia idea di Roma caput mundi si nasconde la grande paura di gestire Roma come capitale mondiale. Ed è anche per questo che i romani hanno votato a destra. La stessa città che duemila anni fa era il centro cosmopolita di un impero guidato spesso da imperatori non romani e non italici, oggi ha dei problemi ad accettare la realtà multiculturale.E neanche la sinistra si è mostrata pronta per una Roma moderna, ed europea. Anzi, di fronte alla tragedia di Tor di Quinto, dove un giovane rumeno ha assassinato una signora romana, l'allora sindaco Veltroni fu colto da un raptus populista. Fece sgomberare i campi nomadi dalla capitale e perfino togliere la "settimana multietnica" dal programma delle mense scolastiche. Incredibile. Da quell'orribile delitto sono passati sei mesi. I romani si sentono sempre meno sicuri, anche se vivono in una delle metropoli più sicure del mondo. Si sentono aggrediti dalla presenza degli stessi stranieri che si occupano dei loro genitori anziani – Roma è la città più vecchia d'Europa – o dei loro pochi figli. Da secoli accoglie milioni di persone che arrivano da tutto il mondo, ma oggi la città fa fatica a convivere con chi non è solo un turista di passaggio.Il senso d'insicurezza è preoccupante. La città non è pronta a diventare una metropoli normale, consapevole dei problemi ma anche dei vantaggi di una società multiculturale. E così perfino Richard Meier viene trattato da intruso extracomunitario. Forse è solo propaganda. O forse è l'inizio di una battaglia culturale che Roma può solo perdere. Diventando certo non più sicura, ma più piccola.
Birgit Schönau è corrispondente del settimanale tedesco Die Zeit.
Per scriverle: corrispondente@internazionale.it

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