Protesi e biotecnologie
Un perfetto esempio di questo modello sociale arriva dalla famiglia di Oddny, che fa la pianista, parla perfettamente tedesco, traduce libri dall’inglese ed è consigliere comunale a Reykjavik. Cinque anni fa, mentre era a Stoccarda per studiare, è rimasta incinta di un ragazzo tedesco. Durante la gravidanza lo ha lasciato per tornare con una sua vecchia fiamma, un pittore e scrittore islandese di nome Hallgrimur Helgason. I due sono tornati a vivere in Islanda con il neonato e poco dopo hanno avuto un’altra figlia insieme, ma hanno conservato ottimi rapporti con il padre tedesco del primo figlio di Oddny, che è spesso ospite a casa loro, in Islanda.
“Qui le famiglie patchwork sono una tradizione”, spiega Oddny. “È normale che le donne abbiano figli da uomini diversi. Alla fine, però, fanno tutti parte della stessa famiglia”. Il caso di Oddny
non è una rarità. I compleanni dei bambini sono festeggiati non solo dai genitori, ma anche dai loro partner, da tutti i nonni e da legioni di zii e zie. L’Islanda, situata nel mezzo dell’Atlantico del nord e più vicina alla Groenlandia che all’Europa, è sempre stata dificile da raggiungere: nei secoli scorsi solo i più ostinati missionari cristiani ci sono riusciti. Oggi agli islandesi piace definirsi "pagani”, perché non si fanno condizionare dai tabù delle altre culture. Gli islandesi sono
persone pratiche e se un rapporto non funziona non ci pensano due volte a divorziare.
“Non è una cosa di cui andare fieri”, commenta Oddny con un sorriso, “ma il punto è che non riusciamo a rimanere insieme se le cose vanno male. Preferiamo andarcene”.
Uno dei motivi per cui è così facile troncare un rapporto è che la società, a cominciare dalla famiglia, non stigmatizza certi comportamenti. L’idea per cui bisogna rimanere insieme per i bambini non esiste. I bambini, infatti, crescono comunque in un ambiente felice, circondati da una nuova famiglia allar gata in cui i genitori hanno sempre rapporti civili, anche perché di solito si accordano per la custodia condivisa dei figli. La certezza che il futuro dei bambini è assicurato spiega anche perché le donne islandesi, pur essendo moderne ed emancipate (l’Islanda è stato il primo paese a eleggere una donna presidente, una madre single, 28 anni fa), continuano a fare figli da giovani. “Non si tratta di gravidanze indesiderate di adolescenti”, afferma Oddny, “ma di donne di 21 o 22 anni che desiderano avere un figlio, anche se sono ancora all’università.
Noi islandesi non pensiamo che l’arrivo di un figlio metta ine alla nostra indipendenza. E poi ci piace avere molti bambini. Tutti i bambini sono benvenuti”. Ai nuovi genitori lo stato concede
nove mesi di congedo retribuito, da suddividere tra il padre e la madre. “Il congedo di paternità è stato un passo importante per promuovere l’uguaglianza tra i sessi”, spiega Svafa Gronfeldt, rettore dell’università di Reykjavik ed ex dirigente d’azienda. Alla nascita del primo figlio è stata lei a prendere il congedo genitoriale, ma con il secondo è toccato al marito. “Per lavoro a me capitava di dover rimanere lontano da casa anche per 300 giorni all’anno”, racconta la donna.
Così, dopo qualche esitazione, la coppia ha deciso che a prendersi cura del bambino sarebbe stato l’uomo. A rassicurare Svafa ha contribuito anche l’efficienza del sistema di istruzione pubblica e in particolare delle scuole materne. “Il 99 per cento dei bambini, non importa se i genitori sono idraulici o multimiliardari, frequenta scuole pubbliche”, racconta Svafa. Per sei anni si è occupata di fusioni e acquisizioni in un’azienda di medicinali generici, la Activis. In quel periodo la società è cresciuta a ritmi vertiginosi, fino a diventare la terza del mondo nel suo ramo, e ha acquisito 23 aziende straniere, compreso un gigante del New Jersey, pagato 500 milioni di dollari nel 2005.
Oltre a fare pubblicità alla sua vecchia azienda – che ha lasciato per stare più vicina ai figli – Svafa spiega anche i passi avanti fatti negli ultimi dieci anni dall’economia islandese, fino a poco tempo fa basata essenzialmente sulla pesca. Le banche islandesi sono ormai presenti in venti paesi, la Decode di Reykjavik è una delle aziende più importanti del mondo per la ricerca biotecnologica sul genoma e le imprese del paese stanno acquisendo aziende alimentari e di telecomunicazioni nel Regno Unito, in Scandinavia e nell’Europa dell’est. Ma non solo:
l’Islanda è anche il primo produttore al mondo di protesi. “Ha presente quell’atleta sudafricano che ha perso le gambe ma che corre come un campione olimpico? Le sue gambe artificiali sono state costruite qui”, racconta Svafa.
Uno dei motivi per cui è così facile troncare un rapporto è che la società, a cominciare dalla famiglia, non stigmatizza certi comportamenti. L’idea per cui bisogna rimanere insieme per i bambini non esiste. I bambini, infatti, crescono comunque in un ambiente felice, circondati da una nuova famiglia allar gata in cui i genitori hanno sempre rapporti civili, anche perché di solito si accordano per la custodia condivisa dei figli. La certezza che il futuro dei bambini è assicurato spiega anche perché le donne islandesi, pur essendo moderne ed emancipate (l’Islanda è stato il primo paese a eleggere una donna presidente, una madre single, 28 anni fa), continuano a fare figli da giovani. “Non si tratta di gravidanze indesiderate di adolescenti”, afferma Oddny, “ma di donne di 21 o 22 anni che desiderano avere un figlio, anche se sono ancora all’università.
Noi islandesi non pensiamo che l’arrivo di un figlio metta ine alla nostra indipendenza. E poi ci piace avere molti bambini. Tutti i bambini sono benvenuti”. Ai nuovi genitori lo stato concede
nove mesi di congedo retribuito, da suddividere tra il padre e la madre. “Il congedo di paternità è stato un passo importante per promuovere l’uguaglianza tra i sessi”, spiega Svafa Gronfeldt, rettore dell’università di Reykjavik ed ex dirigente d’azienda. Alla nascita del primo figlio è stata lei a prendere il congedo genitoriale, ma con il secondo è toccato al marito. “Per lavoro a me capitava di dover rimanere lontano da casa anche per 300 giorni all’anno”, racconta la donna.
Così, dopo qualche esitazione, la coppia ha deciso che a prendersi cura del bambino sarebbe stato l’uomo. A rassicurare Svafa ha contribuito anche l’efficienza del sistema di istruzione pubblica e in particolare delle scuole materne. “Il 99 per cento dei bambini, non importa se i genitori sono idraulici o multimiliardari, frequenta scuole pubbliche”, racconta Svafa. Per sei anni si è occupata di fusioni e acquisizioni in un’azienda di medicinali generici, la Activis. In quel periodo la società è cresciuta a ritmi vertiginosi, fino a diventare la terza del mondo nel suo ramo, e ha acquisito 23 aziende straniere, compreso un gigante del New Jersey, pagato 500 milioni di dollari nel 2005.
Oltre a fare pubblicità alla sua vecchia azienda – che ha lasciato per stare più vicina ai figli – Svafa spiega anche i passi avanti fatti negli ultimi dieci anni dall’economia islandese, fino a poco tempo fa basata essenzialmente sulla pesca. Le banche islandesi sono ormai presenti in venti paesi, la Decode di Reykjavik è una delle aziende più importanti del mondo per la ricerca biotecnologica sul genoma e le imprese del paese stanno acquisendo aziende alimentari e di telecomunicazioni nel Regno Unito, in Scandinavia e nell’Europa dell’est. Ma non solo:
l’Islanda è anche il primo produttore al mondo di protesi. “Ha presente quell’atleta sudafricano che ha perso le gambe ma che corre come un campione olimpico? Le sue gambe artificiali sono state costruite qui”, racconta Svafa.
Foto tratta da qui
Nessun commento:
Posta un commento