No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20080531

la dolce vita degli islandesi 5



Una società senza tabù



Se il calabrone vola, se l’Islanda è il posto migliore per vivere e uno dei più ricchi del mondo, è perché i governi hanno sostenuto la gente dell’isola – un patrimonio umano forte, pragmatico e creativo – con politiche lungimiranti, per esempio in materia di istruzione. “Come medicoe come politico sono convinto che ci sia un legame profondo tra la salute del paese e la qualità delle decisioni politiche prese”, afferma Dagur Eggertsson, ex sindaco di Reykjavik. “Cent’anni fal’Islanda era uno dei paesi più poveri del mondo. Ma tutti sapevano leggere e le donne erano forti e determinate. Su questa base abbiamo costruito politiche solide. Abbiamo puntato sulle cose che contano davvero: pari opportunità, pace, democrazia, acqua pulita, istruzione, energia rinnovabile e diritti alle donne”. Dagur, come tutti gli islandesi con cui ho parlato, è orgoglioso ma non autocompiaciuto: è soddisfatto di sé, ma è ancora ambizioso e aperto al mondo. Una qualità,quest’ultima, che ha anche la scuola di Asgeir, dove ho visto bambini cinesi, vietnamiti, colombiani e perfino della Guinea equatoriale. Mentre parlavo con Svafa della capacità degli islandesi di imparare dalle migliori esperienze straniere, siamo tornati sulle due caratteristiche fondamentali di questo popolo: la solidarietà tipicamente scandinava e la determinazione statunitense. Abbiamo anche parlato del savoir-vivre degli islandesi, simile a quello deglieuropei del sud. Poi le ho confessato che nella sua società ho trovato qualcosa di africano, una caratteristica che manca nel resto d’Europa: la struttura aperta delle famiglie patchwork. In Islanda si ha la sensazione che, indipendentemente dal fatto che il padre viva nella stessa casa o che la madre lavori fuori, i bambini appartengono e si considerano parte di un nucleo più ampio, il villaggio. A Svafa l’idea è piaciuta. “Sì”, ha risposto, “siamo anche un po’ africani”.Alla fine ci troviamo d’accordo sul fatto che l’Islanda sia un melting pot che è riuscito a combinare le migliori qualità dell’umanità, e che oggi può insegnare al resto del mondo a vivere libero da ipocrisie, pregiudizi e tabù. A prima vista l’Islanda non ha nulla in comune con i paesi africani, in particolare con quello che occupa l’ultimo posto nella classifica dell’indice di sviluppo umano, la Sierra Leone. Eppure gli islandesi hanno avuto la saggezza di prendere ciò che di meglio aveva da offrire anche quell’universo apparentemente così lontano.


L'AUTORE



John Carlin è un giornalista britannico nato a Londra nel 1956. Vive a Barcellona e dal 2005 scrive per El País. Nel 2000 ha vinto il premio Ortega y Gasset con un reportage sull’immigrazione.

Foto tratta da qui

20080530

dimissioni

mi sono appena dimesso dal lavoro dopo 5 anni nella stessa azienda.
a luglio ne inizierò un'altro.
sorrido!

lapalissiano


Lapalissiano (come si dice dalle nostre parti, Monsieur Lapalisse era quello che 15 minuti prima di morire era sempre vivo) il ragionamento del Direttore di Internazionale sul numero in edicola da oggi.


La settimana

Percezione

La scorsa settimana abbiamo detto che Georges Simenon era francese. Scriveva in francese, ha vissuto buona parte della sua vita in Francia, il suo successo è cominciato quand'è arrivato a Parigi. Spesso si pensa che fosse francese. Ma non è vero: Simenon era belga. "Percezione" è una parola che va di gran moda, oggi. Viene usata per dire che l'impressione, la sensazione, l'immagine soggettiva che uno ha della realtà possono essere tenute in considerazione almeno quanto la realtà stessa. In nome del rispetto delle singole sensibilità. Così, indagare e descrivere la realtà diventa un esercizio inutile. Le statistiche dicono che i crimini sono in calo? Non importa, perché la "percezione" dell'aumento dell'insicurezza è reale quanto il reale aumento della sicurezza. E questo giustifica che se ne tenga conto con provvedimenti legislativi sproporzionati. Ma al di là della percezione, il punto è che Simenon era belga, non francese. E dire il contrario è semplicemente sbagliato.

- Giovanni De Mauro

la dolce vita degli islandesi 4




L’arte come rifugio



Il successo dell’Islanda deriva dalla predisposizione al lavoro, dalla creatività e dalla fiducia, tipicamente americana, nella possibilità di trasformare le idee in realtà. “Molti di noi hanno vissuto e studiato negli Stati Uniti”, spiega Geir Haarde, “e dagli americani abbiamo imparato
che se ci si impegna a fondo tutto è possibile”. Svafa sembra la personificazione di quest’atteggiamento: ammira la civile generosità dello stato islandese, ma lavora sodo per raggiungere i suoi obiettivi con un ottimismo incrollabile. Uno spirito simile è alla base del successo della Reykjavik Energy, la compagnia che fornisce agli islandesi acqua calda ed
elettricità. Con un’attenzione per l’ambiente molto poco statunitense, l’azienda ha dimostrato una grande capacità d’innovazione scegliendo di scavare in cerca d’acqua un chilometro sotto la superficie terrestre, dove raggiunge temperature di 200 gradi centigradi. Nel 1940 l’85 per cento dell’energia islandese proveniva dal carbone e dal petrolio, mentre oggi arriva dall’acqua
vulcanica sotterranea, che, dopo aver attraversato enormi turbine in impianti ad alta tecnologia e non inquinanti, soddisfa la metà del fabbisogno del paese a un prezzo pari a due terzi di quello pagato mediamente in Europa. Il risultato è che l’Islanda ha il più grande sistema di riscaldamento geotermico del mondo, preso a modello da molti altri paesi. Di recente i primi ministri di Cina e India sono stati in Islanda per studiare le possibilità offerte dalle energie pulite, e la Reykjavik Energy sta partecipando a progetti per esportare il suo modello in Gibuti, nel Salvador e in Indonesia. Il successo di Reykjavik Energy è una metafora del successo dell’intero paese: è basato infatti sulla capacità di dominare la natura per trasformarla in energia, attraverso il lavoro e l’ingegno. Gli artisti islandesi hanno fatto qualcosa di simile. Il paese brulica di scrittori, pittori, cineasti e musicisti. Björk, per esempio, è islandese, e da Reykjavik arrivano anche un’orchestra sinfonica che suona nelle migliori sale del mondo e un’ottima compagnia d’opera. Tra i dieci nuovi talenti più promettenti del mondo la rivista Variety ha inserito il nome di Baltsar Kormakur, un ex attore di soap opere televisive diventato regista cinematografico. Gli islandesi, poi, sono tutti scrittori, forse ispirati dal grande patrimonio letterario nazionale delle saghe vichinghe duecentesche, e anche la pittura è una passione diffusa, al punto che gli artisti che riescono a vivere del loro lavoro non sono meno di un centinaio. Haraldur Jonsson è scultore, pittore astratto e video-performer. In un inglese migliore di quello della maggior parte dei britannici mi spiega che il suo obiettivo, è “rendere visibile il mondo invisibile”, trasformare le emozioni in oggetti da vedere e toccare. Ma cosa rende gli islandesi così creativi?, gli domando. “Facciamo arte per non impazzire, per tenere a distanza la bestia”. La bestia? “Sì, l’Islanda,
quest’isola su cui viviamo, con la sua natura spaventosa e il suo clima difficile e imprevedibile. Qui è come nel mondo degli incubi di Goya: tutto è meraviglioso e grottesco. Viviamo su un’isola, insieme a una bestia invisibile. Non possiamo fuggire, dobbiamo conviverci, domarla. Io lo faccio attraverso l’arte”, spiega Haraldur, che nel tentativo di ammansire il mostro ha scritto anche tre libri. “Qui non ci sono animali né alberi. Abbiamo bisogno di una ricca vita interiore per riempire gli spazi vuoti e il silenzio con il nostro stesso rumore”. C’è un’altra bestia con cui l’Islanda è
in debito: la seconda guerra mondiale. Gli islandesi sono l’unico popolo al mondo a cui Adolf Hitler ha lasciato un’eredità positiva. Prima della guerra, l’Islanda era il paese più povero d’Europa. All’improvviso, nel 1939, diventò un luogo di grande importanza strategica, conteso tra tedeschi e britannici. Alla fine ebbero la meglio i britannici, che stabilirono una base militare su una lingua di terra vicina alla costa di Reykjavik. “Il loro arrivo creò molti posti di lavoro che, per la prima
volta nella storia del paese, non avevano nulla a che fare con la pesca e l’agricoltura”, ricorda Asvaldur Andresson. “Prima della guerra praticamente non c’erano strade. Poi sono arrivati gli inglesi e gli americani, e hanno portato scavatrici, strade asfaltate e attrezzi da lavoro moderni”. Asvaldur, che è nato nel 1928 in un paesino di pescatori a Seydisfjördur, nell’estremità orientale
dell’isola, è emigrato a Reykjavik alla fine della guerra e ha trovato lavoro come conducente di autobus alla base americana, prima di mettersi a riparare automobili. La sua è stata una vita dura, soprattutto da bambino, quando l’Islanda era uno dei paesi peggiori dove vivere: arretratezza da terzo mondo e condizioni climatiche difficilissime. A dodici anni Asvaldur lasciò la scuola e andò a lavorare su una nave da pesca. Nello stesso anno perse il padre, mentre sua sorella era morta di pertosse quando lui aveva tre anni. Per dar da mangiare alla famiglia ha lavorato 16 ore al giorno per una vita intera, e con i soldi risparmiati è riuscito anche a costruirsi una casa di due piani. Oggi si occupa a tempo pieno della moglie invalida, e per farlo riceve un sussidio dallo stato. “Se penso al passato, quasi stento a credere quanto sia cambiato questo paese”, afferma Asvaldur, offrendomi delle tartine che ha preparato per la moglie. Mi racconta delle sue tre nipoti, ormai adulte: una gira documentari a Parigi, un’altra è esperta di biotecnologie e lavora in un ospedale di Reykjavik, mentre la più grande, che ha 26 anni, si sta preparando a diventare una pilota d’aerei per la Ryanair. Asvaldur e sua moglie hanno già cinque bisnipoti: bambini che sicuramente cresceranno circondati da amore e attenzioni e potranno beneficiare di un’ottima istruzione. Soprattutto se saranno allievi della scuola Háteigsskól, a
Reykjavik, che ho visitato con la guida del direttore, Asgeir Beinteinsson. Gli studenti, che hanno dai 6 ai 16 anni, seguono una grande varietà di corsi obbligatori, dalla cucina alla falegnameria
passando per le materie più tradizionali. La cosa che più stupisce, però, è la fantasia e la creatività degli insegnanti e la loro stretta collaborazione con i genitori. Ai più piccoli la storia e la scienza vengono spiegate attraverso il teatro, che è usato anche per le lezioni di biologia: nelle recite i bambini interpretano il ruolo del cuore, dei polmoni, dei reni. Inoltre, un insegnante
ha il compito di raccogliere e analizzare in dettaglio i risultati delle ricerche e degli esercizi svolti periodicamente dai ragazzi per garantire che la scuola abbia sempre un buon livello di
insegnamento. I risultati (discussi da studenti, genitori e docenti) sono valutati sotto tutti i
punti di vista: dalla qualità dell’insegnamento all’opinione degli studenti sulle strutture della
scuola. Tutte le informazioni sono sempre a disposizione dei genitori su internet. “Cerchiamo di stimolare i bambini dandogli una buona istruzione di base”, spiega Asgeir, “e puntiamo a creare un ambiente accogliente e creativo”. Dietro questa filosofia dei buoni sentimenti c’è una profonda
riflessione, alimentata anche dall’abitudine, tutta islandese, di andare in cerca di idee e spunti lontano dal loro paese. Due insegnanti che ho conosciuto erano appena stati in Inghilterra, dove avevano visitato un distretto scolastico di Birmingham all’avanguardia. Anche Asgeir ha
viaggiato. È stato in Danimarca, Scozia, Stati Uniti e Singapore, e la settimana in cui l’ho conosciuto stava per andare a New Orleans. Tutti i docenti hanno l’opportunità di prendersi un anno sabbatico, completamente retribuito, per studiare e fare aggiornamento.




Foto tratta da qui

andare via

Ci sono persone alle quali ti senti indissolubilmente legato. E, a volte, come diceva il buon Ben Harper quando ancora era un musicista di nicchia e a noi snob piaceva di brutto, a volte queste persone devono andare via. Per un po', perchè hanno da fare, perchè il loro lavoro è da un'altra parte, per poco tempo o per lungo tempo, ma devono andare via. E allora, ci si saluta, e a volte il saluto dura una serata intera, a volte quando si arriva al momento di lasciarsi non si dicono mai tutte le cose che si dovrebbero o si vorrebbero dire, a volte non si dice più di tanto perchè non serve dire troppo. A volte, come capita anche in altre occasioni, ci si affida ad una canzone, ed è bello. Come quando si facevano le dediche alla radio. Walk Away di Ben Harper, facendoti wave goodbye.

Oh no
Arriva di nuovo quel sole
Significa un altro giorno
Senza di te amica mia

E mi fa male
Guardarmi nello specchio
E mi fa ancora più male
Dover stare con altre persone
Ed è così difficile da fare
E così facile da dire
Ma a volte
A volte devi solo andare via
Andare via

Con così tante persone
Da amare nella mia vita
Perchè mi preoccupo
Di una sola

Ma tu hai messo la gioia
Nella mia felicità
Hai messo i bei momenti
Nella mia vita
Ed è così difficile da fare
E così facile da dire
Ma a volte
A volte puoi solo andare via
Andare via
Verso l'uscita

Abbiamo provato l'addio
Così tanti giorni
Camminavamo nella stessa direzione
Così che non ci saremmo mai separati
Dicono che se ami qualcuno
Allora lo devi lasciare libero
Ma io invece vorrei essere con te
Piuttosto che vivere in sofferenza e miseria

Dicono che il tempo
Farà andare via tutto ciò
Ma è il tempo che si è preso i miei domani
E li ha tramutati in ieri
E ancora una volta quel sole che nasce
Sta andando giù
E ancora una volta tu mia amica
Non sei qui
Ed è così difficile da fare
E così facile da dire
Ma a volte
A volte devi andare via
Andare via

20080529

mush



PAKISTAN: THE NEWS, MUSHARRAF HA DECISO DI DIMETTERSI

Islamabad, 29 mag. - (Adnkronos) - Il presidente pachistano Pervez Musharraf avrebbe deciso di dimettersi e l'annuncio della sua uscita di scena potrebbe arrivare presto. Lo scrive il quotidiano "The News", all'indomani dell'accordo raggiunto tra il Partito popolare pachistano (Ppp) e la Lega nazionale musulmana-Nawaz dell'ex premier Nawaz Sharif di destituire il presidente. Citando fonti autorevoli, il giornale sostiene che Musharraf "sarebbe ormai dell'idea di farla finita e che potrebbe fare un annuncio formale in proposito in qualsiasi momento".

coming soon


A breve, recensione de Il divo - di Paolo Sorrentino; con sottotitolo "La spettacolare vita di Giulio Andreotti", Sorrentino con questo film mette un mattone importantissimo per la sua carriera di regista. Il film è magistrale tecnicamente, ha un ritmo forsennato, ogni inquadratura è il top, la colonna sonora è prefetta, il protagonista è raccontato negli anni che vedono l'inizio del suo declino politico ma fanno largo uso dei flashback, che spesso sono la parte pirotecnica del film, i vari personaggi sono presentati da didascalie già di per sè belle, il risultato è vicino al capolavoro, ed è la dimostrazione che un certo tipo di cinema si può fare anche in Italia. Adesso, la parola spetta a voi, che dovete riempire le sale.

coming soon


A breve, recensione di Be Kind Rewind - Gli acchiappafilm - di Michel Gondry; un film che trasuda amore per il cinema di ogni genere, ma che non decolla mai e ci fa chiedere perchè Gondry si diverta a rimanere "incompiuto".

la dolce vita degli islandesi 3




Aperti al mondo



Svafa è una donna simpatica: ha i capelli corti, è intelligente e non le manca il senso dell’umorismo. Il suo studio le somiglia molto. È spazioso, minimalista – non c’è neppure un tavolo – e moderno. È arredato con la precisione tipica della gente del nord, quasi come fosse un salotto, e ha una vista incantevole. Da una finestra si scorgono i tetti rossi e verdi di Reykjavik,
simili a quelli delle casette del Monopoli, che degradano ino al porto, di fronte a un mare di color blu intenso. L’altra finestra dà su una catena di montagne basse e coperte di neve. È un paesaggio bellissimo ma non è certo l’ambiente più facile in cui vivere. “Non basta essere forti,
bisogna saper usare l’immaginazione per sopravvivere da queste parti”, afferma Svafa. “Senza immaginazione saremmo finiti. Chi non ne ha non ha scampo”. Come dimostra la storia dei vichinghi, quest’immaginazione spinge gli islandesi ad andare in giro per il mondo. Svafa,
per esempio, ha ottenuto il suo dottorato alla London School of Economics, ha vissuto negli Stati Uniti e, complessivamente, è rimasta per più di dieci anni all’estero. Come lei fanno quasi tutti gli islandesi: quelli che non parlano un inglese eccellente sono davvero pochi. Ultimamente,
però, il paese ha cominciato anche ad attirare gli stranieri. All’università di Reykjavik ci sono professori di 23 paesi e in futuro, dopo il trasferimento della struttura in un nuovo campus che Svafa descrive come un luogo spaziale, l’ateneo ha intenzione di far crescere la presenza
di docenti e studenti stranieri e trasformarsi in un centro mondiale di istruzione superiore in campo economico. In Islanda le università sono otto. Quella di Reykjavik è totalmente bilingue,
e i corsi postlaurea sono spesso solo in inglese. Ma in questo modo non c’è il rischio che la lingua islandese scompaia? “Assolutamente no”, dichiara Svafa. “La nostra lingua è al sicuro”. Anche in questo l’Islanda è diversa: non è preda del nazionalismo nevrotico di altri piccoli paesi ed è aperta al mondo senza alcun timore. “A noi interessa attirare cervelli, non farli fuggire. Da questo punto di vista vogliamo seguire il modello degli Stati Uniti e creare campus di eccellenza capaci di attirare i migliori studenti di tutto il mondo”. Gli islandesi hanno la capacità di prendere il meglio da altre culture e società. Ne parlo con il primo ministro, Geir Haarde, durante un’occasione uficiale, celebrata in una sauna pubblica, luogo di incontro tradizionale per gli islandesi. Affabile come tutte le persone che ho incontrato, e senza alcuna guardia del corpo a proteggerlo (in Islanda la criminalità è quasi inesistente), Haarde accetta di sedersi con me per rispondere
a qualche domanda. “Siamo riusciti a combinare il meglio dell’Europa e degli Stati Uniti: lo stato
sociale scandinavo e lo spirito d’impresa americano”, spiega, sottolineando poi che, a differenza degli altri paesi nordici, l’Islanda ha tasse molto basse, sia per le persone sia per le imprese. “In questo modo abbiamo accolto molte aziende straniere che hanno deciso di stabilirsi qui, e non abbiamo fatto fuggire le ditte islandesi. Per lo stesso motivo il gettito fiscale è cresciuto del
20 per cento, grazie all’aumento dei fatturati”. Oltre a un’istruzione pubblica eccellente, l’Islanda ha anche un sistema sanitario molto eficiente: i privati si limitano a fornire servizi di lusso come la chirurgia estetica. Dagur Eggertsson, fino a poco tempo fa sindaco di Reykjavik e destinato a diventare il prossimo primo ministro, fa notare che il suo paese ha sfidato ogni logica economica. “Negli anni ottanta e novanta i teorici del liberismo negli Stati Uniti e in Gran Bretagna sostenevano che il sistema scandinavo fosse impraticabile e che la pressione fiscale e gli investimenti statali nei servizi pubblici avrebbero finito per schiacciare l’impresa privata”, spiega Dagur. L’ex sindaco ha 35 anni, un aspetto giovanile e, come la maggior parte degli islandesi, lavora molto: oltre a fare politica è anche medico. “Ma il sistema ha retto”, continua. “Analizzando i dati economici si scopre che in questi ultimi dodici anni i paesi scandinavi e l’Islanda hanno fatto passi da gigante. Qualcuno la definisce l’economia del calabrone: dal punto
di vista scientifico nessuno riesce a capire come possa volare. Ma ci riesce, e lo fa anche bene”.




Foto tratta da qui

porte coi sassi

Dal Corrierone (qui):

Essere alle porte coi sassi
Questa espressione sembra che derivi dal Medio Evo: quando una città assediata da lungo tempo, arrivava ad esaurire tutte le lance, le frecce, l’olio bollente e quant’altro di utile a respingere gli assalti del nemico, tutti gli abitanti della città, viste anche le perdite subite tra le file dell’esercito, si recavano sopra le porte delle mura per gettare tutto quello che potevano ai soldati nemici che tentavano di entrare. Allora si recuperavano ciottoli dalle strade, mattoni, pietre e tegole dalle case, che non avevano certamente un grande potere offensivo, ma erano comunque l’unica seppur flebile speranza rimasta. “Essere alle porte coi sassi” sta quindi per significare che siamo ormai alla fine e che dopo questo non resta nient’altro da fare (un po’ come “essere alla frutta” o “ultima spiaggia”).
Fabio Giusti

Perchè? Perchè se è vero questo, confermo questo. Semplice.

20080528

mare mare mare voglio annegare


Ho in mente di "sfruttare" l'amico Cipo, oceanografo ed esempio pratico di "fuga dei cervelli" per un'intervista scientifica alla Alberto Angela (nostro idolo incontrastato). Cominciamo con un assaggio.


Ale E ora reggiti forte. Stasera mentre ero sul mare mi è venuta in mente una cosa strana. Una domanda di quelle da miliardi. E poi mi sono detto "chi meglio di Cipo?". Eccola: c'è una ragione conosciuta per cui l'acqua del mare è salata?


Cipo Sai che la tua domanda sul perché il mare sia salato non è per niente banale? Fino a qualche decennio fa la spiegazione accettata da tutti si basava sui sali portati in minima quantità dai fiumi (e a loro volta derivanti dal dilavamento e dall'erosione delle rocce), che si concentrano nel mare per effetto dell'evaporazione. È tutto sommato una spiegazione molto logica: basta vedere cosa succede in bacini chiusi ad alta evaporazione come il Mar Morto, che è quasi nove volte più salato dell'oceano. Questa spiegazione è accettata ancora oggi, ma sappiamo che non è l'unica causa: che ci sono anche altri processi che contribuiscono alla salinità del mare, tipo le sorgenti idrotermali sottomarine dalle quali sgorga acqua ricca in sali di ogni genere. [tra l'altro queste sorgenti sono una meraviglia per i biologi perché intorno ad esse vivono animali stranissimi, per i quali l'energia primaria non è quella del sole ma quella geotermica - vedi per info questa voce di Wikipedia: http://en.wikipedia.org/wiki/Hydrothermal_vent ].

Inoltre sui fondali e nelle zone geologicamente attive avvengono anche processi che possono rimuovere dei sali dall'acqua di mare, per esempio durante la formazione di certi tipi di rocce. Quindi si pensa che allo stato attuale la salinità degli oceani sia in una condizione più o meno di equilibrio, cioè non sta aumentando o diminuendo significativamente.


Per il momento grazie a Cipo per la disponibilità

visti da dentro


Da Internazionale.


ROMA
Tra bamboccioni e coccodè
IGIABA SCEGO
Faccio parte di una generazione curiosa, per non dire sfigata: quella dei trentenni bamboccioni,
quella dei trentenni che non faranno mai la rivoluzione, quella dei trentenni che si accontentano e così sia. Poi, se io e molti della mia generazione non siamo bamboccioni, vogliamo fare la rivoluzione e magari siamo stufi di accontentarci, be’ questo è un altro paio di maniche. Il corpo sociale nella sua interezza ci ha etichettati così, eterni giovani a cui al massimo si può offrire uno
stage, un coccodè qualsiasi, non un lavoro. In uno dei suoi ultimi discorsi Benedetto xvi ha consigliato ai fedeli riuniti a piazza San Pietro di guardarsi dai rischi della giovinezza a oltranza. Mi chiedo però quanto questa giovinezza sia voluta da quelli che la proclamano e quanto invece sia costruita da un mondo che vuole carne fresca da sfruttare. Io ho 34 anni e non mi definisco giovane. Un giovane per me ha tra i 19 e i 25 anni. Un giovane è qualcuno che deve fare esperienza. Un giovane è chi ha ancora gli occhi parzialmente bendati. Un trentenne ha già un bagaglio di esperienza non indifferente. Spesso ha un percorso di studio, un curriculum lungo quattro pagine. Dire a un trentenne “sei giovane” è un atto ingiusto, se non un’offesa. Significa
voler cancellare la sua vita, la strada che ha percorso per arrivare in lì. Significa minimizzarlo. Annullarlo. Ormai si passa dalla giovinezza alla vecchiaia senza attraversare la terra di mezzo
dell’età adulta. La cosa curiosa (o tremenda, fate un po’ voi) è che di solito per campare devi fare più cose, più coccodè, più progetti. Non solo: la mia esperienza personale di bambocciona precaria mi porta a dire che gli stipendi di un tempo ormai sono un miraggio, ancora più lontano del paradiso che promettono ai kamikaze in Medio Oriente. E anche i pagamenti in genere sono lontani nel tempo. Magari lavori oggi, e se tutto va bene i soldi li vedi tra sei mesi. Di precariato si è parlato un po’, folclorizzandolo parecchio, in campagna elettorale. Ora il tema è scomparso
dall’agenda pubblica. È il momento della caccia ai rom e ai clandestini. Tutto questo bla bla sull’immigrazione crea razzismo tra italiani e stranieri, tra stranieri e stranieri, tra figli di migranti e figli di chi è sempre vissuto qui. E distoglie l’attenzione dai problemi reali. Così al potere non si fanno più quelle domande serie, adulte che bisognerebbe rivolgergli. Una mia amica nordamericana, Maya, mi ha chiesto: “Perché in Italia la ricerca non è mai un tema centrale
in campagna elettorale?”. Cosa dirle? Pd, Pdl, Udc, Arcobaleni vari: nessuno ha toccato l’argomento. Un paese cresce se investe nella ricerca, se punta sui giovani e sugli adulti
bamboccioni. Gli italiani emigrano ancora tanto e per la maggior parte sono bamboccioni con tanto di dottorato di ricerca e idee strabilianti. L’Italia forma cervelli, lo fa ancora bene, ma poi non sa dove piazzarli. E intanto, invece di trovare una soluzione, si lancia l’allarme sicurezza.
Non so gli altri bamboccioni, ma per quanto mi riguarda il precariato mi dà molta più insicurezza dei delinquenti. Nel frattempo la politica del capro espiatorio va avanti. Oggi pagano i rom,
ma le vittime siamo tutti noi.


IGIABA SCEGO è nata a Roma nel 1974 da genitori somali. Ha pubblicato Rhoda (Sinnos 2004) e due racconti nell’antologia Pecore nere (Laterza 2005). Un suo racconto è uscito nella raccolta Amori bicolori (Laterza 2008).

msf

Pubblicità Progresso
http://www.medicisenzafrontiere.it/sostienici/viral_marketing/5x1000_2008.asp

ma allora...


....qualcuno la pensa come me?
Leggete qui.

salvi

comunque l'hellas si è salvato dal baratro della c2 con un gol del pelato (evvoreivedere!) ilyas zeitulaev all'ultimo minuto dell'ultima partita dei play out. commovente!
l'anno prossimo quindi ancora c1 , la serie migliore per andare a vedere la squadra in trasferta, visto che giocano spesso qui vicino.
olè!

la dolce vita degli islandesi 2




Protesi e biotecnologie




Un perfetto esempio di questo modello sociale arriva dalla famiglia di Oddny, che fa la pianista, parla perfettamente tedesco, traduce libri dall’inglese ed è consigliere comunale a Reykjavik. Cinque anni fa, mentre era a Stoccarda per studiare, è rimasta incinta di un ragazzo tedesco. Durante la gravidanza lo ha lasciato per tornare con una sua vecchia fiamma, un pittore e scrittore islandese di nome Hallgrimur Helgason. I due sono tornati a vivere in Islanda con il neonato e poco dopo hanno avuto un’altra figlia insieme, ma hanno conservato ottimi rapporti con il padre tedesco del primo figlio di Oddny, che è spesso ospite a casa loro, in Islanda.
“Qui le famiglie patchwork sono una tradizione”, spiega Oddny. “È normale che le donne abbiano figli da uomini diversi. Alla fine, però, fanno tutti parte della stessa famiglia”. Il caso di Oddny
non è una rarità. I compleanni dei bambini sono festeggiati non solo dai genitori, ma anche dai loro partner, da tutti i nonni e da legioni di zii e zie. L’Islanda, situata nel mezzo dell’Atlantico del nord e più vicina alla Groenlandia che all’Europa, è sempre stata dificile da raggiungere: nei secoli scorsi solo i più ostinati missionari cristiani ci sono riusciti. Oggi agli islandesi piace definirsi "pagani”, perché non si fanno condizionare dai tabù delle altre culture. Gli islandesi sono
persone pratiche e se un rapporto non funziona non ci pensano due volte a divorziare.

“Non è una cosa di cui andare fieri”, commenta Oddny con un sorriso, “ma il punto è che non riusciamo a rimanere insieme se le cose vanno male. Preferiamo andarcene”.
Uno dei motivi per cui è così facile troncare un rapporto è che la società, a cominciare dalla famiglia, non stigmatizza certi comportamenti. L’idea per cui bisogna rimanere insieme per i bambini non esiste. I bambini, infatti, crescono comunque in un ambiente felice, circondati da una nuova famiglia allar gata in cui i genitori hanno sempre rapporti civili, anche perché di solito si accordano per la custodia condivisa dei figli. La certezza che il futuro dei bambini è assicurato spiega anche perché le donne islandesi, pur essendo moderne ed emancipate (l’Islanda è stato il primo paese a eleggere una donna presidente, una madre single, 28 anni fa), continuano a fare figli da giovani. “Non si tratta di gravidanze indesiderate di adolescenti”, afferma Oddny, “ma di donne di 21 o 22 anni che desiderano avere un figlio, anche se sono ancora all’università.
Noi islandesi non pensiamo che l’arrivo di un figlio metta ine alla nostra indipendenza. E poi ci piace avere molti bambini. Tutti i bambini sono benvenuti”. Ai nuovi genitori lo stato concede
nove mesi di congedo retribuito, da suddividere tra il padre e la madre. “Il congedo di paternità è stato un passo importante per promuovere l’uguaglianza tra i sessi”, spiega Svafa Gronfeldt, rettore dell’università di Reykjavik ed ex dirigente d’azienda. Alla nascita del primo figlio è stata lei a prendere il congedo genitoriale, ma con il secondo è toccato al marito. “Per lavoro a me capitava di dover rimanere lontano da casa anche per 300 giorni all’anno”, racconta la donna.
Così, dopo qualche esitazione, la coppia ha deciso che a prendersi cura del bambino sarebbe stato l’uomo. A rassicurare Svafa ha contribuito anche l’efficienza del sistema di istruzione pubblica e in particolare delle scuole materne. “Il 99 per cento dei bambini, non importa se i genitori sono idraulici o multimiliardari, frequenta scuole pubbliche”, racconta Svafa. Per sei anni si è occupata di fusioni e acquisizioni in un’azienda di medicinali generici, la Activis. In quel periodo la società è cresciuta a ritmi vertiginosi, fino a diventare la terza del mondo nel suo ramo, e ha acquisito 23 aziende straniere, compreso un gigante del New Jersey, pagato 500 milioni di dollari nel 2005.
Oltre a fare pubblicità alla sua vecchia azienda – che ha lasciato per stare più vicina ai figli – Svafa spiega anche i passi avanti fatti negli ultimi dieci anni dall’economia islandese, fino a poco tempo fa basata essenzialmente sulla pesca. Le banche islandesi sono ormai presenti in venti paesi, la Decode di Reykjavik è una delle aziende più importanti del mondo per la ricerca biotecnologica sul genoma e le imprese del paese stanno acquisendo aziende alimentari e di telecomunicazioni nel Regno Unito, in Scandinavia e nell’Europa dell’est. Ma non solo:
l’Islanda è anche il primo produttore al mondo di protesi. “Ha presente quell’atleta sudafricano che ha perso le gambe ma che corre come un campione olimpico? Le sue gambe artificiali sono state costruite qui”, racconta Svafa.




Foto tratta da qui

matrice


Secondo me, ha ragione Alessandro Portelli (qui il suo blog e la sua "scheda", nella foto) sul Manifesto di ieri (qui) quando dice che gli episodi di questi ultimi giorni (le molotov a Ponticelli, la morte di Verona, l'aggressione del Pigneto, e, aggiungo, gli scontri alla Sapienza di ieri, freschi freschi), se è vero, come ci vogliono far credere, che non hanno una matrice politica, è peggio.

E' la stessa identica cosa che ho pensato anch'io. Se non ce l'hanno, vuol dire che siamo messi veramente male, che ormai ci stiamo imbarbarendo definitivamente. Il sospetto è forte. Se anche Giuseppe Cruciani, su Radio 24, uno sempre molto obiettivo, dice che non sono episodi preoccupanti (sentito ieri sera, in risposta a un ascoltatore che si definiva "molto preoccupato"), se gente che conosco bene è convinta che il problema dell'Italia sono i Rom e gli immigrati, siamo "alle porte coi sassi", come si dice a Livorno, per dire che siamo al capolinea.

E ha ragione pure l'amico Ivano quando, un po' per battuta, un po' no, dice che ad Almirante, invece che dedicargli una strada a Roma, gli andrebbe intitolato un inceneritore.

20080527

la dolce vita degli islandesi 1


Questa settimana ho acquistato in pdf Internazionale perchè vi voglio postare, a puntate perchè è un po' lungo, un bell'articolo sull'Islanda, un paese che io e altri amici e amiche ammiriamo e vorremmo visitare quanto prima, sulle sue contraddizioni e sul suo livello di vita. L'ho trovato molto interessante. Eccovi la prima parte.

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ISLANDA

La dolce vita degli islandesi
Solidarietà, ottimismo, intraprendenza, creatività. Tanti bambini e famiglie allargate. Sono gli ingredienti del successo dell’Islanda. Reportage dal paese più felice del mondo

JOHN CARLIN, EL PAÍS SEMANAL, SPAGNA.

Prendete il tasso di natalità più alto d’europa, aggiungete il maggior numero di divorzi e la percentuale più elevata al mondo di donne che lavorano e otterrete il miglior paese del mondo in cui vivere. Ci dev’essere qualcosa che non torna in questa equazione. La somma di questi tre fattori – molti figli, famiglie separate, madri assenti – dovrebbe essere la ricetta per il caos sociale. Invece non è così. L’Islanda, il blocco di lava appena sotto l’Artico a cui si riferiscono questi dati, è il paese con il più alto indice di sviluppo umano secondo le stime dell’Onu.
In altre parole, per quanto riguarda la ricchezza dei cittadini e la qualità di sanità e istruzione è il posto migliore del mondo. Qualcuno potrebbe chiedersi se gli islandesi, con i loro inverni bui e le
estati fredde e brevi, siano davvero felici. A quanto pare, sembrerebbe di sì. A confermarlo ci sono anche diversi studi statistici, tra cui una ricerca realizzata dal quotidiano britannico The Guardian nel 2006, secondo cui gli islandesi sarebbero il popolo più felice della terra.
Oddny Sturludóttir è una donna di 31 anni e ha due figli. Mi racconta di una sua amica di 25 anni che ha avuto tre bambini da un uomo che subito dopo l’ha lasciata. “Non è affatto in crisi”, spiega
Oddny. “È ottimista e si sta organizzando per conciliare la vita di madre con il lavoro”. Capire come faccia questa ragazza ad affrontare con serenità una situazione che per ogni altra donna in
qualsiasi parte del mondo sarebbe catastrofica aiuta a scoprire perché i 313mila islandesi sono così felici. I motivi di questo benessere sono molti: l’Islanda è il paese con il sesto reddito pro capite più alto del mondo, dove la gente compra più libri e l’aspettativa di vita per gli uomini è la più elevata del pianeta. Il paese è l’unico membro della Nato a non avere forze armate (sono state abolite 700 anni fa) e il suo sistema bancario cresce a ritmi altissimi, e così anche le esportazioni. L’aria è cristallina e l’acqua calda arriva direttamente nelle case attraverso condutture naturali scavate nelle viscere della terra. Soprattutto, però, il miracolo dell’Islanda dipende dall’incrollabile autostima dei suoi abitanti.
Questa, a sua volta, è il risultato di una società che ha come primo obiettivo quello di crescere bambini sani e felici, in famiglie aperte e numerose. Un simile modello sociale è in parte eredità della cultura vichinga. Come mi ha spiegato una nonna con diversi nipoti, incontrata durante il mio primo viaggio a Reykjavik, “quando i vichinghi andavano per mare, le donne prendevano il comando della comunità e facevano figli con gli schiavi. Al loro ritorno, i vichinghi accettavano
i nuovi nati come se fossero figli loro”.

non siamo poi così diversi...


Dal Manifesto di domenica scorsa. Nel mezzo, un estratto da Il Giornale e uno da Quotidiano.net.


Romania, estrema destra

in piazza contro gli omosessuali

Circa 200 militanti e simpatizzanti dell'estrema destra romena hanno manifestato ieri a Bucarest contro un corteo gay previsto nel tardo pomeriggio. I manifestanti, per lo più giovani, portavano bandiere nazionali e cartelli con scritto «Marcia contro l'omosessualità e per la normalità» e «La Romania non è Sodoma». «Noi protestiamo contro la parata degli omosessuali - ha detto il presidente del movimento dell'estrema destra Noua Dreapta (Nuova Destra), Tudor Ionesco - poiché si tratta di una manifestazione di carattere osceno e provocatore, che danneggia i buoni costumi». Quasi 200 poliziotti e gendarmi hanno circondato questa manifestazione, che è arrivata davanti fino alla cattedrale patriarcale, nel centro della capitale. La Chiesa ortodossa, maggioritaria in Romania, in passato aveva dato apertamente il proprio sostegno alle manifestazioni contro i gay.


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Il Ministro per le Pari Opportunità Mara Carfagna: "Sono cosciente - scrive - delle tante discriminazioni nelle scuole, nelle università e nei luoghi di lavoro e credo che l’Italia abbia il dovere di contrastarle con fermezza. Detto questo, però, il movimento Glbt non può pretendere per le coppie omosessuali né riconoscimenti simili a quelli garantiti alla famiglia né il patrocinio del governo a manifestazioni che rispondono più a logiche esibizionistiche che ad altro".


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Sempre la Carfagna: "A questo atteggiamento -aggiunge- deve corrispondere la sobrietà delle manifestazioni della comunità omosessuale che non dovrebbe mai scendere nell'esibizionismo e nel folklore".


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L'aggressione
Il conduttore di DeeGay.it: botte dalle stesse persone
Christian Floris, 24 anni, conduttore di punta del portale DeeGay.it, è stato aggredito venerdì notte a Roma mentre rincasava. Due persone gli hanno sbattuto la testa contro il muro minacciandolo perché si occupa di tematiche legate al mondo dell'omosessualità e gli hanno intimato di smetterla. Il ragazzo, che è stato portato all'ospedale dove è stato giudicato guaribile in sette giorni, ha sporto denuncia contro ignoti. DeeGay.it è un portale che co-produce una trasmissione con Radio Città Futura, Eco tv e Nessuno tv. «Credo che sia la stessa corrente di persone, che oltre ad aver aggredito me e di infondere terrore nel mondo omosessuale, si sia ora concentrato sugli extracomunitari al Pigneto», ha detto ieri. «La mia convinzione - ha aggiunto - proprio guardando le immagini televisive e ascoltando le dichiarazioni rilasciate sul posto da testimoni, è che gli aggressori appartengano alla stessa matrice».

20080526

zio


Sabato mattina, mentre pulivo i piedi a mio nipote per rimettergli le scarpe, mentre andavamo via dal mare, mi ha abbracciato stringendomi al collo e senza apparenti input esterni mi ha detto: "zio ti voglio tanto tanto tanto bene".


Mi sono imbarazzato ma non l'ho dato a vedere. Gli ho detto "ma ti 'eti roffiano!!".



Foto di Fabio

haunted


Cavie - di Chuck Palahniuk


La bestia è tornata, potremmo dire. Niccolò Ammaniti, nel commento in copertina, dice "Chuck Palahniuk è peggio di un polpo. Ti afferra con i suoi tentacoli e ti trascina in un buco pauroso. Lasciatelo stare se avete lo stomaco debole." Dopo alcune prove un po' più fiacche del solito (Diary), questo libro di racconti torna su vette importanti. Curioso l'assemblaggio, che usa un plot alla Grande Fratello (mi riferisco al format tv) per snocciolare 21 "poesie" (completamente allucinate) e 23 racconti, alcuni dei quali realmente irresistibili ma pure difficili, come dice Ammaniti, per chi ha lo stomaco debole. Le poesie e i racconti sono attribuiti ai protagonisti del "ritiro" (l'originale Haunted) per scrittori e sceneggiatori di cui parla il plot, appunto. Budella, il primo racconto, è degno di un premio già di per sé. A spasso per i quartieri bassi è follia ma anche tremenda critica sociale, tema che del resto permea da sempre la prosa di Palahniuk, profondamente; il bello di Palahniuk è proprio questo. Storie incredibili, pazzesche, iperboli pulp, macabre e sessualmente deviate, ma che dentro racchiudono una sprezzante angoscia per la deriva sociale di questo mondo.

Uno dei migliori scrittori dei nostri tempi. Un geniaccio.

step


Poco prima di cena ho contato i passi che ci sono dal portone di casa mia al mare. Sono circa 280. Pensavo di più.


Foto di Fabio

des armes

Des armes, des chouettes, des brillantes
Des qu'il faut nettoyer souvent pour le plaisir
Et qu'il faut caresser comme pour le plaisir
L'autre, celui qui fait rêver les communiantes

Des armes bleues comme la terre
Des qu'il faut se garder au chaud au fond de l'âme
Dans les yeux, dans le cœur, dans les bras d'une femme
Qu'on garde au fond de soi comme on garde un mystère

Des armes au secret des jours
Sous l'herbe, dans le ciel et puis dans l'écriture
Des qui vous font rêver très tard dans les lectures
Et qui mettent la poésie dans les discours

Des armes, des armes, des armes
Et des poètes de service à la gâchette
Pour mettre le feu aux dernières cigarettes
Au bout d'un vers français brillant comme une larme


leo ferrè

come ti rigiro la frittata


Ecco fatto. Sabato, aggressione squadrista in un'attività gestita da immigrati, a Roma. Il giorno dopo, la polizia dice che non esiste la matrice politica. Alemanno condanna il tutto, e poi dice: "colpa dell'illegalità promossa dalla sinistra". Perfetto.

Proseguiamo con il dialogo.

20080525

playlist-nel lettore mp3

Afterhours - i Milanesi Ammazzano il Sabato
Caparezza - Le dimensioni del mio caos
The Cardigans - Best Of
Concha Buika - Mi niña Lola
The Gossip - Live In Liverpool
The Hellacopters - Head Off
Ida Maria - raccolta mp3
Joan As Police Woman - To Survive
Le luci della centrale elettrica - Canzoni da spiaggia deturpata
My Morning Jacket - Evil Urges
Raconteurs - Consolers Of The Lonely
Zascha Moktan - The Bottom Line

ragazzo copertina


Cover Boy - di Carmine Amoroso 2008


Giudizio sintetico: si può vedere


Ioan è rumeno, quando viene deposto, non pacificamente, Ceausescu, è un bambino, e in quei giorni rimane orfano di padre. E' un bravo meccanico, ma in Romania oggi, poco più che ventenne, non si vive benissimo. Un amico lo convince ad andare in Italia. L'amico stesso viene fermato durante il viaggio, e Ioan arriva a Roma ed è solo. Si arrangia come può, poi, a forza di girare intorno alla stazione Termini, conosce Michele, all'inizio diffidente, che lo ospita subaffittandogli una specie di letto a qualche euro al giorno. Nasce una specie di amicizia, ma Ioan è clandestino, e Michele è precario: che succede quando entrambi perdono il lavoro?


Amoroso, nonostante il suo film precedente fosse del '96, quel Come mi vuoi ricordato per la Bellucci e per Lo Verso en travesti, sa di cinema; questo Cover Boy ha una storia travagliata e una gestazione lunga, ma il risultato, anche se non altissimo, fa sperare. Anche se, la distribuzione e gli ostacoli che ha incontrato, dimostrano che fare cinema in Italia non è così facile.

E' un film delicato che tratta temi forti, e lo fa con grazia. Immigrazione, omosessualità appena sussurrata, amicizia e solidarietà, dignità, soprattutto. Bella la fotografia, sceneggiatura altalenante, bella la prima parte, fiacca la seconda, onirico ma valido il finale; ottima la scena di Ioan che scopre di essere stato "sfruttato" contro la sua volontà. Bravo Lionello (Michele), che era Giuda in The Passion di Mel Gibson, ma che avevamo visto in uno dei film più brutti della storia del cinema, Zorba il Buddha del 2004, non eccelso ma con la faccia giusta Gabia (Ioan), ottima la Caselli ma inadatta la Littizzetto.

Tante le citazioni, i rimandi, come detto prima meglio la parte romana di quella milanese, riuscita la parte romena, seppur, ci dicono, ridotta al minimo per il taglio del 75% dei finanziamenti.


E' anche un film politico, e non solo perchè ha vinto il premio come miglior film al Festival Politico di Barcellona: nonostante quello che dice Michele Anselmi su Il Riformista, le voci, soprattutto quelle che escono dalla tv di Michele (riparata da Ioan), non sono superflue o inutili. Quando si sente Berlusconi che nega la recessione addebitandola a una manovra terroristica delle sinistre, è cinema verità.

you must be certain of the devil


Diamanda Galás, 23 maggio 2008, Firenze, Piccolo Teatro del Comunale


Due sensazioni nette, come due parentesi, racchiudono un po' tutto quello che c'è da dire su questo concerto, un evento di quelli che ti fanno pensare di essere troppo più esteta degli altri, uno di quelli che fomentano davvero troppo la tua autostima intellettiva, proprio perchè apparentemente imperdibili e carichi di emozioni talmente forti e indimenticabili che non ti spieghi come mai le persone non corrano a vederli. Queste due sensazioni sono le seguenti.

Durante il primo pezzo, durato dalle 21,34 alle 21,43, ho pensato: "ma questa ha veramente due voci". Ecco spiegati gli accostamenti con Demetrio Stratos. L'altra durante, mi sembra, il penultimo brano eseguito: Heaven Have Mercy, scritto da M.Philippe Gérard e Rick French per Edith Piaf. Diamanda ce ne regala una versione che fa accapponare la pelle dall'intensità, e io penso: "se non avessi ancora quelle due-tre cose da fare, dopo una cosa del genere potrei anche morire".


E' un venerdì di fine maggio che assomiglia alla primavera, e il traffico in ingresso a Firenze è tutto sommato accettabile, il parcheggio subito dopo il Ponte alla Vittoria tattico e salvifico. Arrivo con abbondante anticipo, la biglietteria del teatro non ha ancora aperto. Davanti, una schiera di personaggi tutti da raccontare: il pubblico di Diamanda Galás, del resto. Mi faccio un giro, e non trovo uno straccio di bar aperto per pisciare. La reggo, ma non so per quanto. Coda al cambio prenotazione web/biglietto. Avanti così. Biglietto in mano mi avvicino alla prima hostess e domando per il bagno: lontanissimo e complicatissimo. Arrivo ad un'altra "barriera" con due hostess: una delle due mi suggerisce il bagno dei disabili a due metri. Esco e le dico che mi ha salvato, entrambe mi prendono in simpatia. Mi prendo un caffè nel bar del teatro: 1 euro e 50. Del resto ci ho visto Tom Waits, è il comunale di Firenze, ci suona Mehta. Decido di entrare: le hostess della platea mi dicono che il mio posto non è in platea. Esco e mi dirigo verso la biglietteria come mi hanno consigliato loro, ma mentre passo di nuovo dalle due che ormai sono mie amiche mi domandano cosa c'è che non va e si prendono a cuore il problema. Arriva la capo-hostess, Karen, di chiare origini teutoniche: va lei alla biglietteria per me. Attendo. Torna e mi dice: è in galleria. Vado. Arrivo dalla prima hostess che avevo interpellato per il bagno che guarda il biglietto e dice "ma c'è scritto platea!". Le rispondo con una battuta e faccio ridere tre ragazze che stanno entrando in galleria. Le dico che l'ha detto Karen. Lei si mette sull'attenti e mi fa strada. Ah, la gerarchia.

Arrivo in galleria e lo steward che mi prende in cura (basta battute) si perde cercandomi il posto, alla fine si trova. Ringrazio, saluto. Attendo, leggo e guardo gli spettatori che arrivano. C'è un tipo vestito da derviscio con i capelli dal taglio squisitamente femminile e di un colore che ho visto solo alla mia amica Sabrina che si fa la tinta da sola: un rosso abbagliante. C'è un altro tipo con i capelli lunghi e lisci ma rasati da una parte: non ne vedevo dai tempi di Jason Newsted nei Metallica. Insieme a lui una mora che ha delle scarpe che pensavo si vedessero solo nei film porno. C'è anche una sua amica, che però è alta la metà di lei: e ti credo, con quelle scarpe! Arrivano anche i miei dirimpettai: lui sembra Travaglio ma sono sicuro che si è vestito al buio. Ha una improponibile camicia rossa, abbottonata dappertutto. Lei la vedo solo quando usciamo, e ha delle calze nere con dei disegni che mi fanno caldo solo a vederle.

Lo so, ho divagato, ma era per non ripensare all'intensità dello spettacolo. Il palco è scuro, c'è un piano a coda, quattro spie, un telone nero sul fondo con un disegno bianco che evoca Diamanda e un qualcosa di demoniaco. Probabilmente lei è la persona più equilibrata del mondo, le piace giocare con questa iconografia, anche se le tematiche del suo lavoro sono effettivamente guidate dalla sofferenza, dalla religione e dalla rabbia.

Alle 21,34 si abbassano le luci e lei entra, si siede al piano e parte con un pezzo che, se non mi sbaglio, è tratto dal suo Defixiones, Will and Testament, non dovrebbe essere in scaletta, secondo il sito ufficiale lo spettacolo You're My Thrill non comprende pezzi da quel disco, ma scoprirò che ci saranno altri brani che non rientrano in quella scaletta. Comunque sia, sono circa 10 minuti di delirio. Vibrati arabeggianti, cantato che mi pare in greco, tappeto pianistico inquetante, e la sua voce che, come vi ho detto, ad un certo punto si sdoppia. Vedo gente in prima fila in platea che agli acuti si tappa le orecchie: per me è un momento d'estasi. Con la mente vado all'altro concerto che ho visto della Galás, 6 anni fa, e mi rendo conto che in quel caso non avevo mai sentito nemmeno un pezzo suo, e anche se oggi non li conosco come le mie tasche, conosco come lavora e riesco ad apprezzare di più il concerto (anche se quella volta lì rimasi di sasso, positivamente).

La sua è un'anima blues, nel senso quasi letterale del termine, ed il concerto è un'altalena tra pezzi veramente blues e pezzi "francesi", tutti interpretati con un'intensità spaventosa e avvolgente. Quando arriva 25 Minutes To Go di Cash sono già ai suoi piedi, in senso metaforico. Dopo ogni pezzo beve copiosamente da una bottiglia d'acqua, Diamanda; il posto che ho acquistato casualmente me la fa vedere da vicino, un po' dall'alto, e l'impressione è di una signora 53enne che porta la sua età con una dignità encomiabile, a cui piace giocare con la sua immagine da Morticia Adams, che ama le luci basse e calde sul palco ma che non si sogna nemmeno di fare l'isterica (tipo...che ne so...un Maynard Keenan a caso), con dei bellissimi capelli, alta, che ha messo su un po' di chili negli ultimi anni ma che ha sempre un piglio sexy. Dopo alcuni pezzi ringrazia, in un italiano stentato nella pronuncia ma corretto, i tecnici, evidentemente soddisfatta della resa sonora; gli stessi tecnici che ringrazierà additandoli quando torna in scena prima dell'ultimo pezzo, per l'unica volta in piedi davanti al piano, di fronte al pubblico: maestosa nella figura e giovanile nei gesti.

Ma è la sua voce, che solo perchè è così immensa mette in secondo piano la sua abilità tecnica di panista, che ha il blues dentro, se capite cosa voglio dire. Quello vero, quello dei campi di cotone, insieme a tutte le sofferenze della terra, quello dei popoli oppressi e quello delle pene d'amore.

Ecco perchè, quando sul finale canta Heaven Have Mercy, non mi commuovo solo perchè sono sbalordito dall'intensità dell'esecuzione.


Ecco, tutto qui. Dovevate esserci.
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Dal blog di Stavrogis, che ha lasciato un commento, alcuni filmati del concerto: qui.

orgasmo per costituzione

Invece questa notizia qua dimostra che in Ecuador non sono affatto indietro.


Ecuador, una deputata chiede il riconoscimento dell'orgasmo
Il piacere femminile?
Un diritto costituzionale
Si chiama Maria Soledad Vela, è una deputata ecuadoriana vicina al presidente Morales e ha chiesto all'Assemblea costituente del suo paese che il diritto al piacere sessuale delle donne venga riconosciuto ufficialmente dalla prossima Costituzione. Mai prima d'ora la "carta magna" di una nazione aveva inscritto questo diritto nei suoi dettami, ma la signora Vela non sembra avere dubbi in proposito: «Garantire il diritto alla felicità sessuale per ogni donna è un modo per riconoscere loro la possibilità di prendere decisioni libere e responsabili sulla propria vita sessuale e per lottare meglio contro il ruolo di oggetti riproduttivi che storicamente le è stato assegnato dalla società in Ecuador». Come ha poi precisato la stessa deputata, la sua proposta rimarrà separata dalla sfera autonoma del diritto sessuale ecuadoriano.

Don Milani, Bondi e Sansonetti


Bello, bellissimo, perfino toccante, il fondo del Direttore Sansonetti in riferimento a Don Milani su Liberazione di oggi. Ci leggo diversi temi che mi piace affrontare nei miei voli pindarici politici, e imparo cose. E c'importa una sega se viene da un giornale di parte. Eccolo a chi ha voglia di leggerlo.


Il ministro della Cultura accusa la sinistra di aver «rubato» la memoria del priore
Bondi, stavolta hai ragione tu:
riprendetevi don Milani

Piero Sansonetti

Ho letto sulla Stampa che il ministro della Cultura, Sandro Bondi, l'altro giorno ha partecipato ad un convegno su Don Milani (e anche su La Pira e Balducci: tutti esponenti rilevantissimi del cattolicesimo toscano dagli anni '50 ai '90) e ha parlato molto bene del priore di Barbiana. Accusando - con qualche fondamento, credo - i cattolici di non aver capito bene il suo insegnamento e alla sinistra di avere strumentalizzato la sua memoria. Bondi ha ricordato che don Lorenzo è morto nel giugno del '67, e dunque non ha potuto assistere all'esplodere della sinistra sessantottina che - immagina - non gli sarebbe piaciuta. Non ha detto Bondi - e per completezza di informazione glielo ricordo - che nei giorni della sua agonia, la magistratura celebrò un processo a don Milani, colpevole di avere istigato all'obiezione di coscienza e di avere pubblicato uno scritto sovversivo, a questo proposito, su "Rinascita", che era il settimanale del Pci, fondato da Togliatti. La condanna a Milani fu sospesa - per sopraggiunta morte - ma fu inflitta, in sua vece, al direttore di "Rinascita", Luca Pavolini, membro della Direzione comunista. Milani aveva pubblicato quel suo scritto (celeberrimo: lettera ai cappellani militari, seguito poi dalla lettera ai giudici) su "Rinascita", e non su un altro giornale, per un motivo semplice: nessun altro giornale aveva accettato di ospitarlo. Dunque, un qualche abbraccio tra Milani e la sinistra, probabilmente, dipese da uno stato di necessità: o con la sinistra o in silenzio. Lorenzo e Luca - e cioè Milani e Pavolini - si conoscevano da ragazzi. Avevano studiato al liceo Berchet, e tutti e due erano antifascisti.

Anche se la famiglia di Lorenzo era moderata e Luca era addirittura il nipote di Alessandro Pavolini (Alessandro era il fratello di suo padre), cioè del numero due del duce, del segretario del partito fascista, fucilato a Dongo ed esposto a piazzale Loreto.Vedete che intrecci tra destra e sinistra! Lorenzo Milani era ateo, figlio di una signora ebrea. Si convertì al cattolicesimo da grande, a vent'anni, nel '43. Quattro anni dopo decise di diventare prete, andò a Firenze, conobbe padre Bensi, un sacerdote che aveva una idea molto moderna e sociale del cristianesimo e che influì parecchio nella sua formazione. Lorenzo dedicò tutta la sua vita a fare scuola ai ragazzi poveri, a Barbiana, nell'appennino Toscano. Contestò in modo feroce la scuola di classe. Aveva una idea tutta sua, specialissima, dell'uguaglianza, dei rapporti sociali, della sapienza e del diritto alla sapienza, della religione, del senso della vita. Sosteneva che esistono tre soli mestieri degni di essere scelti: l'insegnante, il sindacalista e il prete.Personalmente ho sempre amato Don Milani. Per tre ragioni: perché era irrimediabilmente pacifista, perché era irrimediabilmente sprezzante verso i ricchi, perchè era nemico giurato del potere e dei fasti. Non so se era di sinistra. Credo che sia un modo meschino per descriverlo, dire che era un prete di sinistra. Milani, secondo me, era molto di più. E' stato uno dei due più grandi intellettuali del secondo novecento: lui e Pasolini. Perché? Perché tendevano a dire sempre la verità, avevano l'idolatria della verità. E questo è il compito degli intellettuali - è un compito che solo loro possono assolvere: non tocca ai partiti, alle Chiese, alle ideologie...- che invece, spesso, hanno solo l'idolatria del potere, o dello status, o del consenso, o dell'establishment. Infatti, oggi, in Italia, non ci sono più intellettuali. Ora, dal momento che è molto dubbio se si possa o no dichiarare che Milani appartenga alla sinistra, mentre non c'è nessun dubbio sul fatto che appartenga al cattolicesimo e al mondo cristiano, trovo sacrosante la rivendicazione di Bondi, che immagino lui avanzi nella sua veste di cattolico. Che il mondo cattolico, anche quello moderato e centrista del quale il ministro fa parte, riscopra Don Milani, lo studi, lo sperimenti, è una cosa che trovo meravigliosa. Si riprenda don Milani, ci rifletta sopra, ricalibri sui suoi insegnamenti teorici e di vita, la politica del governo. Tenga conto che non potrà aggirare due questioni: la prima è che Milani rivendicava acerrimamente la lotta di classe (non quella marxista, quella cristiana, evangelica: ma era comunque lotta di classe). La seconda è che non amava i borghesi e aveva in odio il consumismo (non il comunismo: il consumismo). Considerava l'accumulazione delle ricchezze il male dei mali e giudicava la religione della produzione il male dei mali dei mali. Io sogno una destra che faccia suo Don Milani. Credo che se questo avvenisse potremmo vivere in un paese stupendo.

ecco da chi ha imparato a tirare i sassi!

posso avere il tuo deserto?


Afterhours + Giovanni Ferrario, 13 maggio 2008, Firenze, Saschall


Spesso mi capita di passare davanti a un muro non lontano da casa mia, una strada che finisce sul lungomare. Qualche anno fa, una mano quasi infantile (la "calligrafia", se si può usare questa parola per una scritta a spray, è da elementari) scrisse posso avere il tuo deserto?; in pochi capirono, e pochi capiscono tutt'oggi.


Decido di andare al Saschall, a vedere i milanesi che ammazzano il sabato, pochi giorni prima: per caso ascolto il nuovo disco e mi piace, a differenza del precedente, soprattutto nella versione inglese. Mi avevano disturbato anche i racconti di un Agnelli sempre più irascibile durante i concerti. Non amo la rockstar in senso classico, a meno che non sia davvero sopra le righe, e me ne tengo a distanza per non rimanere deluso, in un senso o nell'altro (troppo normale se è sopra le righe, troppo rompicazzo se appare perbene). Tralascio i soliti complimenti alla struttura e mi soffermo sull'affluenza: buona, non pieno ma ben riempito, trasversalità generazionale diffusa. Introduce Giovanni Ferrario, della serie e chi se lo incula, sia detto senza offesa alcuna.


Circa ore 22,00 si parte con Naufragio sull'isola del tesoro, pezzo di apertura anche del nuovo disco, primo degli innumerevoli riferimenti alla famiglia e soprattutto alla figlia da parte di un Agnelli pacificato. Il primo di molti (quasi tutti) pezzi del disco in promozione, inframezzati dal repertorio. La band è numerosa e diretta senza troppa presunzione da Manuel, che comunque rimane il leader. I pezzi del nuovo disco diventano più diretti e meno arrangiati (E' solo febbre, Pochi istanti nella lavatrice, Tema: la mia città per citarne solo alcuni), mentre i pezzi di repertorio acquistano a volte dimensioni di spessore importante (quando il concerto rischia la stagnazione, poco prima dei bis, il trittico Bye Bye Bombay, sempre coinvolgente, Non sono immaginario in una bella versione tirata, e Oppio, alzano la temperatura già alta). La band è coesa ed appare in forma, decisa a tagliare i fronzoli e ad arrivare dritta al punto. I suoni sono giusti, i volumi un po' troppo alti, ma la resa è efficace, rock, l'impatto è quello di un frontale, e va bene così. Dopo il trittico citato poco fa c'è Riprendere Berlino ad emozionare, per chi scrive non ha nulla da invidiare ai classici Afterhours del passato, mentre Voglio una pelle splendida è, come sempre in questo tour, suonata dopo una breve pausa in mezzo alla gente (nello specifico nella galleria del Saschall) e in acustico, e costringe Musa di nessuno tra, appunto, la pelle splendida e il Male di miele; nonostante ciò non sfigura.


Ancora una pausa, prima del trittico di chiusura, composto da For What It's Worth, una canzone dei Buffalo Springfield, un pezzo che fu colonna sonora della protesta americana anti-Vietnam (e che quindi può assumere determinati significati adesso), da Bungee Jumping e Quello che non c'è; mentre i milanesi acchitano le note dei Buffalo Springfield, decido di fare una cosa non usuale per me (anche se non è proprio la prima volta): andarmene prima della fine per evitare noiose code. Segno del tempo o quello che volete voi, fatto sta che gli Afterhours sono tornati e sono in piena forma. Malignando, potrei dire che sono riusciti ad incanalare nel modo giusto le influenze esterne ed estere, a ridurle nella misura del quanto basta per continuare a fare qualcosa di personale. Il disco nuovo, i Milanesi Ammazzano il Sabato è buono, la resa live altrettanto, e questo ci fa piacere: anche se non la facessero mai più dal vivo, potrò continuare a canticchiare Posso avere il tuo deserto? senza vergogna, dandogli un significato tutto mio e, chiaramente, una profondità.

Si sa.



La foto è di Fabrizio Pucci, dove vediamo degli Afterhours "d'epoca", ed è tratta da:

le mie piante da appartamento

il girasole non è ancora spuntato, il pino invece cresce a vista d'occhio!

boris


Si vede che è finito il campionato di calcio eh? E dunque, sono alla ricerca di serial validi. In attesa di sedermi un attimo e vedermi Weeds e The Wire, grazie all'amico Massi, sempre attento alla mia educazione visiva, mi sto guardando la prima serie di Boris, una serie tutta italiana, trasmessa da Fox (ovviamente), che prende in giro (leggermente...) le sit-com, soprattutto italiane. E devo dire che è valida. Su Fox stanno già trasmettendo la seconda serie, da un paio di settimane, le puntate durano pochissimo, la sigla è degli Elio, Caterina Guzzanti è straordinaria (nella seconda serie c'è pure Corrado).

concha


Concha è il diminutivo di Conchita (o è il contrario...non ci ho ancora capito granchè...tra l'altro pare che il tutto sia diminutivo di Concepción), nome molto comune in Spagna, ma in SudAmerica vuol dire tutt'altra cosa (qualcosa di molto simile a "prostituta", ma in generale indica l'organo genitale femminile), tanto è vero che mi fa sempre molto sorridere pensare a film, mettiamo, argentini, che vincono la Concha de Oro al festival di San Sebastian. In Argentina, una delle offese classiche è "...la concha de tu madre...". Detto questo, Concha Buika nasce nel 1972 a Palma de Mallorca da una famiglia originaria della Guinea Equatoriale, e cresce con i Rom. Studia Drammaturgia a Londra e, dice Wikipedia, la sua vita cambia quando viene invitata a vedere un concerto di Pat Metheny. Collabora con La Fura dels Baus, canta nei Casinò di Las Vegas. Era sposata con un uomo che le dà un figlio, si innamora di una donna e convince il suo uomo a vivere tutti insieme. Poi vanno ognuno per la loro strada, ma, dice lei, "li amerò sempre entrambi, e li voglio accanto a me quando morirò".

Canta generi classici ispanici (Ranchera, Flamenco, Bolero, Rumba) ma li mischia con influenze moderne come Hip Hop e Funk, non senza inserti arabeggianti. I testi non sono messi a caso, spesso sono Coplas oppure, come nel disco nuovo, composti da scrittori (La Niebla è di David Trueba).

La sua voce è rota, e possiede il duende dei grandi.

Il suo sito ufficiale: http://www.buika.net/

armani sui palloni

ieri sera sono andato a vedere olimpia armani jeans milano contro mens sana montepaschi siena gara 2 di semifinale dei play off di basket. 
ero seduto vicino a giorgio armani e vestivo un paio di jeans wild fallati comprati a 10 euri!
gli sono passato davanti un paio di volte, chissà se lui ci fa caso!?
comunque siena troppo forte.
probabilmente ho visto l'ultima partita in italia di danilo gallinari che sembra approderà in nba! te capì!?

eco-jack


Dal Venerdì di Repubblica uscito l'altro ieri, scopro che Billboard ha stilato la top ten dei cantanti più ecologisti. Al primo posto Jack Johnson (foto), "che usa studi di registrazione con pannelli solari e si sposta usando solo carburante ecologico" (mi piacerebbe sapere quale carburante è ecologico; l'unico è quello della foto). Poi ci sono i Radiohead, che sono "attenti a fare concerti in luoghi che si possano raggiungere con i mezzi pubblici". Bravi.

I più "indisciplinati" risultano essere i Police che, secondo l'associazione Carbonfootprint "suonano dove capita, purchè siano grandi stadi, fuori città".

20080524

Oh My God (Official Video) - Ida Maria

Come promesso.

ida


Siccome sono convinto che a volte le riviste specializzate non servono, sto sempre molto attento alle segnalazioni di libri, dischi o film sulle riviste "generaliste" che mi capita di leggere, e siccome non ne compro, queste riviste sono solo gli inserti dei quotidiani che compro di solito.

E quindi, su D La Repubblica delle donne di oggi c'è un trafiletto che segnala una cantante norvegese dal nome molto italiano, Ida Maria, che adesso vive con la band a Stoccolma, e che ha "entusiasmato la critica inglese". Ancora nessun album, ma una manciata di singoli, tra cui Oh My God (della quale vi posterò il video nel prossimo post), Drive Away My Heart, Louie, Stella, Queen Of The World dove sembra davvero una Bjork punk (mentre in Pleasure sembra sempre Bjork, ma blues); il genere è, appunto, una sorta di punk rock (ma non solo) assolutamente non "leccato" come quello che viene dagli USA, ma sempre pop e alla ricerca di melodia, teso e vibrante in molti frangenti, ma anche delicato quando va verso il "cantautoriale"(come in When It Comes To You). Teniamola d'occhio.

coming soon


A breve, recensione del concerto di Diamanda Galas al Piccolo Teatro del Comunale di Firenze, svoltosi ieri 23 maggio 2008. In occasione del Maggio Fiorentino, il tour denominato You're My Thrill a supportare l'ultima fatica della Galas, l'album Guilty Guilty Guilty, ci regala un'esibizione indimenticabile davanti ad un pubblico non calorosissimo, ma fedele, attento e appassionato. Una voce da brividi.


Foto tratta da qui: http://www.cmj.com/relay/

e se lo dice lui...



Mi vergogno di essere italiano e cristiano
Alex Zanotelli


E' agghiacciante quello che sta avvenendo sotto i nostri occhi in questo nostro paese. I campi Rom di Ponticelli (Na) in fiamme, il nuovo pacchetto di sicurezza del ministro Maroni, il montante razzismo e la pervasiva xenofobia, la caccia al diverso, la fobia della sicurezza, la nascita delle ronde notturne offrono una agghiacciante fotografia dell'Italia 2008. «Mi vergogno di essere italiano e cristiano», fu la mia reazione rientrato in Italia da Korogocho, all'approvazione della legge Bossi-Fini.

Questi sei anni hanno visto un notevole peggioramento del razzismo e xenofobia nella società italiana, cavalcata dalla Lega (la vera vincitrice delle elezioni 2008) e incarnata oggi nel governo Berlusconi (posso dire questo perché sono stato altrettanto duro con il governo Prodi e con i sindaci di sinistra da Cofferati a Dominici...). Oggi doppiamente mi vergogno di essere italiano e cristiano. Mi vergogno di appartenere ad una società sempre più razzista verso l'altro, il diverso, la gente di colore e soprattutto il musulmano che è diventato oggi il nemico per eccellenza. Mi vergogno di appartenere ad un paese il cui governo ha varato un pacchetto-sicurezza dove essere clandestino è uguale a criminale. Ritengo che non è un crimine migrare, ma che invece criminale è un sistema economico-finanziario mondiale (l'11% della popolazione mondiale consuma l'88% delle risorse) che forza la gente a fuggire dalla propria terra per sopravvivere. L'Onu prevede che entro il 2050 avremo per i cambiamenti climatici un miliardo di rifugiati climatici. I ricchi inquinano, i poveri pagano. Dove andranno? Stiamo criminalizzando i poveri? Mi vergogno di appartenere ad un paese che ha assoluto bisogno degli immigrati per funzionare, ma poi li rifiuta, li emargina, li umilia con un linguaggio leghista da far inorridire. Mi vergogno di appartenere ad un paese che dà la caccia ai Rom come se fossero la feccia della società. Questa è la strada che ci porta dritti all'Olocausto (ricordiamoci che molti dei cremati nei lager nazisti erano Rom!). Noi abbiamo fatto dei Rom il nuovo capro espiatorio. Mi vergogno di appartenere ad un popolo che non si ricorda che è stato fino a ieri un popolo di migranti («quando gli albanesi eravamo noi»): si tratta di oltre sessanta milioni di italiani che vivono oggi all'estero. I nostri migranti sono stati trattati male un po' ovunque e hanno dovuto lottare per i loro diritti. Perché ora trattiamo allo stesso modo gli immigrati in mezzo a noi? Cos'è che ci ha fatto perdere la memoria in tempi così brevi? Il benessere? Come possiamo criminalizzare il clandestino in mezzo a noi? Come possiamo accettare che migliaia di persone muoiano nel tentativo di attraversare il Mediterraneo per arrivare nel nostro "Paradiso"? E' la nuova tratta degli schiavi che lascia una lunga scia di cadaveri dal cuore dell'Africa all'Europa. Mi vergogno di appartenere ad un paese che si dice cristiano ma che di cristiano ha ben poco. I cristiani sono i seguaci di quel povero Gesù di Nazareth crocifisso fuori le mura e che si è identificato con gli affamati, carcerati, stranieri. «Quello che avrete fatto ad uno di questi miei fratelli più piccoli lo avrete fatto a me». Come possiamo dirci cristiani mentre dalla nostra bocca escono parole di odio e disprezzo verso gli immigrati e i Rom? Come possiamo gloriarci di fare le adozioni a distanza mentre ci rifiutiamo di fare le "adozioni da vicino"? Come è possibile avere comunità cristiane che non si ribellano contro queste tendenze razziste e xenofobe? E quand'è che i pastori prenderanno posizione forte contro tutto questo, proprio perché tendenze necrofile? Come missionario, che da una vita si è impegnato a fianco degli impoveriti della terra, oggi che opero su Napoli, sento che devo schierarmi dalla parte degli emarginati, degli immigrati, dei Rom contro ogni tendenza razzista della società e del nostro governo. Rimanere in silenzio oggi vuol dire essere responsabili dei disastri di domani. Vorrei ricordare le parole del pastore Martin Niemoeller della Chiesa confessante sotto Hitler:«Quando le SS sono venute ad arrestare i sindacalisti, non ho protestato perché non ero un sindacalista. Quando sono venute ad arrestare i Rom non ho protestato perché non ero un Rom. Quando sono venute ad arrestare gli Ebrei non ho protestato perché non ero un Ebreo… Quando alla fine sono venute ad arrestare me non c'era più nessuno a protestare». Non possiamo stare zitti, dobbiamo parlare, gridare, urlare. E' in ballo il futuro del nostro paese, ma soprattutto è in ballo il futuro dell'umanità anzi della vita stessa. Diamoci da fare perché vinca la vita!

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E' impressionante la quantità di cose che condivido in questo scritto, che appare oggi in contemporanea su Liberazione e Il Manifesto. Cose che ho già sostenuto in passato di fronte a persone alle quali voglio bene che sostengono l'attuale "linea" italiana verso gli immigrati.

E' scontata la critica: una cosa letta su Liberazione e Il Manifesto è una cosa radical-chic, vetero-comunista, eccetera eccetera. Bene, per chi magari sa poco chi è Padre Alex Zanotelli, si prenda la briga di cliccare sopra il suo nome proprio sotto il titolo di questo pezzo, clic che lo porterà dritto alla voce a lui riferita su Wikipedia, tanto per capire cosa ha fatto nella sua vita. Per approfondire, poi, potreste anche cliccare qui per tornare, se non l'avete letto a suo tempo, al post dell'amica Susy che di recente è stata a Korogocho e ci raccontava, o meglio tentava di spiegarci, cos'è Korogocho.

Dopo, tirate le somme.

my morning

la canzone two halves dal nuovo straordinario disco dei my morning jackets evil urges
è
la canzone dell'anno!
(finora!)

20080523

ombra

ero a bologna 5 o 6 anni fa con i miai amichetti, mi ricordo che fabietto raccontò di una frase che lesse su di un muro a roma:
con sto caldo ci voleva proprio sto governo ombra!
direi attualissima!

20080522

camorra


Gomorra - di Matteo Garrone 2008


Giudizio sintetico: da vedere


Campania, tra Napoli e Caserta. Lo stato è assente, e c'è un unico padrone: la Camorra. Storie di ordinaria malavita in un non-luogo dimenticato da Dio, dove il sistema capitalistico tocca il suo apice: i soldi sono la prima cosa, dice uno dei protagonisti, e non c'è niente di più vero. Storie che si intrecciano, film corale, nuovi "mercati" che generano una diaspora e la conseguente guerra senza quartiere e senza prigionieri.


Più ci penso e più mi rendo conto che quello di Garrone, un regista davvero intenso e poco valorizzato (come dimenticare i suoi precedenti L'imbalsamatore e Primo amore), è davvero un grande film. Un affresco spietato e senza sconti di una tremenda realtà che è il cancro vero dell'Italia. In verità, c'è poco altro da aggiungere: si vedono le cose che ognuno di noi, persone informate ma lontane dalla realtà di quel luogo, immagina. Ma vederle non è così facile: fa male.

Dal punto di vista tecnico, il film è all'altezza e merita grandi palcoscenici; la regia è sempre presente, sta addosso ai moltissimi protagonisti (senza rendersene conto subito, a posteriori ci accorgiamo che questo è un classico film corale senza averne i connotati che di solito siamo abituati a vedere), la fotografia è sporca quanto basta, gli attori, molti non professionisti ma anche diversi presi dal teatro, sono tutti incredibilmente credibili, e il pur sempre bravo Toni Servillo diventa uno dei tanti. Ovvio che la mano del regista sia da applaudire anche per la direzione.

Unico difetto che mi sento di imputare a questo Gomorra è una durata eccessiva, gli ultimi 40 minuti sembrano girare un po' alla ricerca di un finale degno. Io forse ne avrei scelto un altro, e avrei tagliato almeno 20 minuti, ma va bene così: Gomorra è da vedere.