Diamanda Galás, 23 maggio 2008, Firenze, Piccolo Teatro del Comunale
Due sensazioni nette, come due parentesi, racchiudono un po' tutto quello che c'è da dire su questo concerto, un evento di quelli che ti fanno pensare di essere troppo più esteta degli altri, uno di quelli che fomentano davvero troppo la tua autostima intellettiva, proprio perchè apparentemente imperdibili e carichi di emozioni talmente forti e indimenticabili che non ti spieghi come mai le persone non corrano a vederli. Queste due sensazioni sono le seguenti.
Durante il primo pezzo, durato dalle 21,34 alle 21,43, ho pensato: "ma questa ha veramente due voci". Ecco spiegati gli accostamenti con Demetrio Stratos. L'altra durante, mi sembra, il penultimo brano eseguito: Heaven Have Mercy, scritto da M.Philippe Gérard e Rick French per Edith Piaf. Diamanda ce ne regala una versione che fa accapponare la pelle dall'intensità, e io penso: "se non avessi ancora quelle due-tre cose da fare, dopo una cosa del genere potrei anche morire".
E' un venerdì di fine maggio che assomiglia alla primavera, e il traffico in ingresso a Firenze è tutto sommato accettabile, il parcheggio subito dopo il Ponte alla Vittoria tattico e salvifico. Arrivo con abbondante anticipo, la biglietteria del teatro non ha ancora aperto. Davanti, una schiera di personaggi tutti da raccontare: il pubblico di Diamanda Galás, del resto. Mi faccio un giro, e non trovo uno straccio di bar aperto per pisciare. La reggo, ma non so per quanto. Coda al cambio prenotazione web/biglietto. Avanti così. Biglietto in mano mi avvicino alla prima hostess e domando per il bagno: lontanissimo e complicatissimo. Arrivo ad un'altra "barriera" con due hostess: una delle due mi suggerisce il bagno dei disabili a due metri. Esco e le dico che mi ha salvato, entrambe mi prendono in simpatia. Mi prendo un caffè nel bar del teatro: 1 euro e 50. Del resto ci ho visto Tom Waits, è il comunale di Firenze, ci suona Mehta. Decido di entrare: le hostess della platea mi dicono che il mio posto non è in platea. Esco e mi dirigo verso la biglietteria come mi hanno consigliato loro, ma mentre passo di nuovo dalle due che ormai sono mie amiche mi domandano cosa c'è che non va e si prendono a cuore il problema. Arriva la capo-hostess, Karen, di chiare origini teutoniche: va lei alla biglietteria per me. Attendo. Torna e mi dice: è in galleria. Vado. Arrivo dalla prima hostess che avevo interpellato per il bagno che guarda il biglietto e dice "ma c'è scritto platea!". Le rispondo con una battuta e faccio ridere tre ragazze che stanno entrando in galleria. Le dico che l'ha detto Karen. Lei si mette sull'attenti e mi fa strada. Ah, la gerarchia.
Arrivo in galleria e lo steward che mi prende in cura (basta battute) si perde cercandomi il posto, alla fine si trova. Ringrazio, saluto. Attendo, leggo e guardo gli spettatori che arrivano. C'è un tipo vestito da derviscio con i capelli dal taglio squisitamente femminile e di un colore che ho visto solo alla mia amica Sabrina che si fa la tinta da sola: un rosso abbagliante. C'è un altro tipo con i capelli lunghi e lisci ma rasati da una parte: non ne vedevo dai tempi di Jason Newsted nei Metallica. Insieme a lui una mora che ha delle scarpe che pensavo si vedessero solo nei film porno. C'è anche una sua amica, che però è alta la metà di lei: e ti credo, con quelle scarpe! Arrivano anche i miei dirimpettai: lui sembra Travaglio ma sono sicuro che si è vestito al buio. Ha una improponibile camicia rossa, abbottonata dappertutto. Lei la vedo solo quando usciamo, e ha delle calze nere con dei disegni che mi fanno caldo solo a vederle.
Lo so, ho divagato, ma era per non ripensare all'intensità dello spettacolo. Il palco è scuro, c'è un piano a coda, quattro spie, un telone nero sul fondo con un disegno bianco che evoca Diamanda e un qualcosa di demoniaco. Probabilmente lei è la persona più equilibrata del mondo, le piace giocare con questa iconografia, anche se le tematiche del suo lavoro sono effettivamente guidate dalla sofferenza, dalla religione e dalla rabbia.
Alle 21,34 si abbassano le luci e lei entra, si siede al piano e parte con un pezzo che, se non mi sbaglio, è tratto dal suo Defixiones, Will and Testament, non dovrebbe essere in scaletta, secondo il sito ufficiale lo spettacolo You're My Thrill non comprende pezzi da quel disco, ma scoprirò che ci saranno altri brani che non rientrano in quella scaletta. Comunque sia, sono circa 10 minuti di delirio. Vibrati arabeggianti, cantato che mi pare in greco, tappeto pianistico inquetante, e la sua voce che, come vi ho detto, ad un certo punto si sdoppia. Vedo gente in prima fila in platea che agli acuti si tappa le orecchie: per me è un momento d'estasi. Con la mente vado all'altro concerto che ho visto della Galás, 6 anni fa, e mi rendo conto che in quel caso non avevo mai sentito nemmeno un pezzo suo, e anche se oggi non li conosco come le mie tasche, conosco come lavora e riesco ad apprezzare di più il concerto (anche se quella volta lì rimasi di sasso, positivamente).
La sua è un'anima blues, nel senso quasi letterale del termine, ed il concerto è un'altalena tra pezzi veramente blues e pezzi "francesi", tutti interpretati con un'intensità spaventosa e avvolgente. Quando arriva 25 Minutes To Go di Cash sono già ai suoi piedi, in senso metaforico. Dopo ogni pezzo beve copiosamente da una bottiglia d'acqua, Diamanda; il posto che ho acquistato casualmente me la fa vedere da vicino, un po' dall'alto, e l'impressione è di una signora 53enne che porta la sua età con una dignità encomiabile, a cui piace giocare con la sua immagine da Morticia Adams, che ama le luci basse e calde sul palco ma che non si sogna nemmeno di fare l'isterica (tipo...che ne so...un Maynard Keenan a caso), con dei bellissimi capelli, alta, che ha messo su un po' di chili negli ultimi anni ma che ha sempre un piglio sexy. Dopo alcuni pezzi ringrazia, in un italiano stentato nella pronuncia ma corretto, i tecnici, evidentemente soddisfatta della resa sonora; gli stessi tecnici che ringrazierà additandoli quando torna in scena prima dell'ultimo pezzo, per l'unica volta in piedi davanti al piano, di fronte al pubblico: maestosa nella figura e giovanile nei gesti.
Ma è la sua voce, che solo perchè è così immensa mette in secondo piano la sua abilità tecnica di panista, che ha il blues dentro, se capite cosa voglio dire. Quello vero, quello dei campi di cotone, insieme a tutte le sofferenze della terra, quello dei popoli oppressi e quello delle pene d'amore.
Ecco perchè, quando sul finale canta Heaven Have Mercy, non mi commuovo solo perchè sono sbalordito dall'intensità dell'esecuzione.
Ecco, tutto qui. Dovevate esserci.
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Dal blog di
Stavrogis, che ha lasciato un commento, alcuni filmati del concerto:
qui.