Il nastro bianco - di Michael Haneke 2009
Giudizio sintetico: si può vedere
Germania del nord, anni immediatamente precedenti alla Prima Guerra Mondiale. In villaggio di fede protestante, "comandato" dal Barone, il proprietario terriero locale, il Dottore subisce un curioso infortunio: di ritorno dalla sua cavalcata quotidiana, il suo cavallo cade su una fune invisibile, tesa tra due alberi. Il Dottore si frattura una spalla, e deve rimanere in ospedale per un po'. A partire da questo fatto, ne accadono altri, ben più atroci; raccontandoci il succedersi delle stagioni, e i fattacci del villaggio, Haneke ci illustra quello che accade dentro le case, anzi, ce lo accenna. Per fare ciò, si avvale della voce fuori campo del Maestro di scuola, ormai invecchiato, che racconta quegli anni della sua formazione, fino ad arrivare alla Guerra, che irrimediabilmente, cambiò tutto.
Pare fatto per dividere, questo nuovo film dell'austriaco Haneke, regista di culto, specializzato in storie di violenza senza essere un regista splatter, e in rapporti morbosi. Anche se la forma porta, in parte, elementi a lui già riconosciuti (freddezza e scene tagliate repentinamente, dialoghi secchi, espliciti, intellettuali e spesso agghiaccianti per la loro durezza), altri, come l'elegante bianco e nero (che, come notano i più bravi, è un colore desaturato) e il rigore, richiamano registi storici e importanti, come fanno notare eminenti critici, e pure critici meno famosi (Bergman, Dreyer, Bresson). A me, molto più modestamente, ha ricordato, nell'insieme, il Dogville di Von Trier. Haneke ha personalmente sottolineato che la sua intenzione era quella di indagare sul seme che portò la Germania al Nazismo: forse era il caso che lasciasse fare uno sforzo al pubblico.
Detto questo, il film si presenta pressoché impeccabile dal punto di vista formale, diretto con mano ferma e recitato diligentemente, col giusto mix tra pathos e teatralità richieste dalla storia e dal contesto, da tutto il cast; ci sono momenti importanti, forti, qualcuno indimenticabile (per chi scrive, il dialogo tra il Dottore e la Levatrice, puro Haneke, puro sadismo). L'intenzione è rispettabile, nonostante sia stata "suggerita", come detto prima.
La freddezza, tipica del regista, in questo caso crea qualche problema in più del solito, e l'eccessiva lunghezza, unita al ritmo soporifero, rappresentano invece le parti deboli del film; il finale che non conclude lascia perplessi, ma conferma che l'intenzione di Haneke non era quella di fare un film giallo, bensì un indagine antropologico-comportamentale, che, oso, può andare anche al di là del concetto espresso e sottolineato dal regista stesso, anche se l'operazione appare esasperatamente didascalica.
Qualche dubbio sulla Palma d'Oro a Cannes, ma ricordando che la Presidente di Giuria era Isabelle Huppert, si può capire. Del resto, siamo umani, per cui, fallaci.
2 commenti:
a me non è affatto dispiaciuto...la freddezza tipica del regista per me non crea problemi in più del solito, anzi trovo che qui sia particolarmente calzante.
Per quanto riguarda il finale: mentre in "Niente da nascondere" è spiazzante e lascia irrisolti molti interrogativi, qui in realtà il regista si cura di lasciare molti indizi durante il film per capirne la fine (non li sto ad elencare).Vedi ad esempio le vittime di violenza (bambino delicato ed effeminato, il ragazzino ritardato)...chi può essere vent'anni dopo a compiere le stesse violenze su tali "categorie"?!
si, ma in generale son d'accordo. solo, per me non è il suo migliore, nonostante sia stato parecchio pompato dalla critica.
è chiaro, un sacco di figure sono agghiaccianti, e questo è il suo stile. però soprattutto la prima parte non conserva la tensione costante, fa piuttosto addormentare...magari ero stanco :))
per dire, dopo questo sono andato a vedere quello di moore e non mi è preso sonno!!
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